Clima: rischio africano

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Clima: rischio africano

Inondazioni, siccità, morti, danni a infrastrutture e frane colpiscono molto più duramente questo continente. Perché accade?

Oggi nessun continente rischia tanto quanto l’Africa, quando si tratta di danni dovuti ai cambiamenti climatici. Inondazioni, siccità, morti, danni a infrastrutture e frane colpiscono molto più duramente l’Africa di qualsiasi altro continente. Solo una parte del Sud est asiatico soffre le conseguenze climatiche quanto, in media, il continente africano. La domanda giusta da porsi è anche la più ovvia: perché accade?

Sappiamo che i fenomeni climatici estremi, come uragani e piogge dalla portata straordinaria, avvengono soprattutto vicino all’equatore: i climi caldi e umidi, infatti, sono generalmente quelli più vulnerabili. Eppure, per quanto possa sembrarci strano, questo non è il motivo che spiega la particolare fragilità dell’Africa davanti agli eventi climatici.

In Africa, al momento, secondo le stime dell’Onu, circa un miliardo di persone rischia direttamente le conseguenze di fenomeni ambientali. Un miliardo di persone a rischio su un totale di 1,4 miliardi. Quindi la stragrande maggioranza. E le cose potrebbero persino peggiorare se consideriamo che negli ultimi anni i disastri legati al clima sono aumentati notevolmente e potrebbero aumentare ancora. Oggi, secondo le stime più credibili, i disastri ambientali sarebbero cinque volte più frequenti rispetto al 1970. E i danni economici sarebbero cresciuti di ben 70 volte nello stesso periodo.

Gap tecnologico

Per spiegare il motivo per cui l’Africa è in questa situazione il modo migliore è comparare alcuni dati africani con quelli occidentali. L’Africa, come dicevamo poco fa, ha 1,4 miliardi di abitanti. L’Europa, gli Stati Uniti e il Canada, insieme, hanno una popolazione simile: 1,25 miliardi di persone. Anche il territorio è simile: l’Africa ha una superficie di 30 milioni di chilometri quadrati. L’Europa insieme a Stati Uniti e Canada misura altrettanto. L’Africa, però, ha 37 stazioni radar per il controllo del meteo, Stati Uniti ed Europa ne hanno 636.

Significa che la nostra parte di mondo ha un controllo dei fenomeni atmosferici 17 volte più accurato e frequente rispetto a quello possibile in Africa. Una differenza enorme. Basta dare uno sguardo a questa mappa, che rende molto bene l’idea.

Poter prevedere il meteo vuol dire stimare in anticipo l’intensità di una precipitazione, la velocità di movimento di una perturbazione o la potenza di un tornado. E questo significa, nei fatti, poter evacuare in tempo la popolazione di una certa area. Oppure prendere provvedimenti sulla chiusura di scuole e attività pubbliche, avvisare i residenti di una certa zona così che prendano provvedimenti e quindi, alla fine della fiera, salvare migliaia di vite. Oltre che ridurre i danni a infrastrutture, abitazioni private e aree agricole.

Vivere in Italia, o più in generale nella parte più ricca del mondo, significa dare per scontate certe tecnologie. Anche perché alcune di queste sono immediatamente fruibili: bastano pochi click e chiunque, per esempio, può controllare online i livelli idrometrici del Po, o dell’intera Emilia-Romagna. Eppure, una larga maggioranza del mondo non dispone di questi vantaggi, ed è per l’appunto il caso dell’Africa.

Ecco un altro paragone che ci aiuta a capire la situazione. L’uragano Ida ha colpito gli Stati Uniti nel 2021, era di categoria 4 e ha causato circa 90 morti in totale. L’uragano Idai era invece di categoria 3 (quindi meno potente di Ida) e più o meno nello stesso periodo ha colpito l’Africa del sud. I morti però sono stati circa 1500. E questo nonostante una potenza inferiore. La differenza sarebbe ancora più netta se dell’uragano Idai considerassimo anche i dispersi e i feriti, circa altre 3 mila persone. Il motivo di questa differenza? Le capacità di prevedere i fenomeni atmosferici, come dicevamo prima. Perché un conto è aspettarsi un’inondazione e un altro è esserne colti di sorpresa. Ma c’è dell’altro.

L’importanza della protezione civile

Oltre alla disponibilità di tecnologie (spesso piuttosto costose, come stazioni radar, centri di ricerca e satelliti) e alla possibilità di disporre di previsioni accurate c’è poi la capacità di far fronte ai disastri ambientali quando questi si presentano. La prontezza della risposta che si dà davanti a un fenomeno climatico estremo è importante almeno quanto la possibilità di prevederlo. Contano quindi i mezzi degli eserciti e di quello che noi in Italia chiamiamo Dipartimento della protezione civile. Contano poi la qualità, la preparazione e i mezzi a disposizione dei servizi sanitari nazionali. Anche su questo tra Africa e Occidente (ma anche tra Africa e gran parte delle altre regioni del mondo) l’Africa è in netto svantaggio.

Infine, l’Africa è così fragile ed esposta ai fenomeni meteorologici estremi per come sono gestite le zone più abitate del continente. Un conto, infatti, è subire una pioggia straordinaria in un’area con un controllo accurato dello sviluppo urbano nel rispetto dei cicli idrogeologici, un altro invece è subire la stessa pioggia ma in un’area dove questo controllo è pressoché assente. Così come contano moltissimo per contenere i danni ambientali il controllo dei terreni di altura, la riforestazione preventiva delle aree boschive, la pulizia e la manutenzione dei canali, quella dei corsi d’acqua e quella delle reti fognarie.

Proprio come la prevenzione, com’è evidente, anche questi interventi dipendono in buona misura dalle disponibilità economiche dei diversi stati. La comunità internazionale è consapevole che l’economia gioca un ruolo fondamentale in questo senso e nel 2022 l’Organizzazione meteorologica mondiale e l’Onu hanno stanziato circa 3 miliardi di euro proprio per finanziare tecnologie utili alla prevenzione meteo. La metà di questi fondi andranno proprio a paesi africani.

Il problema, però, non sarà risolto davvero finché l’Africa non recupererà il gap economico che la separa dalle altre macroaree del mondo. Gap che esiste con l’Europa e l’America del nord, ma anche con il Medio Oriente, l’Asia e buona parte dell’America meridionale. Gli aiuti tecnologici potrebbero innescare un circolo virtuoso: secondo una ricerca della Banca mondiale un miglioramento nei sistemi di monitoraggio del meteo farebbe risparmiare ai paesi africani 12 miliardi di euro persi ogni anno in asset e infrastrutture, e addirittura 20 miliardi di euro persi ogni anno in sostegno alle popolazioni colpite.

Giornalista, ogni settimana scrive per Wired Italia “Non Scaldiamoci”, la newsletter sulle conseguenze politiche e sociali del riscaldamento globale e delle questioni ambientali. Si è occupato soprattutto di ambiente e politica estera, con un’attenzione particolare al continente africano, per varie testate. Tra queste Il Foglio, Wired Italia, Linkiesta, Rolling Stone, Repubblica ed Esquire Italia. Ha scritto reportage dall’Africa, dalla Norvegia, dall’Australia, dalla Polonia, dalla Francia e dal Parlamento europeo. È editor della rivista di saggistica e approfondimento culturale L'indiscreto e dal 2020 al 2022 ha insegnato all’Università degli Studi di Ferrara.