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Negli ultimi 10-15 anni, sottotraccia e senza troppi clamori, si è sviluppata una rivoluzione che ha cambiato il mondo delle relazioni romantiche. I giovani descrivono una societ
E-commerce, pubblicità di massa, nuovi consumatori e intelligenza artificiale stanno rivoluzionando la vita delle aziende. Vinca il più forte.
Alcuni marketer sono, in fondo, come dei serial killer. Non è bastato loro evocare dapprima la morte della televisione lineare, sono poi passati ad evocare la morte della pubblicità di massa. No, ora questi oracoli stanno cantando anche la morte dei brand. E le cause che vengono elencate sono principalmente queste quattro: la crescita del commercio elettronico che ha trovato forte spinta con il Covid-19, le recensioni online dei consumatori, il declino della pubblicità di massa ed ora anche l’intelligenza artificiale.
Proverò a smontare questi pseudo-argomenti, dimostrando che in realtà si tratta di falsi miti, narrazioni non dimostrabili nella realtà. E scusate se apparirò un po’ giocoso.
“L’e-commerce ha reso tutti i prodotti disponibili per la scelta e li ha messi a distanza di un clic. I consumatori hanno quindi una illimitata possibilità di scelta, e questo riduce enormemente il valore del brand”
In realtà l’iper disponibilità non è una novità. I mega supermercati e i grandi centri commerciali esistono da abbastanza tempo per capire che i brand non soffrono affatto di iper-disponibilità. Semmai mostra che i marchi prosperano nei mercati caratterizzati da iper-disponibilità, proprio perché il loro scopo principale è quello di facilitare il processo di scelta da parte del consumatore.
Un sotto argomento derivato dal primo mito è che l’avvento e la diffusione del commercio elettronico hanno tolto potere di negoziazione ai brand per occupare lo spazio migliore sugli “scaffali digitali”.
In realtà tutto ciò non è per niente vero. Da quanto mi risulta – e ne sono certo – questo tipo di negoziazioni sono ancora una pratica comune. I retailer online praticano prezzi diversi in funzione di una diversa “toccabilità”. È sbagliato pensare che Amazon non valorizzi l’accesso alla “prima pagina” in modo diverso dalla “seconda pagina”.
Quindi, chissà, forse l’e-commerce aumenterà il valore che deriva da un marchio forte, ad elevata riconoscibilità.
“I consumatori sono oggi in grado di filtrare le balle raccontate dal marketing e individuare così i prodotti realmente migliori”
Questo secondo pseudo-argomento è anch’esso collegato al commercio elettronico. Sicuramente, quando i prodotti appartenenti ad una categoria sono facilmente comparabili, allora l’argomento ha una sua validità. Ma i casi in cui questo si verifica sono pochi, e sappiamo anche che le decisioni di acquisto dei consumatori quasi mai sono guidate da valutazioni razionali.
In realtà, chiunque abbia dedicato del tempo, come ho fatto io, ad analizzare le recensioni sui siti di e-commerce, può facilmente verificare che i marchi concorrenti tendono ad avere valutazioni molto vicine tra loro, e nei pochi casi in cui le valutazioni sono differenti questo non ha necessariamente effetti sugli acquisti (motivo per cui ad esempio non esiste correlazione tra le recensioni dei film ed i loro incassi).
Inoltre, per un consumatore è più facile confermare la scelta di acquisto di un brand familiare piuttosto che sceglierne uno nuovo attraverso un processo razionale di valutazione e scelta (questo a causa di quello che chi si occupa di psicologia del consumatore chiama halo-effect). D’altra parte, come tutti sanno, un brand forte – dotato cioè di elevata riconoscibilità – non riesce a contro-bilanciare un livello scadente di qualità del prodotto. Quest’ultima però non è una indicazione che il branding abbia fallito, in realtà è la conseguenza del fatto che la parola “brand” viene spesso confusa con l’intera azienda che possiede quel brand. Sono piuttosto sicuro che un brand molto riconoscibile che rappresenta prodotti ormai superati, possa essere rianimato da un buon nuovo prodotto (un esempio per tutti: Nokia).
