Il Regno Unito abbandonerà la transizione verde?

Il Regno Unito è uno dei paesi in assoluto più avanti nella transizione energetica. Più del 50% dell’energia del paese oggi viene dalle rinnovabili. Il motivo è che storicame
“Integrale”: un’unica parola per riassumere quello che Papa Bergoglio ci ha dato e ciò che rischiamo di perdere. Il rischio che corriamo è molto alto.
In questa congiuntura storica, la mia generazione ha una paura blu: che si perda l’insegnamento conquistato al prezzo di due guerre mondiali con tutte le loro vittime e devastazioni, ovvero uno sguardo integrale. Quello che, per cominciare e come risposta a un gigantesco trauma collettivo, ha chiesto alle Nazioni Unite – fondate alla fine del secondo conflitto planetario – di occuparsi di infanzia, genere, sanità, meteorologia, diritti dell’uomo e molto altro, sebbene esse abbiano come unico obbiettivo e come sola competenza la pace. Lo sguardo che aveva intuito e via via precisato come non siano problemi slegati e che una cosa c’entra con l’altra; e che ha trovato un suo diverso spessore in un ponte fra due encicliche: Pacem in Terris e Laudato Sì.
Dieci anni fa, nel 2015, già si sentiva che stavamo buttando via le conquiste del XX secolo, rilette nella Pacem in Terris con l’idea di “struttura di pace”, ovvero che la pace non è una decisione più o meno governativa bensì il frutto strutturale della giustizia e della dignità. Ma vi fu un nuovo sussulto di speranza: finalmente si raggiunse a Parigi un accordo sul clima, e gli Stati riuniti all’ONU decisero che era necessario rendere sostenibile lo sviluppo, sintetizzando questo traguardo nell’Agenda 2030. Grandi passi, ma in qualche modo aridi, tecnici, e incompleti perché compresi in una prospettiva settoriale. Ricordo, però, un momento in cui sedevo nel Consiglio Economico e Sociale dell’ONU a New York, a fine 2015, ad ascoltare un certo Cardinale Turkson che illustrava un documento insolito per quei luoghi, l’Enciclica Laudato Sì, parlando di “ecologia integrale”; e di aver pensato “finalmente! Ci siamo!”
L’Accordo sul Clima di Parigi e l’Agenda 2030 non erano davvero comprensibili senza situarli in una prospettiva integrale. L’idea di sostenibilità viene associata settorialmente alla crisi ambientale ma è qualcosa di molto più semplice e pure molto più vasto: significa passare dalla metodologia che ha creato i disastri di cui è costellata la storia umana e che ci porta oggi a una soglia di rottura – mors tua vita mea – a uno sguardo integrale che la delegittima non solo sul piano etico ma anche funzionale e del puro interesse; e ci fa capire che – se davvero siamo furbi – vita tua, vita mea. Più puntualmente significa smettere di calcolare costi, rischi e risultati solo nella prospettiva del settore o della comunità in cui si agisce e invece estendere questo calcolo all’insieme del sistema che ci fa da casa, integrando tutte le cascate di conseguenze che vi si generano oltre il proprio settore o luogo.
