Lo sviluppo del software con la GenAi
Alcune considerazioni sull’impatto della GenAI negli ambienti di sviluppo collaborativo: dall’Hackathon alla pratica quotidiana degli sviluppatori software. Hackathon
Due fenomeni diffusi che non riguardano solo su chi li subisce e chi li agisce. È importante comprenderli a fondo per stimolare consapevolezza su come contrastarli. Ne abbiamo parlato con Annalisa Guarini, professoressa ordinaria dell'Università di Bologna, Responsabile del Servizio Psicologico SERES del Dipartimento di Psicologia. Insieme a noi Andrea Cappuccitti, giurista e collega di UnipolSai
INKlusion è un progetto educativo che fa parte dell’offerta di PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) del Gruppo Unipol e che da cinque anni offre a studentesse e studenti delle scuole secondarie di secondo grado un’occasione per riflettere sulla diversità e lavorare su competenze fondamentali per l’inclusione.
Abbiamo parlato di bullismo e cyberbullismo nell’ultimo incontro di febbraio. Ne avevamo discusso anche l’anno scorso, ma siamo tornati sui temi perché il nostro pubblico di giovani, e anche chi ha il compito di educarli e accompagnarli nella crescita, sente il problema come attuale e urgente.
Il MIUR (Ministro dell’Istruzione e del Merito) definisce il cyberbullismo come «la manifestazione in Rete di un fenomeno più ampio e meglio conosciuto come bullismo. Quest’ultimo è caratterizzato da azioni violente e intimidatorie esercitate da un bullo, o un gruppo di bulli, su una vittima. Le azioni possono riguardare molestie verbali, aggressioni fisiche, persecuzioni, generalmente attuate in ambiente scolastico. Oggi la tecnologia consente ai bulli di infiltrarsi nelle case delle vittime, di materializzarsi in ogni momento della loro vita, perseguitandole con messaggi, immagini, video offensivi inviati tramite smartphone o pubblicati sui siti web tramite Internet. Il bullismo diventa quindi cyberbullismo. Il cyberbullismo definisce un insieme di azioni aggressive e intenzionali, di una singola persona o di un gruppo, realizzate mediante strumenti elettronici (sms, mms, foto, video, e-mail, chat rooms, instant messaging, siti web, telefonate), il cui obiettivo è quello di provocare danni ad un coetaneo incapace di difendersi».
Professoressa Guarini, partendo da questa definizione, abbiamo una percezione della diffusione di questi fenomeni?
«Possiamo dire che il bullismo è un fenomeno diffuso, in particolare nelle scuole, e non solo in Italia.
Da alcune ricerche nazionali e internazionali emerge che nel nostro Paese uno studente su dieci dichiara di essere vittima di ripetute aggressioni. Tenendo conto che una parte degli episodi resta “sommersa”, il fenomeno è sicuramente di proporzioni maggiori. Per quanto riguarda il cyberbullismo, in Italia (il dato si ritrova anche in altri Paesi) uno studente su cinque (quindi il 20%) è coinvolto in atti di cyberbullismo, in veste di bullo e/o vittima.
La pandemia sembra non modificare le incidenze dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo: da una ricerca del 2022 di Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) i dati su bullismo e cyberbullismo appaiono stabili, con un’incidenza del 15-20% e un picco nella scuola secondaria di primo grado».
Bullismo e cyberbullismo, perché accadono e con tanta aggressività e reiterazione?
«Ci sono alcune dinamiche che alimentano questi fenomeni. Innanzitutto, un meccanismo di colpevolizzazione della vittima, osservabile in ragazze e ragazzi, ma anche in genitori e insegnanti, tramite il quale ci si convince che in qualche modo la persona se lo merita, perché è fatta o agisce in una determinata maniera.
Parallelamente si tende a minimizzare il danno: sminuire gli eventi, trattarli come piccoli scherzi, cose di scarsa rilevanza, quando invece il danno percepito od oggettivo che le vittime di bullismo e cyberbullismo subiscono può risultare immenso. Il terzo aspetto, molto pericoloso, riguarda la deumanizzazione della vittima, il fatto, cioè, di non riconoscerla come persona, simile a noi.
Tutto questo, insieme, porta al disimpegno morale nei confronti degli atti di bullismo e cyberbullismo e per questo possiamo non intervenire per aiutare la vittima o interrompere le aggressioni. Dovremmo tutti chiederci se e quali di questi meccanismi ci è capitato di mettere in atto in queste situazioni».
Bullo e vittima, in sostanza questi fenomeni sono diadici?
«Il bullismo e il cyberbullismo sono fenomeni di gruppo che coinvolgono più persone oltre il bullo e la vittima. Le altre persone possono infatti rinforzare le azioni del bullo, ridendo, approvando con un like, accanendosi sulla vittima e isolandola. In questi casi parliamo di “pro-bulli”. La spettacolarizzazione e il consenso costituiscono una linfa vitale per il bullo che in questo modo si sente giustificato a perpetrare le sue azioni.
Oppure le persone possono assistere passivamente a ciò che accade, senza reagire (spettatori), in genere per timore di esporsi e di finire “nel mirino”. È importante stimolare gli spettatori, che di base non esprimono consenso verso le azioni del bullo, a prendere posizione spezzando questi meccanismi. E infine ci sono i difensori che possono agire per fermare le azioni del bullo o semplicemente sostenere e consolare la vittima».
Da spettatore a difensore. Un passo importante. Per questo abbiamo citato sopra una frase della Senatrice Liliana Segre “L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa”. Ma per una vittima quali sono le possibili strategie di fronteggiamento (coping)?
«Ci sono diverse possibili reazioni: sociali (parlarne con qualcuno), passive (ignorare il fatto sperando che finisca), assertive (affrontare il bullo), cognitive (cambiare gruppo di amici). Le strategie più funzionali sono quelle sociali, parlare del problema con un amico, un compagno di classe, un genitore o un insegnante. Anche affrontare il bullo è un’opzione utile, ma senza innescare una spirale di violenza. Da evitare è la passività, in quanto può portare conseguenze anche gravi sulla persona e difficilmente porta a una soluzione positiva».
L’ascolto quindi è importante. Andrea vuoi darci il tuo punto di vista, anche in veste di giurista?
«La vittima percepisce il senso di giustizia attraverso l’ascolto che genera fiducia. E la fiducia crea azione di gruppo. L’azione di gruppo è una presenza concreta ma discreta. Istituzioni, genitori, amici. In una parola: riferimenti che mettono al centro la vittima con la propria identità personale, pacificamente annoverato tra i diritti inviolabili dell’uomo. Secondo il più recente e consolidato pensiero giuridico è il diritto “a che la proiezione sociale della propria personalità non subisca alterazioni, travisamenti, distorsioni”. Dare voce alla vittima che sceglie di affermare tale diritto estrinsecandolo in concreto e realizzandolo nell’ambiente sociale diventa una strategia di supporto per quest’ultima. La tutela giudiziaria, l’applicazione di una sanzione al bullo, è l’estrema ratio utile se rieducativa per il bullo e riparatrice per la vittima» .
Bene, questo breve confronto non fa che rinforzare la convinzione che sia necessario continuare a parlare di questi fenomeni lavorando sulla consapevolezza, da un lato, della loro pericolosità, e dall’altro, dell’opportunità e dell’importanza di agire insieme per annullarli e costruire una società più civile e inclusiva.