Stacchiamo la spina al tumore

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Stacchiamo la spina al tumore

Una scoperta tutta italiana punta a indebolire le cellule impazzite che causano il tumore e apre nuovi scenari per cure personalizzate. Changes ne ha parlato con Antonio Iavarone, autore della ricerca.

Una scoperta tutta italiana punta a indebolire le cellule impazzite che causano il tumore e apre nuovi scenari per cure personalizzate. Changes ne ha parlato con Antonio Iavarone, autore della ricerca.  

Togliere benzina al “motore” che fa proliferare le cellule tumorali. È questa la nuova frontiera della guerra contro il tumore. Come in un grande campo di battaglia i medici e i ricercatori stanno ingaggiando una lotta senza quartiere contro un nemico che per conquistare nuovi spazi si serve di “rifornimenti”, esattamente come farebbe un vero e proprio esercito. Tagliarli vuol dire costringere “la macchina tumorale” a fermare la sua avanzata alla conquista distruttiva del corpo del paziente. Su questo fronte combattono da anni Antonio Iavarone e la moglie Anna Lasorella, ricercatori italiani costretti a lasciare l’Italia e a emigrare negli Usa, alla Columbia University di New York, per continuare liberamente il loro lavoro. Una scelta che li ha premiati visto che la prestigiosa rivista Nature ha da poco pubblicato una ricerca che porta la loro firma.

In pratica gli scienziati sono riusciti a individuare il modo in cui la fusione di due geni, riscontrata nel 3-4% dei malati colpiti dalla maggior parte dei tumori umani, provochi l’insorgenza del cancro, fra cui anche il famigerato glioblastoma, una forma particolarmente aggressiva di neoplasia cerebrale. «Lo studio – spiega Iavarone –  ha dimostrato che l’unione dei geni FGFR3 e TACC3 attiva i mitocondri e ne aumenta il numero. I mitocondri sono microscopiche strutture che hanno la funzione principale di produrre energia che viene sfruttata proprio dalle cellule tumorali, caratterizzate da un’attività metabolica molto elevata, per moltiplicarsi senza controllo e invadere l’organismo del paziente».

Una scoperta eccezionale che rappresenta il compendio di un’altra ricerca, firmata sempre dai due italiani e dal loro team, che risale al 2012. Sei anni fa i ricercatori riuscirono a dimostrare l’esistenza per la prima volta al mondo proprio della fusione genica, un’evidenza poi confermata da altri studi internazionali, senza però riuscire a individuarne il meccanismo sottostante. Anche in quell’occasione la ricerca ebbe il suo suggello ufficiale con la pubblicazione su una prestigiosa rivista, Science. Oggi si è compiuto un passo avanti fondamentale gettando luce sul modo in cui questi due geni, o meglio la loro fusione, scatena la malattia e aprendo nuovi scenari sul fronte delle contromisure da adottare.

«​A Parigi – spiega Iavarone – presso l’Ospedale Pitié Salpetriere, l’equipe del professor Marc Sanson, dopo un periodo di sperimentazione su cavie animali che ha dato ottimi risultati, utilizza su pazienti affetti da glioblastoma ‘farmaci bersaglio’ che puntano a bloccare la fusione genica. Purtroppo spesso i tumori diventano resistenti a queste misure ma adesso con la scoperta di cui si parla su Nature potremo avere a disposizione in futuro una nuova arma nel nostro arsenale. Abbiamo infatti sperimentato su cellule in coltura e sui topi degli inibitori della produzione di energia mitocondriale che agiscono direttamente sul meccanismo che abbiamo scoperto di recente, con buoni risultati. In pratica in laboratorio siamo riusciti a tagliare i rifornimenti di energia alle cellule tumorali bloccandone crescita e diffusione. Il prossimo passo sarà quello di aggiungere questi inibitori anche al trattamento clinico dei pazienti per integrarla con i farmaci ‘bersaglio’ in maniera da ottenere un’azione combinata. Attenzione però, non vorrei creare false illusioni: stiamo parlando sempre di terapie personalizzate e non di una soluzione tout court contro il tumore in generale».

 A breve anche l’Italia si unirà ai test sui farmaci che puntano a bloccare la fusione genica grazie alla collaborazione fra Iavarone e l’Ospedale Besta di Milano dove opera Gaetano Finocchiaro, direttore del Dipartimento di Neuro-oncologia e della Unità operativa neurologia 8-neuro-oncologia molecolare.

«Entro il 2018 – spiega il medico – il nostro istituto avvierà la sperimentazione su alcuni pazienti con l’obiettivo di inibire la fusione genica scoperta da Iavarone con cui abbiamo firmato in passato diverse ricerche. Ricordo per esempio uno studio pubblicato su Nature Genetics, appena l’anno scorso, dal quale è emerso un dato molto interessante: quando un glioblastoma ricomincia a crescere, nel 17% dei pazienti il tumore presenta un numero elevatissimo di mutazioni. Si tratta di una buona notizia perché proprio le neoplasie che mutano maggiormente sono quelle che reagiscono meglio all’immunoterapia, ovvero ai trattamenti che puntano a stimolare le difese del nostro organismo contro le cellule cancerogene. Uno degli obiettivi da raggiungere nel prossimo futuro è proprio quello di cercare di identificare questi pazienti perché potrebbero essere i candidati migliori da sottoporre a un trattamento immunoterapico con ottime possibilità di successo».

 L’equipe di Finocchiaro, inoltre, studia da tempo le opportunità offerte dalle cellule dendritiche (in grado di attivare le misure immunitarie) che sono alla base di un vaccino al quale si lavora nei laboratori dell’ospedale milanese.

In attesa che i ricercatori concludano la fase sperimentale e riescano a realizzare dei farmaci efficaci da adottare nelle terapie cliniche su larga scala, le armi più importanti a nostra disposizione rimangono la prevenzione grazie a una diagnosi precoce. «Quando ci troviamo di fronte a un tumore già clinicamente evidente – conclude Finocchiaro – il bisturi rappresenta la prima forma di cura. Ovviamente rieducare il sistema immunitario è fondamentale ma la ricerca deve ancora percorrere una strada lunga, tortuosa e anche molto costosa in termini di impegno economico».​    

Giornalista, vivo di e per la scrittura da quattordici anni. Cresco nelle fumose redazioni di cronaca che abbandono per il digitale dove perseguo, però, lo stesso obiettivo: trasformare idee in contenuti.​