Addio Francesco, addio pace?

In questa congiuntura storica, la mia generazione ha una paura blu: che si perda l’insegnamento conquistato al prezzo di due guerre mondiali con tutte le loro vittime e devastazi
Le strade che portano alla consapevolezza, e poi magari all’azione, sulle questioni climatiche e più in generale ambientali, sono potenzialmente infinite. Una di quelle che stanno emergendo è l’artivismo ambientale.
Artivismo è un neologismo che deriva dalla fusione tra arte e attivismo e di per sé non è un fenomeno nuovo. Al centro dell’artivismo c’è la figura dell’artista militante, che non solo ci mette la faccia ma utilizza la propria creatività espressiva per denunciare criticità e ingiustizie, innescare riflessioni collettive, promuovere cambiamento, insomma scuotere. Fra i casi di artivisti contemporanei più noti si possono citare quello della guatemalteca Regina José Galindo e della cubana Tania Bruguera, entrambe specialiste della performance art, o di Banksy, famoso, benché anonimo, street artist britannico. Oppure il collettivo di artiste Guerrilla Girls, che quarant’anni fa diventarono famose con un’azione clamorosa al Moma di New York – in cui indossavano maschere da gorilla, da cui il nome, per rimanere anonime – che denunciava le disuguaglianze di genere e razziali in seno alla comunità artistica.
È in questo solco che s’inserisce l’artivismo ambientale, in cui linguaggi, forme ed espressioni artistici vengono utilizzati come strumento di sensibilizzazione, denuncia e protesta sui temi ambientali. Ha preso quota con il progressivo aggravarsi delle crisi ambientale, ecologica e climatica. E in un certo senso lo si può considerare l’antitesi dell’artwashing, cioè del greenwashing che sfrutta l’arte e la cultura per ripulire l’immagine appannata della “sporca” corporation di turno.
Sull’artivismo ambientale è stata avviata nei mesi scorsi un’interessante riflessione in Umbria, a Perugia, attraverso una serie di incontri – anche organizzati in location quali music club – in cui sono intervenuti, oltre agli artisti che sposano la causa dell’artivismo, esperti di organizzazioni ambientaliste (Legambiente, PEFC Italia) e rappresentanti istituzionali. Incontri che hanno tenuto in sostanza a battesimo un collettivo artistico-scientifico, “Artivismo ambientale”, che utilizza la forza dell’arte per sensibilizzare il tessuto sociale come pure gli amministratori pubblici sui temi dell’ambiente e del clima. Cercando insieme di coordinare le varie realtà ed esperienze del territorio già orientate in tale direzione.
Fra queste c’è la band musicale 88 Folli, dalla quale è partita l’idea stessa di organizzare gli incontri, che è nota proprio per il suo impegno sui temi ambientali. Ad esempio, la realizzazione di strumenti musicali a partire da materiali di riciclo, come scatole di vino. Oppure il progetto La voce degli alberi per la creazione di musica attraverso le piante di un bosco, sfruttando strumenti tecnologici alimentati a energia solare coi quali si monitorano la velocità del flusso linfatico di una pianta, la sua produzione fotosintetica, la vibrazione della pianta scossa dal vento.
Che l’artivismo ambientale stia guadagnando terreno e consensi è dimostrato dal fatto che sono sempre di più gli artisti, i personaggi dello spettacolo e della cultura, che tengono a caratterizzarsi per il loro impegno in questo senso. Finendo per essere riconosciuti, e seguiti, come attivisti ambientali almeno tanto quanto lo sono come artisti.
Dal 2015, ad esempio, stimolato dall’Accordo di Parigi raggiunto alla fine di quell’anno, l’artista e scienziato Andrea Conte ha avviato Climate Art Project, un progetto interdisciplinare itinerante che invita a riflettere su cause, conseguenze e scenari futuri indotti dalla crisi climatica. Fra i nomi più conosciuti del mondo dello spettacolo in Italia, invece, che hanno legato sempre più la propria immagine alle cause ambientali, si possono annoverare fra gli altri l’attore Alessandro Gassmann, con la sua iniziativa #GreenHeroes lanciata col supporto scientifico di Kyoto Club, e il comico Giovanni Storti, con la sua piattaforma social Immedia.
