Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Siccità, inondazioni, uragani. La causa degli eventi estremi della crisi climatica è antropogenica. Siamo noi. Ammetterlo è il primo passo.
Da tempo non c’è più alcun dubbio: le cause della crisi climatica sono antropogeniche. È l’uomo. In primo luogo, la dipendenza, patologica, del nostro modello di sviluppo dalle fonti fossili di energia: carbone, petrolio, gas fossile. Chi ancora lo nega, lo fa per ignoranza o malafede. A volte entrambe.
Avendolo acquisito, la scienza del clima si è spinta da anni ben oltre. Cercando di stabilire in modo sempre più preciso e affidabile il nesso causale tra cambiamenti climatici ed eventi meteorologici estremi, come uragani, inondazioni, ondate di calore, siccità. Significa approfondire l’influenza che i cambiamenti climatici hanno sulla probabilità, l’intensità, la frequenza di singoli eventi meteorologici estremi, in dati luoghi e momenti. Addirittura, sul fatto che possano verificarsi o meno. Ma non solo, perché si è anche cominciato ad analizzare e quantificare quale sia il contributo ai cambiamenti climatici, per esempio in termini di emissioni di gas serra e soprattutto di CO2, che deriva da determinati settori e attività economiche, persino da singole entità (una corporation, uno Stato). Ciò al fine di poter attribuire con sempre maggiore “confidenza”, per dirla con la scienza, la responsabilità dei cambiamenti climatici stessi. Degli eventi estremi da essi influenzati. E degli impatti che tutto ciò ha sulle nostre vite.
Questo filone di studi scientifici è conosciuto come attribution science, scienza dell’attribuzione. Il suo fine ultimo è, infatti, attribuire in modo il più possibile specifico a qualcuno, o a qualcosa, la responsabilità di ciò che sta accadendo. Così da poter rendere massimamente evidente dove è più urgente e importante intervenire, in modo per così dire chirurgico, per contrastare l’emergenza climatica.
Come si può notare immediatamente dando anche solo uno sguardo alla mappa globale interattiva sugli studi di attribution science disponibile sull’autorevole Carbon Brief, questo filone di studi si è sviluppato rapidamente e copiosamente. Con un’evoluzione segnata da alcune tappe fondamentali. Una è senz’altro rappresentata dallo studio del 2017 della scienziata statunitense del clima Brenda Ekwurzel, della Union of Concerned Scientists (UCS). In questo studio si esaminava in che misura l’aumento della CO2 in atmosfera, l’aumento delle temperature globali e l’innalzamento del livello dei mari è appunto attribuibile alle emissioni (di CO2 e di metano) prodotte dalle cosiddette carbon majors: sono le 90 società, quasi tutte nel business delle fossili – fra cui l’italiana Eni – più qualcuna di altri settori (cementifici), a cui sono imputabili circa i due terzi delle emissioni industriali globali storiche di CO2 e metano. Impressionanti i risultati dello studio, secondo i quali a queste sole società si può ricondurre il 57% dell’aumento della CO2 in atmosfera nel periodo 1880-2010, dal 42 al 50% dell’aumento della temperatura media globale della superficie terrestre, dal 26 al 32% dell’innalzamento del livello del mare a livello globale.
Qualche anno prima, nel 2014, era stata segnata un’altra tappa fondamentale con la nascita della World Weather Attribution Initiative, costituita grazie a un gruppo di scienziati, istituti universitari, enti di ricerca su clima e meteorologia a livello internazionale. Una delle cui fondatrici, la climatologa Friederike Otto, è stata citata dalla celebre rivista Nature fra i dieci scienziati al mondo che nel 2021 hanno contribuito di più a far avanzare la scienza. L’iniziativa è stata fra i protagonisti principali dello sviluppo di quella che essa definisce la scienza della Extreme Event Attribution e rappresenta oggi uno dei riferimenti imprescindibili a livello mondiale quando c’è da stabilire, in tempi anche molto brevi, se e quanto un evento estremo è dipeso o è stato amplificato dai cambiamenti climatici. Com’è avvenuto, per esempio, in occasione delle piogge e inondazioni particolarmente virulente che hanno colpito vaste aree dell’Africa occidentale lo scorso anno. O, più di recente, per le ondate di caldo che hanno interessato verso fine 2021 vari Paesi del Sud America, in particolare l’Argentina: il cambiamento climatico, hanno detto i ricercatori, ha aumentato di ben 60 volte la probabilità di un evento del genere. Le ondate di calore che nell’estate 2021 hanno invece colpito gli Stati Uniti e soprattutto il Canada (col termometro intorno ai 50°C), per i ricercatori del World Weather Attribution addirittura non sarebbero mai potute accadere senza i cambiamenti climatici.
