Europa: a ciascuno il suo Welfare

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Europa: a ciascuno il suo Welfare

Dalle pensioni all’assistenza sanitaria la sfida di un modello sostenibile per un Continente sempre più “Vecchio”. Se ne parla a Roma all’edizione 2017 di “Welfare, Italia” organizzato dal Gruppo Unipol.

Dalle pensioni all’assistenza sanitaria la sfida di un modello sostenibile per un Continente sempre più “Vecchio”. Se ne parla a Roma all’edizione 2017 di “Welfare, Italia” organizzato dal Gruppo Unipol.

Unita dall’impellente esigenza di affrontare il nodo della sostenibilità economica del welfare ma profondamente divisa nel ricorso alle diverse forme di assistenza, pubblica o privata. L’Europa vive questa ennesima contraddizione: tutti i Paesi, chi più chi meno, sono alle prese con un progressivo invecchiamento della popolazione legato all’aumento della speranza di vita e alla diminuzione del tasso di natalità, e con una costante riduzione delle risorse economiche e demografiche destinate a sostenere la domanda di assistenza. D’altro canto le risposte a queste emergenze sono quanto mai differenti da Stato a Stato. Ci troviamo davanti a un panorama sempre più complesso sul quale esperti, esponenti delle istituzioni e dell’imprenditoria si confronteranno nel corso dell’edizione2017 di “Welfare, Italia” dal titolo “A ciascuno il suo welfare-Bisogni mutevoli, scelte individuali, risposte integrate” che si terrà a Roma, all’Open Colonna, martedì 5 dicembre, alle ore 10. Un appuntamento organizzato dal Gruppo Unipol i cui lavori, introdotti dal presidente Pierluigi Stefanini, e condotti dal vicedirettore del Corriere della SeraAntonio Polito, vedranno la partecipazione di Carlo CimbriGroup CEO UnipolGiorgio Allevapresidente ISTATPier Paolo Barettasottosegretario del Ministero dell’Economia e delle finanzeVincenzo Bocciapresidente di ConfindustriaTito Boeripresidente INPSAlberto Brambillapresidente di Itinerari previdenzialiLara Comivicepresidente Gruppo PPE Parlamento EuropeoRoberto Gualtieripresidente commissione Affari economici e monetari del Parlamento EuropeoMarco Leonardiconsigliere economico di Palazzo ChigiBeatrice LorenzinMinistro della Sanità.

Il dato principale che emerge oggi è quindi quello di un’Europa a più velocità: da una parte c’è una bella fetta di Paesi “nordici” in cui il ricorso al secondo e al terzo pilastro contributivo, ovvero alla previdenza complementare collettiva e a quella individuale, è ormai diffuso da decenni, ma dall’altra arranca l’Europa mediterranea, Italia compresa, dove invece le cose vanno diversamente. Un esempio? Nel 2013 secondo un rapporto dell’Istituto Bruno Leoni gli aderenti a fondi pensione complementari in Italia erano appena 6 milioni contro i 18 della Germania e i 22 della Francia. Certo leggendo i dati della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, appare evidente come le cose stiano cambiando, ma ancora troppo lentamente. Nel 2015 quei 6 milioni erano diventati 7,2 e a fine settembre del 2017 poco più di 8 con una crescita da inizio anno del 4,6 per cento. E qui emerge un’altra forte contraddizione: da una parte si è certi ormai che il solo primo pilastro – quello rappresentato dalla previdenza pubblica obbligatoria – sarà presto inadeguato a rispondere alle esigenze di protezione di una popolazione in cui la componente più giovane si assottiglia progressivamente rendendo il sistema insostenibile dal punto di vista economico e a rischio collasso; dall’altro, a differenza degli altri partner europei, l’Italia non è impegnata, come dovrebbe, a incentivare adeguatamente forme di previdenza privata. Il nostro, infatti, è l’unico Paese a tassare i rendimenti sui fondi pensione, del 20%. Il combinato disposto di una certa resistenza dell’opinione pubblica a far da sé per quanto riguarda la costruzione della propria pensione e di un’incapacità dello Stato di spingere le pensioni complementari con puntuali provvedimenti fiscali, rappresenta uno dei nodi da sciogliere nel più breve tempo possibile.

Welfare, però, non vuol dire soltanto pensioni ma anche sanità. Secondo il quarto rapporto di Itinerari previdenziali la spesa per prestazioni sociali nel nostro Paese ammontava a 447,396 miliardi, pari al 54,13 per cento di tutte le uscite statali e al 27,34 per cento del Pil, fra le più alte del continente. Ma se si guarda alla sola voce “pensioni” ecco la sorpresa: l’Italia è nella media Ue. Non si può invece dire lo stesso per gli oneri assistenziali, ben al di sopra dei livelli europei e in costante aumento a causa delle specifica dinamica demografica del Paese. Se nel 2000, infatti, la quota della popolazione over 65 rappresentava il 18,1 per cento del totale e quella oltre gli 80 appena il 4 per cento, nel 2013 le percentuali erano già passate al 21,2 per cento e al 6,3 per cento. E nel 2020 avremo il 22,4 per cento di ultrasessantacinquenni e il 7,1 per cento di ottuagenari.

Un problema, quello dell’assistenza sanitaria di una popolazione sempre più anziana, comune a tutti i Paesi europei che così come per quanto riguarda le pensioni stanno, però, rispondendo in maniera differente a quella che sta assumendo sempre più i tratti di una bomba sociale pronta a deflagrare. Un modello da prendere come esempio è quello dell’Olanda il cui sistema sanitario compare in cima alle classifiche internazionali sulla qualità dell’offerta. Dal 2006, infatti, vige una forma privata di finanziamento che prevede per i cittadini l’obbligo di stipulare un’assicurazione. Le compagnie, dal canto loro, sono obbligate dallo Stato ad assicurare per il pacchetto base tutti i cittadini residenti nella loro area mentre il pubblico si fa carico di garantire la sovvenzione delle persone a basso reddito. Il cittadino, inoltre, deve pagare una quota legata al reddito, alla quale contribuisce obbligatoriamente anche il datore di lavoro. Il valore aggiunto è rappresentato dal fatto che gli olandesi possono scegliere fra diverse compagnie in concorrenza fra loro non tanto sui prezzi a “valle” quanto sulla qualità dei servizi e sulla velocità di risposta. Un sistema che appare al momento quello più adatto a rispondere alle sfide di un “futuro” molto prossimo e che potrebbe servire da punto di riferimento per l’intera Unione. L’obiettivo, infatti, inutile nascondercelo, è quello di una transizione dal welfare nazionale al welfare europeo.

Giornalista, vivo di e per la scrittura da 20 anni. Cresco nelle fumose redazioni di cronaca che abbandono per il digitale dove perseguo, però, lo stesso obiettivo: trasformare idee in contenuti.​