Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Molte recenti notizie ci fanno percepire in modo sempre più diretto e inequivocabile che il cambiamento climatico è la minaccia più importante che gli esseri umani devono e dovranno affrontare.
Molte recenti notizie ci fanno percepire in modo sempre più diretto e inequivocabile che il cambiamento climatico è la minaccia più importante che gli esseri umani devono e dovranno affrontare.
Il mese di luglio 2019 è stato il più caldo della storia e il 2019 si avvia ad essere il più caldo della storia, a completare una sequenza in cui 16 dei 17 anni più caldi della storia si sono verificati dal 2001. Lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia è iniziato quest’anno in maniera che mai si era vista in precedenza, diventando quindi un fattore di crescita del livello del mare ben più rilevante dello scioglimento dei ghiacci polari. Gli incendi, provocati dal caldo inusuale, che hanno devastato la Siberia liberano ulteriori quantità di gas serra e sciolgono il permafrost con il metano in esso contenuto, causando un circolo vizioso difficile da arrestare. Di fronte a queste e tante altre notizie legate al clima, agli sconvolgimenti e disastri naturali che con sempre maggior frequenza stanno colpendo le nostre società, al lettore può risultare difficile comprendere i meccanismi e le cause di tanti fenomeni diversi.
E può risultare difficile distinguere ciò che è evento naturale dai cambiamenti climatici provocati dall’azione umana.
Questo breve articolo vuole quindi aiutare a fare un po’ di chiarezza, evidenziando 10 punti, 10 conclusioni, su cui non vi è più alcuna incertezza nella comunità scientifica internazionale. Dieci punti che possano aiutare ad acquisire consapevolezza e ad iniziare, ciascuno con i propri mezzi, innanzitutto con il potere di scegliere i propri rappresentanti nei comuni e nel parlamento, ad agire per ridurre le emissioni di gas ad effetti serra. Iniziamo:
1. Il cambiamento climatico è arrivato. Trent’anni fa ne parlavamo come un problema del futuro. Oggi dobbiamo parlarne come una delle più importanti minacce ai nostri sistemi socioeconomici, dalle nostre città, alle nostre attività economiche. Non è il pianeta a rischio, ma il nostro benessere. I danni stimati per il 2017 sono di circa 190 miliardi di dollari a livello mondiale. Lo 0,25% del PIL mondiale. Per l’Italia, che vale il 2% del PIL mondiale, in proporzione sarebbero circa 4 miliardi di dollari. In realtà sono di più, per la particolare posizione geografica del paese. La stima è che il danno per l’Italia sia già intorno a 6 miliardi di dollari all’anno. E non farà che crescere nei prossimi anni.
2. Il cambiamento climatico è causato da noi umani. Anche su questo non ci sono più dubbi. È vero che nel passato variazioni climatiche sono già esistite, ma questa è diversa per cause, estensione e rapidità. Mai nel corso degli ultimi 2000 anni, il cambiamento climatico aveva colpito simultaneamente tutte le aree del pianeta nello stesso momento e con la rapidità che osserviamo oggi. La causa del cambiamento climatico in corso è la concentrazione di gas serra in atmosfera dovuta soprattutto alla combustione di combustibili fossili. Oggi, la concentrazione di gas serra è del 30% più elevata che in tutta la nostra storia. Se andiamo indietro fino ad un milione di anni, troviamo che le concentrazioni di gas serra in atmosfera non hanno mai superato le 290 parti per milione. Ora sono 410 ppm. Siano entrati in una zona sconosciuta, ad altissimo rischio.
3. Abbiamo sottovalutato il problema. Negli ultimi 40 anni abbiamo immesso gas serra in atmosfera più di quanto fatto in tutta la storia precedente dell’umanità. Ed erano i 40 anni in cui sapevamo, in cui la scienza già aveva robuste certezze sul fenomeno del cambiamento climatico e sulle sue cause. Il primo accordo globale per contrastarlo è del 1992. Da allora le emissioni sono sempre cresciute e ad un ritmo crescente. I governi si sono dimostrati incapaci di tener sotto controllo le emissioni di gas serra, facendo troppo poco per stimolare maggiore efficienza energetica, una più rapida transizione alle energie rinnovabili e lo sviluppo di nuove tecnologie in gradi di affrontare il problema dei cambiamenti climatici. Da qui l’emergenza di oggi. Ci rimane meno tempo perché abbiamo sprecato troppo tempo.
4. Il cambiamento climatico non si può completamente più fermare. Abbiamo già provocato un incremento della temperatura di uno grado nell’ultimo secolo. È pressoché inevitabile che nel corso di questo secolo la temperatura aumenterà di un altro grado. E questo cambierà le condizioni di vita in molte parti del pianeta. E dovremo adattarci a queste nuove condizioni. Modificando le produzioni agricole, spostando gli insediamenti urbani, gestendo in modo più attendo il rischio idrogeologico. Serviranno importanti investimenti in adattamento al clima che è mutato e muterà ancora.
