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Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
La nuova sfida dell’economia che parte dal mare che offre modelli di gestione, produzione e consumo. E crea lavoro blu. Changes ne ha parlato con l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale OGS di Trieste.
La nuova sfida dell’economia che parte dal mare che offre modelli di gestione, produzione e consumo. E crea lavoro blu . Changes ne ha parlato con l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale OGS di Trieste.
È scoccata l’ora in cui scienziati e imprenditori devono adottare più principi produttivi in grado di sostenere l’ambiente e promuovere salute e vita. Per arrivare a questo cosiddetto lavoro blu, sono i sistemi naturali a offrire esempi ed efficienti modelli di gestione, di produzione e di consumo. Ecosistemi che nella loro visione di insieme dimostrano modi veramente sostenibili di reagire ai bisogni primari di ogni individuo attingendo a risorse disponibili a livello locale.
Questo è uno dei principi portanti della Blue Economy che si contrappone a una economia fondata su quello che non possediamo, su quello che va prodotto. L’economista belga Gunter Pauli, ideatore della Blue Economy, invita a prendere ispirazione dalla natura e individuando nuove modalità per superare la crisi finanziaria e a puntare il dito contro la “cultura del consumo” che non considera la natura anzi la maltratta. Ma cosa si intende per blue economy e su cosa si fonda? Facciamo una premessa. Oggi Le cattive notizie non riguardano più solo lo stato dell’ambiente del nostro pianeta. La sua vulnerabilità si ripercuote anche sul sistema economico che chiaramente, sta vacillando. Questa destabilizzazione della nostra economia è dovuta al nostro mondo materiale che funziona sulla base di risorse fisiche di cui semplicemente non disponiamo o su rifiuti che non sappiamo più come smaltire o addirittura dove nascondere. Per questo gli approcci economici odierni devono trasformarsi.
Probabilmente il primo cambiamento a favore del lavoro blu da attuare è proprio quello di smettere di produrre ciò che non serve, specialmente ciò che è tossico per noi e per gli altri esseri che con noi vivono in questo pianeta. Ecco perché si deve andare oltre una economia bastata sulla eccessiva estrazione di risorse naturali che comporta massiccia produzione di rifiuti, scarti e inquinamento. La grande sfida del nostro tempo diventa quindi quella di vivere bene nel limite naturale superando la cultura della dissipazione e dello scarto. Per assicuraci un lavoro blu , si devono superare alcune abitudini che si sono consolidate nella vita di ciascuno di noi. Dobbiamo ritornare a essere parte consapevole di un ecosistema dove è possibile avere accesso a molte materie prime locali a basso costo più di quanto si possa immaginare. E queste sono anche in grado veramente di moltiplicare anche nuove attività imprenditoriali creando anche una nuova occupazione più diffusa e rispettosa del territorio e delle persone.
«Ci renderemo conto prima o poi che il problema da risolvere non è quello di generare meno scarti, bensì di non sprecare gli scarti prodotti», afferma Pauli invitandoci a guardare le cose da una nuova prospettiva. Agli occhi del fondatore della blue economy, “biodegradabile” non va sempre a braccetto con “sostenibile” e il commercio equo e solidale non è la via migliore per aiutare i Paesi in via di sviluppo. I principi della blue economy si ispirano al funzionamento degli ecosistemi naturali dove nulla è sprecato e tutto viene riutilizzato all’interno di un processo “a cascata” che trasforma i rifiuti di un ciclo in materie prime di un altro ciclo. Per questo la crescita blu ha una visione a lungo termine. In Europa si basa sull’idea che il mare rappresenta un potenziale economico per l’intera Europa. La Crescita Blu (Blue Growth) è un’iniziativa della Commissione europea per valorizzare il potenziale dei mari, degli oceani e delle coste europee per la creazione di nuove opportunità di lavoro e di nuove aziende nei settori produttivi della “Economia Blu”, in maniera sostenibile, attraverso la promozione della ricerca, del trasferimento tecnologico e del partenariato tra ricerca scientifica e settore industriale. E se la Blue economy si fonda sulla responsabilità, individuale e collettiva, che parte dal mare come esempio ma non si esaurisce nel mare e con il mare, la sperimentazione di questo modello di sviluppo riguarda non soltanto la pesca, ma si estende a tutte le filiere produttive, dall’agroindustria, al manifatturiero, al turismo. Per questo la Blue Economy spinge a compiere un cambiamento, che parte dalla considerazione che 3/4 del pianeta è costituito da risorse acquatiche: ispirare le scelte migliori per il pianeta e le persone che lo abitano.
Tra i progetti seguiti dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale OGS di Trieste per applicare la Blue Economy, ve ne è uno che ha avuto recentemente un ricevuto un prestigioso riconoscimento: il label del Segretariato Generale dell’Unione per il Mediterraneo. Il progetto sui “lavori blu del futuro” denominato “BlueSkills: Blue Jobs and Responsible Growth in the Mediterranean throughout Enhancing Skills and Developing Capacities”. È una iniziativa supportata dall’Italia e dal Ministero per l’istruzione, Università e la Ricerca – MIUR nell’ambito del forum intergovernativo per il mediterraneo occidentale. Ci spiega la dott.ssa Paola del Negro, direttrice dell’Istituto OGS, che il progetto ha come obiettivo principale lo sviluppo delle competenze, l’alta formazione e la mobilità internazionale nel settore marino e marittimo e affida all’Italia e all’OGS l’importante compito di promuovere il dialogo e la cooperazione nord-sud nel settore della crescita blu sostenibile. «Il nostro progetto BlueSkills mette in primo piano tutte tematiche legate al mare e si inserisce inoltre nella direzione della Diplomazia Scientifica. Siamo consapevoli che la scienza ha uno straordinario potere unificante. La conoscenza è trasversale e accrescerla è un vantaggio per tutti. Gli interventi che seguiamo per questo progetto prevedono una serie di azioni, quali scuole di alta formazione annuali sull’economia blu, un master universitario internazionale di secondo livello, un programma dedicato alla mobilità internazionale e l’accesso alle infrastrutture di ricerca.
Nel dettaglio il progetto BlueSkills definisce un programma quinquennale incentrato sulla formazione altamente qualificata e sulla mobilità nel Mediterraneo per professioni legate all’ “economia blu” con una particolare attenzione alla sostenibilità. Si compone di una partnership di 12 enti del Mediterraneo Occidentale, centri di ricerca, università e agenzia specializzate e mira a creare una rete scientifica e professionale a lungo termine per lo sviluppo delle capacità e delle competenze nei settori legati alla sustainable blue growth . «Lo scopo primario è promuovere nuove opportunità d’impiego soprattutto per i giovani che nella regione del Mediterraneo occidentale soffrano una alta percentuale di disoccupazione e che nel settore blu potrebbero cogliere nuove opportunità di imprenditoria».
Anche Venezia lo scorso 22 maggio è stata al centro del dibattito sull’importanza del nuovo approccio economico. Grazie al lavoro di Unioncamere del Veneto, nell’ambito del progetto Beat, Blue enhancement action for technology transfer, finanziato dal Programma Ue Interreg V Italia-Croazia 2014-2020, si è svolto un importante incontro tra partener italiani e croati. Le imprese della filiera nautica si sono confrontate per migliorare le proprie conoscenze sull’innovazione ma anche per sviluppare relazioni di ricerca, tecnologiche e di business. Miglioramento dell’innovazione, promozione dello sviluppo di tecnologie marittime, conoscenza, formazione e condivisione.