“I brand sono un sottoprodotto della pubblicità di massa. La pubblicità di massa sta morendo e quindi anche i brand moriranno”
Anche se manteniamo valida l’ipotesi che la pubblicità di massa stia davvero morendo, la relazione di causalità che porterebbe a prevedere la morte dei marchi, ha chiaramente i suoi limiti. Essa infatti presuppone che i brand non abbiano altri modi per comunicare, mentre sappiamo che i “brand” esistevano già agli albori della civiltà umana – i culti servivano per trasmettere il valore di un “brand” molto prima che nascesse la Coca-Cola. Inoltre, tale relazione attribuisce un nesso di causalità tra la diffusione dei brand e la crescita della pubblicità. In realtà ciò che è certo è solamente il fatto che entrambi esistevano alla nascita dei consumi di massa. Non dimostra per niente che i brand siano il risultato della pubblicità di massa. Il fatto che molte persone che oggi evocano la morte dei brand, allo stesso tempo vendano servizi per sviluppare il valore dei brand senza l’uso della pubblicità di massa, suggerisce al contrario che i brand potrebbero sopravvivere alla morte della pubblicità di massa.
“L’intelligenza artificiale cambierà il modo in cui scopriamo i brand”
Questo è certamente il mito che più si può avvicinare alla realtà. L’intelligenza artificiale potrebbe veramente cambiare il modo in cui scopriamo i prodotti. Se ad esempio si chiedesse ad Alexa di suggerirci un sapone liquido da acquistare, è molto probabile che il suggerimento ci porti verso “Presto” – un brand di Amazon – invece che verso “Dove”. D’altra parte, sappiamo che i consumatori tendono a cercare di più la categoria rispetto al brand, ed è quindi possibile che la scoperta del prodotto venga delegata ad altri o, come in questo caso, a qualcosa d’altro. Questo implica però che il consumatore sia disposto a delegare la scelta, quando in realtà i consumatori amano scoprire i prodotti da acquistare molto di più di quanto si pensi (e questo è il motivo per cui tanta gente “perde tempo” passeggiando nelle vie dello shopping) e, in secondo luogo, implica che i consumatori accetterebbero di acquistare un brand anche se diverso da quello preferito. Ovviamente, non tutte le categorie risentirebbero allo stesso modo di questi effetti, motivo per cui categorie altamente “commoditizzate” – come il sapone liquido – diventerebbero meno sensibili al branding.
Ma tutto ciò costituisce qualcosa di davvero nuovo? Alcuni di voi potrebbero pensare che l’intelligenza artificiale minaccia solo i brand di massa. A costoro risponderei con una semplice osservazione: avete notato quali sono le aziende di maggiore successo negli ultimi anni? Sono tutti brand di massa!
Pensare che i brand di massa non abbiano futuro, significa ignorare l’aritmetica di ciò che li rende brand di massa: sono brand di massa perché sono acquistati e usati da molte persone, non perché sono amati in modo “irragionevole” da molte persone.
L’errore sta nel pensare che la morte di alcuni brand sia il risultato della debolezza di quei brand, quando in realtà si tratta solitamente di una semplice evoluzione delle normali dinamiche di mercato legate alla categoria a cui appartiene il brand: maggiore maturità e maggiore concorrenza da parte di categorie vicine, fattori che aumentano la frammentazione e la possibilità di scelta.
I brand quindi, non sono il risultato di un lavaggio del cervello o di uno spamming, essi sono semplicemente una parte essenziale dei nostri processi cognitivi. Prevedere la morte dei brand significa non comprenderne la loro natura darwiniana: non esistono perché ci sono stati imposti, esistono perché ci fanno comodo, ci aiutano a vivere meglio.