Siamo pronti all’IAcene?
L’intelligenza artificiale è arrivata e non manca giorno che non scopriamo nuove applicazioni. Siamo di fronte a una rivoluzione copernicana al punto che possiamo parlare di IAc
Il giornalismo dei dati sarà uno degli argomenti cardine del Festival di Perugia. Ecco in che modo se ne parlerà e perché Osservatori, business model e membership sono sempre più protagonisti.
Il data journalism sarà uno degli argomenti cardine del Festival di Perugia. Ecco in che modo se ne parlerà e perché Osservatori, business model e membership sono sempre più protagonisti.
Che i numeri siano il sale del giornalismo, che i giornalisti si nutrano di cifre per commentare, analizzare e a volte anche “cristallizzare” un fenomeno non è di certo una novità. Quello che è invece “nuovo” è che questo bisogno sia sempre più crescente, quasi imperativo, e soprattutto è diverso il modo in cui questi dati vengono fruiti, utilizzati e contestualizzati. Tant’è che da qualche anno a questa parte si parla di “data journalism”. Ossia quel giornalismo che usa gli strumenti della matematica, delle scienze sociali, della statistica descrittiva e che assume sempre più importanza in un mondo sovraffollato da fake news (false o ingannevoli) e da click baiting (titoli acchiappaclick).
Di data journalism e di dati si parla da più punti di vista alla 13esima edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, iniziato il 3 aprile: i dati dei social e come estrarli per costruire una notizia, un’inchiesta o un reportage, l’importanza dei numeri anche per le redazioni locali, gli Osservatori e il loro ruolo nel mondo giornalistico contemporaneo e dello storytelling aziendale, le startup che proprio ai dati sono dedicate e ancora nuovi modelli per finanziare i giornali.
C’era un tempo in cui il giornalismo e i social si guardavano a vicenda, a volte anche a distanza di sicurezza, altre volte riconoscendo l’uno all’altro un ruolo, altre volte amandosi alla follia (come quando per raccontare una notizia ci si rifà a cosa dice il cosiddetto “popolo della Rete” o si prendono da Twitter o Facebook dichiarazioni dei politici o stralci di una diretta). Il data journalism va a un livello più profondo e da quello che ogni giorno produciamo – consapevolmente o inconsapevolmente – su Instagram, LinkedIn & co. riesce a estrarre dei dati e/o delle informazioni che permettono di creare reali approfondimenti e di avere una panoramica dettagliata e “testimoniata” di quello che succede nel mondo. La capacità di sapere raccogliere numeri dove molte persone vedono soltanto parole, di saperli utilizzare per costruire dei fatti si combina con l’uso di software e strumenti che consentono al data journalist di automatizzare la raccolta dei dati, di favorirne l’aggregazione e l’eventuale comparazione con altre fonti. I dati, poi, senza il “visual”, lo sappiamo, riescono a comunicare fino a un certo punto, ecco perché per costruire un reportage o un’inchiesta, spesso ci si avvale di infografiche. Al Festival del Giornalismo a tenere un workshop pratico in merito è Pier Luca Santoro, responsabile di DataMedia Hub.
Di data journalism, però, non vivono solo i grandi giornali e i grandi giornalismi, ma i numeri possono aiutare anche la stampa locale a rafforzare quel ruolo di punto di riferimento che negli ultimi anni sembra vacillare un po’. Essere piccoli per altro può essere un vantaggio, come ha avuto modo di dire Megan Lucero in un paper a cura di Bettina Figl e pubblicato da Reuters Institute per lo studio del giornalismo e dall’Università di Oxford dal titolo “Bigger is not always better: What we can learn about data journalism from small newsrooms”.