5. Possiamo però limitare il cambiamento climatico a livelli non catastrofici, a cui ci sapremo adattare, a cui l’adattamento di cui parlavo prima è ancora possibile. Per farlo dobbiamo ridurre le nostre emissioni di gas serra gestendo in modo intelligente e progressivo la transizione energetica verso le fonti rinnovabili, sfruttando tutte le soluzioni tecnologiche che oggi abbiamo per aumentare l’efficienza energetica, trasformando le nostre città e i nostri modi di vivere, senza rinunciare al nostro benessere. Non abbiamo più scuse. Grazie ai progressi della scienza e della tecnologia è oggi possibile continuare a crescere e contrastare la povertà senza continuare ad emettere enormi quantità di gas serra in atmosfera.
6. Controllare il cambiamento climatico ha infatti un costo limitato. Tutte le stime mostrano che il costo macroeconomico complessivo è una piccola frazione del PIL (lo 0,06% in media secondo il quinto rapporto dell’IPCC). Il motivo è la competitività delle rinnovabili, oramai più convenienti dei combustibili fossili. E i bassi costi di soluzioni a bassa efficienza energetica (per esempio l’illuminazione a led). Ma soprattutto l’effetto di stimolo alla crescita e all’occupazione che la grande transizione energetica e infrastrutturale sarebbe in grado di generare. Non abbiamo più scuse. Agire è fondamentale per proteggere l’umanità ma è anche una nuova opportunità di crescita economica.
7. Controllare il cambiamento climatico richiede però importanti investimenti. Se il costo è basso, non sono piccole le risorse che bisogna investire. La stima dell’IPCC nel suo Quinto Assessment Report è che servano circa 800 miliardi all’anno a livello mondiale per sostenere maggior efficienza energetica, la transizione alle rinnovabili, l’eliminazione rapida del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili, maggior innovazione in campo energetico, ecc. Questa stima è stata rivista al rialzo nel recente rapporto IPCC sul contenimento della temperatura a 1,5 gradi, ma non è una cifra impossibile. Lo scorso anno gli investimenti (pubblici e privati) legati al clima (essenzialmente in impianti per rinnovabili e in miglioramenti dell’efficienza energetica) sono stati di 400 miliardi. I sussidi ai combustibili fossili, se completamente eliminati, genererebbe altri 400 miliardi. La tassazione delle attività economiche più inquinanti (già operativa in parte in Europa) potrebbe generare altri 200 miliardi. Le risorse ci sono e, ripeto, si tratta di investimenti, non di costi. E’ solo una questione di visione e volontà politica.
8. Visto che sappiamo cosa fare e quanto costa, siamo sulla giusta traiettoria? Purtroppo no! L’accordo di Parigi, l ‘ultimo grande accordo firmato da tutti i paesi del mondo (solo gli US non hanno firmato), se pienamente applicato da tutti i paesi, permetterà al massimo di fermare la crescita delle emissioni, ma non permetterà di ridurle. Quindi al meglio al 2030 avremo delle emissioni sui livelli di quelli di oggi. La vera sfida è invece ridurle rapidamente dal 2030 in poi, per arrivare ad azzerarle entro il 2070. Per dare un’idea della difficoltà dell’obiettivo prendiamo il caso dell’Europa. Tra il 2000 e il 2020 si è posta come obiettivo di ridurre le emissioni del 20%. Un 10% ogni 10 anni. Tra il 2020 e il 2030 l’obiettivo già deciso è di un altro 20%. Raddoppiando quindi lo sforzo. Tra il 2030 e il 2050 un altro 40%. Saremo in grado di gestire una transizione così rapida? Quanto ci aiuteranno ancora i progressi della scienza e della tecnologia? Quanto si fa per investire in ricerca di nuove e più convenienti soluzioni? Purtroppo poco: gli investimenti in ricerca si sono ridotti e il grande programma Mission Innovation di Obama è stato sospeso (e ripreso quest’anno dalla Commissione Europea ma solo per i paesi europei). È necessario che il tema dei cambiamenti climatici diventi una priorità nelle strategie d’impresa e nell’agenda dei partiti al governo. E che si dia ulteriore stimolo alla ricerca scientifica necessaria a ridurre le emissioni di gas serra.
9. Per questo serve agire in fretta e in modo più efficace. La pressione degli studenti e del loro movimento FridaysforFuture è una importante novità. Ma serve di più. La consapevolezza del cambiamento climatico è anche un fenomeno culturale. Conoscere, studiare, definire le corrette priorità è essenziale. La pressione dal basso, degli elettori di oggi e di domani, è cruciale per spingere i governi ad agire.
10. Infine, se non si comprende che il cambiamento climatico è un grande problema economico da affrontare con la stessa urgenza con cui si affronta una crisi monetaria o occupazionale, sarà difficile contenere il fenomeno entro limiti gestibili dalla specie umana. Il cambiamento climatico dovrebbe quindi essere un elemento portante dell’azione politica di tutti i governi e di ogni singolo ministro.