Un’altra pietra miliare nello sviluppo della attribution science è stato l’articolo The Law and Science of Climate Change Attribution pubblicato nel 2020. Fra gli autori dell’articolo Michael Burger, direttore del Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University di New York, che ha creato e gestisce il database mondiale delle climate litigation, cioè dei contenziosi giuridici legati ai cambiamenti climatici. L’articolo, infatti, ha inquadrato forse per la prima volta in modo così organico le possibilità di applicazione della attribution science nel contesto legale e in particolare, appunto, nelle climate litigation. Burger e il Sabin Center, inoltre, in collaborazione con il Lamont-Doherty Earth Observatory della stessa università, curano il Climate Attribution Database, probabilmente il maggior contenitore al mondo di risorse sulla attribution science (oltre 500, ricercabili per macro-tema, area geografica e tipologia).
Come spiegato nell’articolo di Burger, il ruolo che la attribution science svolge nelle climate litigation sta crescendo d’importanza e potrebbe diventare realmente cruciale in futuro. Al riguardo un caso già oggi emblematico e forse destinato a diventare paradigmatico è quello di Lliuya v. RWE, colosso energetico e carbonifero tedesco al centro anche dei recenti fatti di Lützerath, il villaggio tedesco che non senza proteste e contestazioni è stato costretto a cedere il passo, scomparendo, di fronte all’ulteriore espansione di una già gigantesca miniera di lignite di proprietà appunto di RWE. Saúl Luciano Lliuya, contadino peruviano, ha citato RWE per le sue responsabilità nel cambiamento climatico, facendo riferimento alla quantità di emissioni di CO2 storicamente attribuibili alla società (fra le carbon majors di cui sopra). Il motivo è che la città natale di Lliuya, Huaraz, rischia di essere travolta dalle acque del lago Placacocha, che per effetto dei cambiamenti climatici si stanno ingrossando. Lliuya, sostenuto dalla Ong Germanwatch, ha citato RWE chiedendole un risarcimento danni per i costi che anch’egli ha dovuto sostenere nel tentativo di impedire che il drammatico evento possa verificarsi.
Fra coloro che hanno iniziato ad interessarsi da vicino ai risultati della attribution science, e al suo ruolo nei contenziosi climatici, c’è poi anche la finanza. A dimostrarlo basta il fatto che NGFS (Network for Greening the Financial System), la rete per la finanza “verde” costituita dai veri pesi massimi della finanza, le banche centrali,insieme alle authority dei mercati finanziari di mezzo mondo, ha dedicato spazio all’argomento nel suo report di fine 2021 sulle climate litigation, considerate una crescente fonte di rischio: «Da un punto di vista legale – si legge nel report -, tali prove (l’attribuzione di eventi meteorologici estremi all’influenza umana, e degli impatti dei cambiamenti climatici a singole entità, ndr) possono supportare i futuri tentativi dei querelanti di stabilire un nesso di causalità».
La prossima volta che un evento meteorologico estremo indotto o amplificato, quando non causato direttamente, dai cambiamenti climatici ci “entrerà in casa” – purtroppo non è una questione di sé, ma di quando -, non ce la si potrà prendere col destino cinico e baro. Si potrà invece con un certo e sempre maggiore grado di confidenza provare a identificare coloro i quali, da qualche parte nel mondo e per via dell’attività che fanno, o dei provvedimenti che non hanno preso, si possono ritenere più responsabili di altri dell’accaduto, e per quale quota. E da lì si potrà agire di conseguenza, anche per vie legali, per cercare di far sì che in futuro un evento del genere abbia meno probabilità di accadere, con meno frequenza, con effetti meno devastanti. La attribution science serve a questo. Nella lotta alla crisi climatica, non è un’arma da poco.