Lucero, che per altro coordina il Bureau Local del Bureau of Investigative Journalism nel Regno Unito, è presente al Festival del Giornalismo nel panel “Data Journalism: una rivoluzione per il giornalismo locale” insieme a Marianna Gedi, responsabile Visual Lab del Gruppo Gedi, Letizia Gambini dell’European Journalism Centre e Marie-Louise Timcke, a capo di Funke Interaktiv, data team di Funke Media Group. Dicevamo: il data journalism può essere un vantaggio per il local perché «è molto più facile per le piccole redazioni cambiare e introdurre nuove cose» afferma Lucero. Non solo perché chi meno ha più si spende, ma perché, sempre a detta dell’esperta «in un’organizzazione più ristretta è più facile instaurare partnership con accademici e ricercatori». Un esempio di data journalism locale è Berlin Morgenpost, quotidiano, come si intuisce, nato a Berlino addirittura alla fine dell”800 e che realizzando inchieste grazie al data journalism è riuscito a svecchiare la sua immagine e a essere più volte premiato per il suo lavoro. Restando nel nostro Paese, c’è per esempio il caso di Cittadini Reattivi, community e progetto giornalistico nato nel 2013 grazie a Rosy Battaglia, che ha dato vita a diverse inchieste sull’amianto in Italia partendo dalla Lombardia.
Di supporto al giornalismo locale, ma in generale a qualsiasi tipo di giornalismo, ma anche per aiutare a costruire lo scenario generale e le aziende stesse a raccontarsi, o per meglio dire a fare storytelling, sono gli Osservatori. Preziosi come strumento di ricerca e di business – che parte proprio dai dati – ma anche come risorsa cui attingere per la produzione di contenuti. Osservatori presenti e “analizzati” nelle loro funzioni durante un altro panel del Festival del Giornalismo il 5 aprile e organizzato dal Gruppo Unipol. Il titolo del panel, moderato da Giampaolo Colletti, è “Gli Osservatori sono strategici per lo storytelling dell’azienda?” e a parlarne sono Fernando Vacarini, direttore responsabile di Changes Unipol, Liliana Cavatorta, responsabile dell’Osservatorio Reputational & Emerging Risk del Gruppo Unipol, Fiammetta Fabris, CEO di Unisalute, Marco Lanzoni, responsabile finance di SCS Consulting. Il Gruppo Unipol, di suo, è un’eccellenza visto che ha al suo interno 3 diversi Osservatori: l’Osservatorio Unipolsai sulle abitudini di guida degli Italiani, l’Osservatorio Reputational & Emerging Risk e l’Osservatorio UniSalute.
Il primo analizza i trend che riguardano la guida ma anche il modo in cui nel nostro Paese – con le dovute differenze tra Nord e Sud – si affronta il tema sicurezza quando si è sulla strada. Solo per fare un esempio: nell’ultima indagine è emerso che c’è un uso più frequente dell’auto per tratte più brevi ma anche una riduzione della velocità. L’Osservatorio Reputational & Emerging Risk (R&ER) sul mondo assicurativo, grazie alla mappatura di 100 temi emergenti, di 14 macro trend nel radar, di 12 nuovi temi “to watch” (ossia da presidiare) e 30 indicatori che vengono considerati nel monitoraggio, mette in luce quali sono i nuovi fenomeni emergenti e quali tra questi meritano un’attenzione a parte. Monitoraggio, valutazione, analisi ma non solo: fondamentale per l’Osservatorio è analizzare i potenziali rischi in modo che ogni strumento, ogni novità possano essere utilizzati in modo più consapevole. L’Osservatorio Unisalute, invece, fornisce dati, rapporti e approfondimenti sulla salute degli Italiani, sul loro rapporto con le cure sanitarie, sulle spese, anche suddivise per regione, sulle polizze utilizzate e tanto altro ancora.
Le aziende e i modelli di business, rapportati ai dati e non solo, protagonisti al festival anche grazie ad altri panel in cui si parla di startup giornalistiche, di branded content, di nuovi modi di finanziare i contenuti, di membership e tanto altro. Contenuti più che mai attuali per un giornalismo che non ha bisogno solo dei numeri per costruire le notizie, per raccontare storie, ma soprattutto per finanziarsi. Migliorando le strategie di distribuzione e reinventando quella che da sempre viene anche chiamata – non a torto – industria dell’informazione.