Lo sport degli italiani è il divano

Well being


Lo sport degli italiani è il divano

Siamo tra i popoli più sedentari e pigri d’Europa. La ragione? Una scarsa educazione al movimento ma anche la mancanza di infrastrutture. Changes ne ha parlato con Nico Bortoletto.

Agli italiani lo sport piace, ma solo visto in televisione. Fuor di battuta, il paese che ha conosciuto grandi campioni dello sci, del ciclismo, della scherma, dell’atletica leggera, della corsa, del calcio e del nuoto rimane bloccato nelle ultime posizioni europee per quel che riguarda la pratica sportiva. Gli italiani fanno poco sport e il confronto con gli altri paesi europei è impietoso. Tifiamo, guardiamo match in televisione, ma ci muoviamo poco. Alla corsetta e alla palestra, insomma, continuiamo a preferire il salotto di casa.

Cosa dicono i dati sulla pratica sportiva in Italia?

Secondo Eurobarometro solo il 3% degli italiani intervistati nel 2022 ha infatti dichiarato di fare attività sportiva regolarmente, contro il 6% registrato in Europa. Il 31% degli italiani intervistati pratica sport con una certa regolarità, contro il 38% europeo. Chi non pratica mai sport, sempre secondo Eurobarometro, è invece il 56% degli italiani e il 45% degli europei.

La sedentarietà poi riguarda il 42% degli italiani, una percentuale che in UE non supera il 25%. In questo profluvio di dati, tuttavia, qualche buona notizia arriva dall’ISTAT, secondo cui in Italia “negli ultimi 20 anni è aumentata la percentuale di chi dichiara di fare sport dal 59,1% del 2000 al 66,2% del 2021, mentre si è ridotta la quota di chi non pratica alcuna attività, dal 37,5% al 33,7%”. Una piccola inversione di tendenza troppo esile per parlare di un cambio di scenario.

Perché gli italiani fanno poco sport?

Secondo Nico Bortoletto, coordinatore della Sezione di Sport ed Attività Fisica dell’Associazione Italiana di Sociologia alla base del rapporto “pigro” degli italiani con lo sport c’è un problema culturale. «Tutto nasce da una dimensione educativa che non assegna un ruolo centrale allo sport. Nelle nostre scuole l’educazione fisica è la cenerentola di tutte le discipline, non ha nessuna autorevolezza e il messaggio che passa sin da bambino è che lo sport non è una dimensione della propria vita importante, in contraddizione con quello che avviene negli altri paesi e anche rispetto alle indicazioni dell’OMS».

E i dati che Bortoletto ci fornisce lo dimostrano, visto che “in Italia circa il 20% della popolazione fa almeno 150 minuti di attività fisico sportiva, percentuale che in Svezia sale al 55%, in Germania al 48%”. Un divario importante, anche se secondo Bortoletto, alla sua base potrebbe esserci anche un problema terminologico. «Eurostat rivela due dimensioni per lo sport: l’attività fisica (quella motoria quotidiana per raggiungere i luoghi di studio o lavoro) e l’attività sportiva vera e propria. Ebbene, molti italiani intervistati non riconoscono la prima e non inseriscono il moto svolto giornalmente nella categoria “attività fisica” abbassando perciò le percentuali rilevate» ha spiegato.

Aldilà di questa misperception è indubbio, tuttavia, che alle nostre latitudini lo sport non è visto come un momento centrale delle nostre giornate. E in questo gioca un ruolo determinante anche il rapporto tra lo sport e le nostre città.

Il ruolo delle città nella pratica sportiva e il divario Nord-Sud

«I nostri studi dimostrano un fatto intuitivo: più gli impianti cittadini sono accessibili, organizzati e facili da raggiungere, più le aree a bassa strutturazione come parchi, giardini, o lungomari sono attrezzate, maggiore sarà la propensione dei cittadini a fare sport». Chi di voi è mai stato a Miami, o anche a Barcellona o Tel Aviv sa a cosa allude Bortoletto. Lasciando da parte il discorso sulla carenza dell’impiantistica sportiva (problema atavico nelle nostre città), camminare per le strade di quelle e di tante altre città più sensibili alla promozione della pratica sportiva significa passeggiare accanto a piste ciclabili o su strade pedonali, imbattersi praticamente ovunque in strumentazioni sportive, attraversare anche piccoli giardinetti rionali attrezzati per lo sport. Questo in Italia è molto raro, soprattutto se si confrontano il nord e il sud del Paese.

Secondo i dati Svimez, chi pratica sport abitualmente al Centro-Nord è il 42%, mentre al Sud è solo il 27,2%. I ragazzi sono più sedentari al Sud (22%) rispetto al Centro-Nord (15%). «In questo divario il discorso infrastrutturale gioca un ruolo importante. Non è solo una questione di carenza di impianti o strutture, ma anche di una loro cattiva gestione», sottolinea Bortoletto. «Spesso gli impianti ci sono ma non sono messi a disposizione della cittadinanza, come avviene per gli stadi, aperti la domenica, ma chiusi gli altri giorni, senza nessun ulteriore loro utilizzo».

E allora non resta che investire

Come avviene per molti altri settori pubblici, anche nello sport in Italia si investe poco. Eppure, i dati raccontano che puntare sulla promozione della cultura sportiva è un’azione vincente. Secondo i calcoli diffusi da The European House Ambrosetti, in collaborazione con il CONI e con l’Istituto per il credito sportivo, investire un euro nello sport porta ad un ritorno triplo. Un effetto moltiplicatore per una filiera sportiva nazionale che vale nel suo insieme circa l’1,4% del PIL nazionale. Nonostante questo «l’Italia è il sedicesimo paese Ue per la spesa pubblica dedicata allo sport per singolo abitante».

Lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, da più parti visto come imperdibile opportunità di crescita per il nostro Paese, allo sport dedica appena lo 0,5% delle proprie risorse. Solo un miliardo di euro. «Ma il problema non è la quantità delle risorse stanziate per lo sport», avverte Bortoletto. «Troppo spesso in campo sportivo i soldi sono stati spesi male. Se quel pur esiguo miliardo sapremo spenderlo bene, con politiche lungimiranti e al servizio della cittadinanza, inizieremo a porre le basi per una crescita del nostro paese in termini di cultura e propensione alla pratica sportiva». Con tutto quello che questo comporta a livello di benessere psichico e fisico della nostra popolazione, nonché di salute pubblica.

Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.