Il farmaco è intelligente

Well being


Il farmaco è intelligente

La medicina di prossimità 4.0 è fatta di device e applicazioni che stanno stravolgendo l'offerta sanitaria e farmaceutica. Così l’intelligenza artificiale modifica il nostro rapporto con il farmaco.

La medicina di prossimità 4.0 è fatta di device e applicazioni che stanno stravolgendo l’offerta sanitaria e farmaceutica. Così l’intelligenza artificiale modifica il nostro rapporto con il farmaco.

robot dottori e i software per le diagnosi istantanee iniziano a fare concorrenza ai medici. L’ultima sfida dell’intelligenza artificiale è quella di rivoluzionare il welfare in anni dove crescono il numero degli anziani e delle malattie invalidanti, mentre crollano i finanziamenti alla sanità pubblica. Il tutto con l’obiettivo di fare prevenzione con un controllo (in remoto) continuo, di annullare le distanze tra la nostra casa e gli ospedali o gli ambulatori e, soprattutto, di ridurre i costi.

Roberto Cester, alla testa del dipartimento di Business Intelligence & Analytics del gruppo Dedalus e in passato coordinatore dell’area sanità di “Sicilia e-Servizi”, dice che «grazie alla tecnologia si sta passando da un concetto di “care”, assistenza, a uno di health, di salute diffusa che passa per la prevenzione. I medici non amano questi aggeggi, ma nessuno vuole impedire che vedano i malati. Anzi, l’obiettivo, casomai, è monitorare al meglio i pazienti, che viste le risorse disponibili sarebbe impossibile. Anche per questo le attività di eHealth saranno incentivate soprattutto dai soggetti che venderanno welfare primato, non fosse altro perché i premi saranno sempre più legati di oggi alle condizioni di salute dei contraenti».

La medicina di prossimità 4.0 è fatta di device e applicazioni che stanno stravolgendo l’offerta sanitaria e farmaceutica. Di più, la personalizzano in base alle nostre richieste ed esigenze. Il fenomeno è abbastanza manifesto in America o nel Nord Europa dove molte persone si svegliano la mattina con il mal di testa o l’influenza, e per prima cosa, accendono lo smartphone per fotografarsi le tonsille o elencano al proprio assistente virtuale i sintomi. E tanto basta per avere in pochi minuti una prima e tutto sommato accurata diagnosi. Ma questa è soltanto una parte del gioco, forse le attività più semplici di questa rivoluzione: tra sensori di internet delle cose e wearable ci sono algoritmi in grado di avvertire il datore di lavoro i caso di malattia. lanciare segnali di pericolo ad amici o a parenti oppure di chiamare il 118. Soprattutto se il proprio medico curante è lontano e l’ospedale più vicino è a chilometri di distanza da casa.

Al riguardo Angelo Rossi Mori, per quasi 40 anni ricercatore di strumenti eHealth presso l’Istituto Tecnologie Biomediche del Cnr, sottolinea che «tutte le tecnologie aiutano i medici, non si sostituiscono a loro. Pensiamo a quale sopporto avrebbero i sanitari del 118 se, in un’autoambulanza, riuscissero a trovare per ogni paziente una cartella, un fascicolo elettronico aggiornato? Per non parlare del fatto che aggeggi come i sensori wearable permettono un monitoraggio continuo su malattie croniche o sulle gravidanze. Perché con un flusso continuo e coerente dei dati, le cure sono destinate ad andare a buon fine. Senza parlare dei benefici in termini di assistenza domiciliare: di fatto si annulla la distanza tra la nostra a casa e gli ospedali».

Verso l’infermiera virtuale

L’intelligenza artificiale ha portato alla nascita di Molly​, la prima infermiera virtuale al mondo: l’ha creata la start-up Sensely per monitorare i malati che svolgono i trattamenti nelle proprie abitazioni prescritti dopo un periodo trascorso in ospedale. AiCure, in collaborazione con il National Institutes of Health, ha ideato un’App che attraverso la webcam degli smartphone controlla se il paziente segue le cure prescritte dal medico. Il software Enlitic segnala, “leggendo” le radiografie, possibili anomalie. Altre applicazioni, come WebMD, funzionano e danno indicazioni attraverso gli assistenti personali come Alexa di Amazon.