Fra le generazioni più giovani, uno degli esempi più significativi nel nostro Paese è probabilmente quello della poco più che ventenne contrabbassista Lotta (all’anagrafe Carlotta Sarina), di Salsomaggiore Terme (PR), che ha messo le sue note e la sua celebrità al servizio della lotta per la causa ambientale e in particolare climatica. Si definisce musicista per passione e attivista per missione. Ha scritto, interpretato e portato in tour “Detonazione”, uno spettacolo per voce e contrabbasso sull’ambiente. Sul suo blog “lotta for change” racconta che la sua personale detonazione è avvenuta quando a luglio 2022 si era ritrovata insieme ai movimenti per il clima davanti al Parlamento europeo a Strasburgo per chiedere che gas e nucleare non venissero etichettate – come poi è invece avvenuto – fonti di energia sostenibili (la stessa cosa, per la cronaca, che aveva chiesto il celeberrimo Club di Roma).
A livello internazionale, una delle più note per l’impegno sui temi ambientali e climatici è la famosa rock band dei Coldplay. Anni fa ha chiesto a un gruppo di esperti di studiare come poter rendere i propri concerti, e tour, a basso impatto ambientale, soprattutto per quanto riguarda le emissioni di gas serra. Sulla base dello studio, la band ha lanciato un tour mondiale eco-friendly, dichiarando di volerlo rendere quanto più sostenibile e low-carbon possibile attraverso una serie di pratiche da condividere poi con l’intera industria dei concerti live, così da alzare l’asticella per tutti. Sempre a livello internazionale, il gruppo di artisti, curatori, teorici, attivisti e operatori d’arte aggregatisi nell’Institute for Radical Imagination, hanno promosso il Manifesto dell’Arte per le Ecologie Radicali, che fra le altre cose individua la fine delle fonti fossili come priorità, abbraccia la decrescita, stimola operatori e istituzioni artistiche ad agire nel contesto dell’attuale crollo ambientale.
Poi c’è la cosiddetta settima arte, il cinema. Dove l’incontro tra arte e attivismo ambientale segue una varietà di trame. Ci sono storie come quella di Leonardo DiCaprio, da anni molto attivo sui temi ambientali con la partecipazione a marce e il sostegno a iniziative, gli interventi alle Nazioni Unite (l’ex-Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, lo nominò Ambasciatore delle Nazioni unite contro i Cambiamenti climatici), documentari di denuncia come “Before the flood” o film come “Don’t look up”. O come quella di Olivia Colman, attrice britannica vincitrice del premio Oscar, che su invito della campagna Make My Money Matter ha recitato in uno splendido spot sarcastico dove, vestendo i panni in lattice nero della dirigente petrolifera Oblivia Coalmine, denuncia gli investimenti dei fondi pensione britannici nei combustibili fossili. Ci sono poi storie come quella dell’ex-Vicepresidente degli Stati uniti, Al Gore, che si è avvalso del potere dell’arte cinematografica per divulgare a livello mondiale i temi della crisi climatica, prima con il documentario “An Inconvenient Truth” e poi col sequel “An Inconvenient Sequel: Truth to Power”. E ci sono, infine, storie come quella di Ultima Generazione, movimento ambientalista noto per le eclatanti azioni non-violente di disobbedienza civile promosse per chiedere interventi contro il collasso climatico, che quest’anno ha portato la sua storia al cinema con il docufilm “Come se non ci fosse un domani”.
L’arte, con la sua ineguagliabile capacità di comunicare, emozionare e coinvolgere, riuscirà là dove molti altri finora non sono riusciti? Questa è la speranza.
Crediti foto: Marialaura Gionfriddo/Unsplash