Pedalando verso il benessere
Continua il viaggio di Grammenos Mastrojeni alla ricerca di soluzioni che possono condurci con i nostri comportamenti verso una felicità sostenibile. Abbiamo esplorato il tema del
La nuova direttiva impone a 4mila aziende italiane di mettere nero su bianco informazioni relative agli impatti ambientali, sociali e legati alla governance. Ma con l’obbligo di raccogliere questi dati anche lungo tutta la filiera, la platea in realtà è molto più ampia e include anche tante imprese di piccole dimensioni.
La strada per la sostenibilità è intrapresa e non si tornerà indietro. Con la pubblicazione il 10 settembre del 2024 sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto legislativo 6 settembre 2024 n.125, entrato in vigore il 25 dello stesso mese, anche nel nostro ordinamento viene recepita la direttiva UE CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive). Una rivoluzione epocale che consiste nell’obbligo da parte delle aziende di integrare la sostenibilità nel business pubblicando la “rendicontazione di sostenibilità””: le imprese dovranno quindi comunicare, all’interno di una specifica sezione distinta della relazione sulla gestione, informazioni che descrivano gli impatti della loro attività su ambiente e società, oltreché i rischi e le opportunità legate alle questioni di sostenibilità.
Il provvedimento di fatto amplia enormemente la platea di imprese che già in passato dovevano stilare il “report di sostenibilità”: se con la precedente normativa NFRD (Non Financial Reporting Directive) si parlava di 11.000 imprese e gruppi in tutta l’UE, oggi si arriverà a circa 48mila aziende, di cui 4mila italiane, pari a oltre il 75% del fatturato totale delle imprese dell’Unione.
Per Marisa Parmigiani, Head of sustainability & Stakeholder management del Gruppo Unipol «l’adeguamento alla CSRD rappresenta per un’impresa una sfida significativa, non solo perché l’adozione della logica della doppia rilevanza integra profondamente la dimensione finanziaria nelle valutazioni di sostenibilità ma anche perché introduce l’impiego di un approccio prospettico, con la definizione di politiche e target che accompagna il management a pensare in modo integrato. L’estensione significativa delle imprese in perimetro a cui si aggiunge il coinvolgimento di quelle nella catena del valore aiuterà il mercato ad avere maggiore visibilità sulle performance di sostenibilità e quindi maggiore affidabilità nelle valutazioni delle stesse, attivando quel processo prezioso di transizione dell’economia».
Affinché la “sostenibilità” sia misurata sulla base di criteri riconosciuti in tutta Europa, l’EFRAG, ovvero l’European Financial Reporting Advisory, ente che si occupa dei principi contabili a livello internazionale, ha varato gli ESRS, (European Sustainability Reporting Standards), un insieme di standard ad hoc per la rendicontazione societaria di sostenibilità – adottati in via definitiva dalla Commissione europea nel luglio del 2023 – che rappresenteranno il punto di riferimento delle imprese chiamate a redigere la Dichiarazione sulla sostenibilità.
L’applicazione della CSRD avverrà in modo graduale secondo uno specifico calendario:
Come abbiamo visto nel raggio d’azione della Direttiva non rientrano le microimprese e le Pmi non quotate ma in modo indiretto anche queste aziende saranno spinte ad aumentare la propria trasparenza in materia di sostenibilità: la CSRD, infatti, fa obbligo alle aziende a cui si applica di inserire nel bilancio anche le informazioni relative alle imprese che fanno parte della loro “catena del valore” o filiera, sia a monte sia a valle, anche non direttamente soggette alla direttiva. Di conseguenza alle PMI non quotate saranno richieste informazioni sulla sostenibilità da parte della società cui sono fornitrici ed è prevedibile che queste ultime richiedano anche il rispetto di requisiti di sostenibilità, previsti in specifici contratti, dal quale dipenderà la permanenza nella catena di fornitura.
Tale aspetto della normativa ha rappresentato uno dei punti più controversi del provvedimento per l’impatto che potrà avere sugli obblighi in carico ad aziende non strutturate che sono la maggior parte del tessuto produttivo, non soltanto italiano, ma anche europeo. Non a caso l’EFRAG ha deciso di mettere a disposizione di queste società uno standard volontario del tutto simile a quello realizzato per le grandi aziende ma ispirato a un principio di proporzionalità che tenga nella debita considerazione le peculiarità di queste realtà produttive dalle limitate risorse da destinare alla compliance di normative complesse. Questo standard segnala alle imprese quali sono gli indicatori davvero “chiave” che potrebbero essere richiesti dalle imprese di grandi dimensioni, la cui disponibilità può diventare un vantaggio competitivo.
Uno degli aspetti più importanti della Direttiva riguarda la trasparenza nei confronti del contesto in cui l’azienda è chiamata a operare. La CSRD, infatti, ha introdotto il concetto di “doppia materialità”. Semplificando al massimo le società dovranno comunicare al mercato informazioni relative all’influenza dei rischi e delle opportunità connessi alle questioni di sostenibilità sulla capacità dell’impresa di creare valore e sulla sua stabilità finanziaria: per esempio l’effetto del climate change sull’approvvigionamento di una specifica materia prima indispensabile alla produzione, oppure come la valorizzazione della diversity rappresenti un valore aggiunto per le performance e la produttività. Questa è la cosiddetta prospettiva outside in. Contemporaneamente – da qui deriva la definizione di “doppia materialità” – le imprese dovranno anche fornire informazioni sull’influenza della loro attività su ambiente e società: per esempio quanto un impianto inquina, come vengono smaltiti rifiuti e scorie prodotte nel corso della produzione etc. In questo modo l’attività di un’azienda sarà trasparente per tutti gli stakeholder, cioè per chiunque sia direttamente o indirettamente influenzato dalla loro attività, dai cittadini che abitano nei pressi di un sito produttivo agli investitori che hanno intenzione di mettere a disposizione capitali nell’impresa passando per i dipendenti della stessa azienda.
Nel nostro Paese l’ente che sarà chiamato a svolgere un’azione di vigilanza sul rispetto dei principi contenuti nella Direttiva è la Consob, la Commissione nazionale alla quale spetterà anche comminare eventuali sanzioni di concerto con Ministero dell’Economia e delle Finanze. Chi non rispetterà i principi della nuova normativa rischia infatti di pagare da 5mila a 10 milioni di euro, oppure fino al 5% del fatturato annuo. Ma non solo: la Consob avrà anche la possibilità di imporre correttivi per fare in modo che le aziende inadempienti rispettino concretamente la normativa.
Il Gruppo Unipol vanta un’esperienza più che trentennale nella stesura dei report non finanziari. Il primo documento di questo tipo è, infatti, il Rapporto Sociale del 1993. Il suo scopo? Ampliare la disclosure includendo informazioni relative all’attività aziendale mantenendo vivo nello stesso tempo il dialogo con gli stakeholders (utenti e organizzazione sociali sulla qualità), soprattutto in merito alla trasparenza delle prestazioni e alla qualità dei prodotti e dei servizi. Nel 2000 è pubblicato il Bilancio Sociale che, diventa nel 2005 Bilancio Sociale di Gruppo. Nel 2009 ha visto la luce il primo Bilancio di Sostenibilità del Gruppo.