Rossi ricorda che «l’intelligenza artificiale, essendo in grado di interpretare il linguaggio naturale, è utilissimo per leggere le condizioni delle categorie più deboli. Per esempio, soltanto sul versante della telemedicina e inserendo nei sensori nel letto, alcune app riescono a rendersi conto se un anziano ha difficoltà a muoversi e se è il caso di allertare un parente o dei volontari. In altri casi, l’intelligenza artificiale ci può aiutare e guidare nel seguire le cure che ci sono state prescritte».

Quando queste attività vengono supportate dai big data, si è dato il la a forme di “medicina predittiva” soprattutto nella gestione delle cartelle cliniche. In quest’ottica è più facile e meno costoso raccogliere, analizzare e organizzare i dati clinici, spingersi a fare diagnosi precoci, fino a pianificare trattamenti e monitorare i pazienti.

Eppure sullo sfondo già sia vedono soluzioni molto più avveniristiche, che potrebbero presto diventare centrali nella sanità di ogni giorno. Google, per esempio, con il progetto DeepMind Health, ha messo a disposizione analitycs che non solo elaborano e archiviano le informazioni, ma provano anche a prevedere gli effetti delle cure. Sempre da Montain View, precisamente presso la controllata Verily, è nato il progetto Baseline Study per la raccogliere dati genetici e provare – per esempio con lenti a contatto intelligenti – a scoprire le dinamiche che garantiscono una buona qualità della vita.

Watson, il sistema di intelligenza artificiale di Ibm, da quando ha fatto capolino nelle corsie ospedaliere, si è dimostrato in grado – e con due anni d’anticipo rispetto ai medici in carne e ossa – di scoprire insufficienze cardiache, incrociando precedenti anamnesi con diagnosi di altre malattie e prescrizioni di farmaci precedenti. Intel si è schierata nella lotta al tumore ai polmoni: con Alibaba ha sponsorizzato un progetto per scrivere un algoritmo in grado di leggere le radiografie e capire in tempo utile la diagnosi di cancro. Sempre in campo oncologico ricercatori dell’università di Stanford sono riusciti, soltanto con le immagini di nei e macchie dell’epidermide scattate con uno smartphone, a diagnosticare con precisione casi di cancro della pelle. Lo stesso ateneo Usa ha poi ideato un algoritmo per anticipare i possibili effetti collaterali dei farmaci. Parallelamente si stanno sviluppando start up molto aggressive come Zephyr Health, che ha dalla sua la forza di comparare dati sanitari in tempi più rapidi o Atomwise, in prima linea nella ricerca di farmaci più adatti per debellare l’ebola.

Guardando alla situazione italiana, secondo Cester, «queste applicazioni si stanno sviluppando a macchia di leopardo. Ma c’è molto interesse nel pubblico, come dimostra lo sviluppo del fascicolo sanitario online: ci sono settanta strutture che, attraverso sensori e applicazioni di imagining, stanno creando una banca dati di risonanze magnetiche in un progetto per la lotta ai tumori. Non mancano poi servizi di assistenza in remoto collegate ad alcune start up. Le quali, valutando parametri base come la temperatura o la glicemia, avvertono i pazienti o i loro parenti in caso di pericolo».

L’Italia poi è l’avanguardia nei cosiddetti farmaci 4.0, con il comparto in questi anni cresciuto del 120%. Tecnicamente si chiamano “produzioni di farmaci esternalizzati dai gruppi che hanno la titolarità dell’autorizzazione all’immissione in commercio”, in pratica aziende e università di tutto il mondo hanno messo appunto software che analizzano le diverse reazioni chimiche possibili tra le molecole da assemblare per ottenere un particolare farmaco e stampanti 3D per “disegnare” le pillole e realizzare contenitori e componenti. Un’attività oggi di nicchia e costosa, ma che in futuro potrebbe essere trasferita a valle nelle singole farmacie per ridare anche un appeal galenico a questo antico mestiere.  ​

Giornalista, 39 anni, napoletano, scrivo da 15 anni, prevalentemente di economia e politica per L'Espresso, il Giornale, il Foglio, Lettera43, il Mattino.