Una visione sistemica di questo tipo fa capire l’errore di sempre, quello che tra l’altro ha portato a due guerre mondiali. Con uno sguardo settoriale, si conclude che ciò che ottieni in un settore – ad esempio lo sviluppo – lo puoi raggiungere solo a discapito di altri settori, ad esempio l’ambiente o i diritti umani, oppure la pace; e nella stessa prospettiva, si conclude che quel che guadagno io necessariamente lo paghi tu perdendolo. Guardando al sistema nel suo complesso, al contrario, si constata che – se per fare qualcosa di buono nel mio settore o per il mio gruppo inietto dei prezzi da pagare in altri campi o per altra gente – metto in moto delle catene di conseguenze che finirò per scontare anch’io, anche se all’inizio mi sono sentito vincitore. Siamo al disastro perché abbiamo contrapposto il mio al tuo e perché abbiamo considerato in tensione reciproca sviluppo, ambiente, pace e diritti dell’uomo. E per conciliare questa pretesa incompatibilità ci siamo inventati un aspetto ipocrita di due dottrine che sono parse opposte ma sono sorelle gemelle: liberalismo e socialismo. Entrambe basate sull’idea che si ottiene qualcosa per qualcuno o in un settore sempre e solo a discapito degli altri; ed entrambe concordi nell’acrobatica giustificazione che un’economia funzionante dopo risolve tutto perché crea risorse per rimediare ai danni fatti – agli altri, all’ambiente, alla pace, ecc. – nella rincorsa alla ricchezza. Dirlo evocando la «mano invisibile che coniugando l’egoismo di tutti procura il massimo beneficio sociale» come Adam Smith, oppure asserendo che «l’economia è la struttura e tutto il resto sovrastruttura» come Marx, non fa molta differenza.
Le tragedie del XX secolo ci avevano mostrato cosa si produce così e, con molte esitazioni e passi falsi, comunque avevamo iniziato a capire: non ci guadagna nessuno a contrapporre tutto e tutti. Vuoi uno sviluppo difendibile, e che non pagherai con l’attacco dei depredati? Non serve preparare la guerra, serve uno sviluppo giusto e condiviso. Vuoi uno sviluppo che dura nel tempo? Non serve un “paradigma tecnocratico” – questo il termine usato da Papa Francesco – che chiede all’innovazione più margini di efficienza per proseguire uno sviluppo ingiusto e foriero di conflitti prima di esaurire il pianeta; seve fondarlo su un ambiente valorizzato piuttosto che sfruttato (e funziona, ve l’assicuro, si diventa più ricchi così). E vuoi un ambiente valorizzato? Prima dei parchi nazionali, devi anzitutto occuparti dei più deboli; perché la loro precarietà di oggi impedisce di preoccuparsi del futuro e quindi li porta a depredare le risorse.
Con uno sguardo integrale capiamo il senso profondo del motto che accompagna l’Agenda 2030: non si lascia nessuno indietro! E quanto somiglia a certi moniti di Francesco… Ovvero – non solo se sei “buono”, anche se sei davvero furbo – prima i poveri, prima i deboli, prima gli esclusi! E con lo stesso sguardo capiamo che abbiamo eretto una nuova disciplina scientifica – all’incrocio fra system dynamics ed economia keynesiana estesa a settori non misurabili con la moneta – chiamandola nel complesso sostenibilità, ed è stato un grande progresso; ma era già stato tutto codificato in un altro sistema, l’etica, nel suo nocciolo comune a tutte le religioni e culture. Non fare all’altro quello che non vuoi sia fatto a te – calcola tutte le conseguenze delle tue azioni – altrimenti il prezzo ricadrà su di te, sui tuoi figli e sui figli dei figli; e soprattutto ricordati che sei un anello di una catena di interdipendenze e se non vuoi crollare assieme a tutta la catena che si spezza, è nel tuo interesse occuparti dell’anello più arrugginito prima che di te stesso. Agire etico e agire sostenibile sono la stessa cosa, utili e trascendenti senza contraddizioni: nelle parole di cui Francesco si faceva portavoce “Tutto ciò che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa, infatti, è la Legge e i Profeti” (Mt 7,12).
Addio Francesco che predicavi e praticavi l’unica equivalenza integrale, che fa funzionare tutto inondandoci di giusta e generosa abbondanza: dignità per tutti=giustizia=ambiente=sviluppo con la pace come prodotto di tutti i fattori. Non so quanti siamo rimasti, ma è una promessa: ci batteremo per impedire che questa verità integrale sia nuovamente sopraffatta dal mors tua, vita mea. In ogni caso, già ci manchi.