Debito ecologico contro debito estero
Avete mai sentito fare ragionamenti sul debito ecologico? Per fortuna qualcuno che li fa c’è. «Dovete lavorare su questa parola: il debito ecologico». A dirlo è stato Papa Fr
Il tentativo di Facebook di combattere le bugie climatiche è un segnale importante. Ma un’etichetta sarà sufficiente a contenere l’avanzata della disinformazione?
In tema di crisi climatica incappare in fake news o disinformazione non è raro, anzi. Non solo diffuse dai negazionisti del cambiamento climatico – che spesso presentano la ormai banalissima e più volte smentita argomentazione de “il clima è sempre cambiato” – ma anche (e soprattutto!) dalle compagnie petrolifere, responsabili della maggior parte delle emissioni di CO2 a livello globale.
Tali compagnie non riconoscono gli effetti devastanti a lungo termine dei gas climalteranti prodotti dalla lavorazione dei combustibili fossili, né tantomeno si impegnano per ridurli, avendo quindi un impatto positivo sul riscaldamento globale. Al contrario, ciò che fanno è spostare la responsabilità della crisi climatica sugli individui, promuovendo app che calcolano l’impronta di carbonio dei singoli e incentivandoli a prendere parte a sfide e challenges per avere uno stile di vita sostenibile ed ecofriendly. A fianco di questo raggiro c’è anche una lunga storia di disinformazione e fake news riguardo alle cause e conseguenze della crisi climatica: si va da lunghe campagne mirate a contrastare l’azione climatica alla volontaria omissione di valori e dati scientifici, fino alle pratiche ingannevoli e agli atti intimidatori rivolti a scienziati. Il sito di Union of Concerned Scientist, un’organizzazione nazionale senza scopo di lucro fondata più di 50 anni fa da scienziati e studenti del Massachusetts Institute of Technology (MIT) offre interessanti approfondimenti sul tema.
Quale può essere un modo per arginare la cattiva informazione causata dalla retorica reiterata da queste compagnie? I media hanno un ruolo cruciale in questo. Essi hanno infatti la possibilità di smontare o rafforzare argomentazioni, vere o false che siano. La loro responsabilità sfiora le stelle, contando che per diffondere una fake news basta una lettura veloce e incompleta di una questione, la stesura di un articolo a riguardo e pochi click di condivisione. Ogni pezzo giornalistico ha potenzialmente più forza di un report dell’IPCC (il pannello intergovernativo sul cambiamento climatico, uno degli organismi internazionali più autorevoli al mondo, nonché il principale per la valutazione dei cambiamenti climatici) e per tale motivo è essenziale che i media parlino di crisi climatica correttamente e puntualmente, senza incappare in errori grossolani che possono a volte addirittura inficiare anni di lavoro da parte della comunità scientifica sull’opinione pubblica. In questo caso è assolutamente delicato l’utilizzo dei social media per diffondere notizie su crisi climatica e cambiamento climatico: basta un retweet da un account con qualche migliaio di followers, una storia di Instagram ripostata da un centinaio di persone o uno stato di Facebook condiviso da una trentina di amici e la notizia gira nelle home pages dei social di mezza Italia.
I social negli ultimi anni hanno contribuito fortemente alla diffusione di fake news in ambito della crisi climatica poiché gli algoritmi si basano sulla raccolta delle preferenze delle persone e mostrano loro contenuti inerenti ai loro interessi, andando dunque a rafforzare e polarizzare le visioni preesistenti. Il modo più consueto di fare ciò è facendo apparire notizie che suscitano emozioni forti e scatenano reazioni, così da incrementare le interazioni dei contenuti e le relative condivisioni.
A tal proposito, è doveroso menzionare l’iniziativa di Facebook messa in atto per contenere e segnalare le notizie false o fuorvianti sul cambiamento climatico, dopo che scienziati e personaggi politici avevano espresso varie preoccupazioni rispetto al fatto che la piattaforma fosse utilizzata per far circolare fake news. Il gigante dei social media, con quasi 3 miliardi di utenti attivi ogni mese, ha dunque annunciato la sperimentazione di una modalità di etichettatura dei post per fermare la diffusione di bufale e disinformazione sul clima. Per ora il piano è in prova in pochi stati, con la speranza che possa essere efficace e che venga esteso ad altri paesi prossimamente. Sebbene non sia totalmente chiaro come l’algoritmo sceglierà i post da valutare ed etichettare, probabilmente seguirà un percorso simile a quello utilizzato durante le elezioni americane dello scorso anno, quando i contenuti in cui venivano menzionate le elezioni erano affiancati da un banner che rimandava gli utenti a un voting information centre, un portale in cui erano state predisposte delle informazioni chiare e imparziali riguardo i metodi di votazione e le candidature. Similmente, ora Facebook indica i post inerenti al cambiamento climatico con un collegamento a disposizione degli utenti che rimanda a un sito con informazioni e dati verificati. In questa sezione verranno sfatati o rettificati alcuni miti comuni come il fatto che l’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera abbia un beneficio sulle piante e che il riscaldamento globale faccia parte del ciclo naturale di cambiamento della temperatura terrestre, portando il già menzionato assunto de “il clima è sempre cambiato”.
Questo metodo alternativo di fact checking potrebbe far sì che gli utenti acquisiscano una maggiore consapevolezza delle notizie che condividono. Ma un’etichetta sarà sufficiente a contenere l’avanzata della disinformazione? Certamente è un primo passo! Le falsità su argomenti come salute pubblica, politica e cambiamento climatico sono pericolosissime non solo per la cittadinanza, ma anche per la cooperazione internazionale, che per avere successo necessità di una forte spinta da parte della società civile.