La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
La tesi dell’ultimo saggio di Michael Sandel è il ritratto pop del sistema educativo occidentale. E pone domande sull’ingiustizia sociale e sul populismo.
Immaginate di essere una studentessa o uno studente che, a scuola, frequenta le lezioni di matematica di uno strano docente. Questo insegnante ha un’abitudine: disporre in classe gli studenti tra i banchi in base al voto che prendono, dal più alto al più basso.
Chi ha 10 sta in prima fila al primo banco e, di seguito, siedono tutti gli altri. Ovviamente la classifica cambia durante l’anno e voi siete pure bravini: vi alternate tra la seconda e la quarta – quinta posizione.
Ora però pensate a chi sta nelle retrovie, perennemente affannato all’ultimo banco. Immaginate come questa ragazza o questo ragazzo trascorrano l’anno e vivano il confronto con gli altri. E immedesimatevi in un senso di esclusione o rancore, anche.
Questo racconto è un po’ il motore del libro di Michael Sandel, The tyranny of meritocracy, e viene dalla sua stessa esperienza di studente in una scuola americana di qualche decennio fa. Sandel è un intellettuale che, nel mio particolare pantheon, ha un grande merito: è raro che sia completamente d’accordo con ciò che dice, ma il suo modo di costruire ragionamenti genera sempre domande potenti.
E poi Sandel è pop, nel senso altissimo della parola. Riempie non a caso stadi, piazze, spazi come una rockstar della filosofia, il che lo rende probabilmente inviso a un certo mondo accademico e, invece, suscita in me l’ammirazione dell’invidioso.
La tesi del nuovo saggio, concentrato sugli Stati Uniti ma intriso di pensiero critico sullo stile di vita occidentale, è che il sistema educativo americano (ma anche nostro) imperniato sulla meritocrazia abbia finito con l’incentivare, se non il favorire, un’aristocrazia delle élite altamente istruite.
Se vi risuona l’hashtag #radicalchic o #intellettualeallevongole, parliamo un po’ di quell’atteggiamento snob che davvero torna all’origine latina del sine nobilitate: il privilegio di una classe che si conquista con merito una posizione sociale dimenticandosi, tuttavia, di non averlo di fatto completamente meritato.
A Princeton e a Yale, per esempio, créme del sistema universitario americano, la maggioranza degli studenti proviene da famiglie che appartengono all’1% più ricco nella distribuzione del reddito più che al 60% più povero. Due terzi degli studenti in tutte le scuole della Ivy League (sono le università top) provengono da famiglie del 20 per cento più ricco. E ciò è in gran parte dovuto al privilegio intrinseco che deriva dall’esistenza stessa di chi ha un reddito superiore: conversazioni stimolanti a cena, scuole migliori, tutor privati, viaggi all’estero.
Noi economisti le chiamiamo esternalità positive: in filosofia Sandel le considera una forma di ingiustizia sociale.
Sandel non se la prende necessariamente con i genitori di chi, per riprendere la metafora degli studenti seduti in ordine di voto, sta in prima fila. Tuttavia, descrive le storture di un sistema in cui queste persone sono arrivate a immaginarsi più intelligenti, più saggie, più tolleranti – e quindi più meritevoli di riconoscimento e rispetto – rispetto a quelle che non hanno il patentino dell’altamente istruito. Una ragione di ciò, suggerisce, risiede nella “retorica dell’ascesa sociale” tipicamente americana. Sia i genitori ricchi che quelli poveri dicono ai loro figli che se ci provi abbastanza, puoi raggiungere i tuoi obiettivi. Per chi sta mediamente in alto, le cose potrebbero anche funzionare, ma per i colletti blu in libera caduta verso l’abisso e per i più poveri, l’esito è decisamente più infelice. Così, se non riescono a raggiungere i loro obiettivi – che un’economia passivamente quasi garantisce – incolpano sé stessi e si frustrano. «Se solo avessi potuto ottenere quella laurea», pensano. In una feroce guerra tra poveri, osserva Sandel, anche le persone meno istruite finiscono con il disprezzare… le persone meno istruite.
Questo è il germe tossico del distanziamento sociale e della polarizzazione, la prateria sconfinata all’interno della quale, per fare un nome, Donald Trump sguazza dichiarando: «Io amo le persone poco istruite».
Sull’onda dell’automazione crescente e di una globalizzazione diseguale, in termini di salari reali, un uomo bianco con un semplice diploma di scuola superiore guadagna meno ora di quanto non guadagnasse nel 1979 negli USA. La dignità del suo lavoro è fortemente diminuita. E dal 1965, gli uomini con un’istruzione superiore nel mezzo del cammin di loro vita – dai 25 ai 54 anni – sono scivolati fuori dalla forza lavoro. Di tutti gli americani il cui grado più alto d’istruzione è un diploma di scuola superiore, nel 2017 solo il 68 per cento lavorava. E con la crescente disperazione, molti stanno rinunciando alla vita stessa e a lottare.
Ecco, Sandel lancia il campanello d’allarme a tutti i privilegiati altamente istruiti che dichiarano: «eliminiamo il suffragio universale domani mattina», «mi vergogno del mio paese e voglio emigrare» o che gridano al catastrofismo ogni volta che si afferma politicamente una forza antisistema.
Se in qualcosa il libro di Sandel manca, è nell’analisi del fenomeno opposto che accade proprio all’interno della popolazione degli esclusi: la crescente sfiducia nei confronti delle competenze e, dunque, nel ruolo di motore sociale dell’istruzione. Libri come La tirannia della meritocrazia provano a gettare ponti prima che essi vengano abbattuti.