La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Le conseguenze della pandemia impongono un ripensamento delle città, della vita e del lavoro delle persone che non può non avere un impatto sui mezzi di trasporto. Per risolvere le criticità servirà affidarsi alle nuove tecnologie ed alla smart mobility.
Le conseguenze della pandemia impongono un ripensamento delle città, della vita e del lavoro delle persone che non può non avere un impatto sui mezzi di trasporto. Per risolvere le criticità servirà affidarsi alle nuove tecnologie ed alla smart mobility.
La pandemia del coronavirus rappresenta per la storia della civiltà moderna un evento non tanto dissimile dai fenomeni pestilenziali del medioevo come la Peste Nera del ‘300. Se allora le maggiori conseguenze si riscontrarono sopratutto nel rapporto tra le città e le campagne, oggi si avranno prima all’interno degli agglomerati urbani e quindi sulle aree limitrofe. Il motivo è presto detto: rispetto al passato gli spostamenti delle persone hanno assunto un ruolo fondamentale nel plasmare l’urbanistica e l’architettura urbana. Non a caso la civiltà moderna dipende, nel bene o nel male, dall’automobile.
La pandemia comporta, però, un totale ripensamento degli spazi e quindi del concetto stesso degli spostamenti. Un aiuto imprescindibile lo stanno fornendo proprio le nuove tecnologie. Basti pensare a quanto sta avvenendo a Milano. Giustamente il Comune ha deciso di cogliere l’opportunità di accelerare il passaggio verso una mobilità più dolce e rispettosa dell’ambiente con nuove piste ciclabili non senza creare, però, una serie di problematiche parzialmente compensate dal pervasivo utilizzo, da parte di aziende e uffici, di strumenti per il telelavoro. Il restringimento delle carreggiate e l’eliminazione dei parcheggi ha, infatti creato ingorghi e difficoltà, che con un maggior traffico veicolare, avrebbero sicuramente reso inutile il pur giusto intervento del comune.
La domanda da porsi è, dunque, semplice: si può pensare di ripensare le città senza prestate attenzione al mezzo preferito dagli italiani? La risposta è un netto no alla luce di alcune ricerche che evidenziano un aumento dell’utilizzo delle auto private. L’Osservatorio Autopromotec, struttura di ricerca dell’omonima fiera bolognese dedicata alle attrezzature e all’aftermarket automobilistico, ha elaborato una serie di dati dell’Isfort (Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti) arrivando alla conclusione che durante la Fase 1 dell’emergenza sanitaria gli italiani hanno “decisamente orientato le proprie scelte di mobilità verso i mezzi privati motorizzati”. In particolare, tra l’entrata in vigore del lockdown (11 marzo) e la fine della Fase 1 (3 maggio), la quota di chi ha optato per un auto o una moto è salita dal 56,5% al 61% mentre è calata dal 10,1% al 4,1% la percentuale di chi ha preferito il trasporto pubblico. Non è, invece, esplosa, come auspicato evidentemente dai decisori pubblici, la quota di bici e pedoni: l’aumento è stato leggero, dal 33,4% al 34,9%.
Dunque, ha osservato l’Osservatorio – rimane di «fondamentale rilevanza” il ruolo svolto “dall’auto privata nel nostro Paese anche in una situazione di emergenza». Del resto le quattro ruote rappresentano il mezzo più sicuro perché «in grado di garantire il distanziamento sociale necessario per compiere un viaggio in totale sicurezza». Il 4 maggio è iniziata la Fase 2 con l’allentamento alle restrizioni alla circolazione, ma per la struttura di ricerca «è lecito ritenere che l’auto privata rimanga ancora la protagonista indiscussa degli spostamenti». Lo dimostrano i primi sondaggi. Secondo una ricerca condotta dall’azienda di consulenza Areté sulle abitudini degli italiani tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, il 70% degli italiani utilizzerà l’auto per i propri spostamenti anche dopo la fine dell’emergenza e solo il 10% tornerà a servirsi dei mezzi pubblici.
La congestione delle città rischia, pertanto, di aumentare una volta finita la “sbornia” da smartworking ma le nuove tecnologie possono comunque fornire un aiuto probabilmente fondamentale, sempre che vengano risolte una serie di criticità. In tal senso uno spunto interessante è emerso durante una tavola rotonda virtuale organizzata dall’Ispi dal tema “Smart mobility e smart working: come cambiano i flussi in città dopo il Coronavirus?”. Giacomo Lovati, Chief Telematics and Insurance Services Officer di UnipolSai ha, infatti, posto l’accento su quanto importante possa diventare la gestione dei dati raccolti tramite le nuove tecnologie. La compagnia assicurativa bolognese, leader nel mercato delle polizze auto con il 23%, può infatti contare sull’enorme database creato grazie alla decisione di una parte consistente dei suoi 10 milioni di clienti di affidarsi alle nuove soluzioni telematiche: sono 4,2 milioni le black-box istallate sui veicoli assicurati da UnipolSai. Con le scatole nere è stato accumulato un patrimonio di dati che per Lovati «può offrire un contributo fondamentale sui flussi di traffico delle aree urbane in quanto in grado di comprendere i flussi di traffico delle città, lo stato di usura delle strade e, addirittura, una mappa delle buche di ogni città. E’ un patrimonio informativo incredibile che rende la compagnia un partner ideale per ragionare di nuove forme di mobilità con le istituzioni. Una compagnia assicurativa può aiutare nella definizione di modalità di trasporto intermodali individuando, a titolo di esempio, dove posizionare le colonnine per la ricarica delle auto elettriche o le stazioni di fermata dei mezzi pubblici».
L’obiettivo ultimo è “ottimizzare la viabilità” in un momento in cui si assisterà a un ulteriore cambiamento nel paradigma di fruizione delle varie forme di mobilità con riduzione delle soluzioni disponibili. I timori per la sicurezza imporranno, infatti, un rallentamento di servizi come il car-sharing e il car-pooling fino a pochi mesi fa in rapida espansione. Ne è convinto anche Lovati: «Ci sarà una riduzione dello sharing e del pooling unita a una necessaria riduzione dell’utilizzo dei mezzi pubblici per contrastare la diffusione del contagio. In questo scenario, sarà necessario ripensare la mobilità in un’ottica agile e smart, dove forme quali il noleggio a lungo termine potrebbero sviluppare interessanti tassi di crescita».
La scommessa per il futuro continuerà, comunque, ad essere il trasporto multimodale ma in un’ottica totalmente diversa che impone, innanzitutto, la necessità di risolvere tre criticità rilevanti per riuscire a sfruttare appieno le nuove tecnologie, in particolare quelle per la geolocalizzazione. Per il manager della compagnia assicurativa le persone dovranno accettare di comunicare la propria posizione e quindi si dovrà affrontare il tema della privacy. Un secondo aspetto da non sottovalutare è il rapporto tra operatori pubblici e privati perchè sarà necessario elaborare proposte di trasporto integrate. Infine, il terzo aspetto è legato sempre alle relazioni tra pubblico e privato: infatti, «la capacità decisionale del privato è sensibilmente più rapida di quella del pubblico».
Risolti questi punti deboli si potrà, probabilmente, trovare un nuovo equilibrio che possa realmente risolvere molti dei problemi di mobilità di diretta conseguenza della pandemia. Di certo la crisi del coronavirus, per quanto sia sicuramente un evento negativo, rappresenta come al solito un’opportunità da cogliere al volo per ripensare la società e quindi compiere un salto in avanti tecnologico e innovativo. Solo così potrà scattare l’ora della vera smart mobility.