Dal campo alla tavola
In un’epoca nella quale la sostenibilità ambientale e la salute del nostro pianeta sono, o dovrebbero essere prioritarie, le nostre scelte alimentari assumono un’impor
Sono passati più di 15 anni dalla prima mappatura del genoma umano. Ma il percorso verso la democratizzazione della salute grazie a genetica e Big Data è ancora lungo.
Sono passati più di 15 anni dalla prima mappatura del genoma umano. Ma il percorso verso la democratizzazione della salute grazie a genetica e Big Data è ancora lungo.
È eccitante ammirare lo sviluppo delle tecnologie sul genoma. Nel 1995 Amazon già esisteva e neppure lo sapevamo. Oggi non possiamo immaginare la nostra vita senza di essa o senza l’iPhone. Allo stesso modo, adesso, possiamo scrivere il libro della vita, la sua sequenza, in una maniera molto più veloce ed economica. In questa direzione sono stati investiti 2,7 miliardi di dollari e si sono spesi 15 anni di lavoro. Oggi, leggere il libro della vita richiede meno di mille dollari e alcune ore. Soprattutto, una volta generata questa enorme massa di dati, abbiamo la capacità di elaborare, di darne un senso anche grazie a strumenti come l’intelligenza artificiale, le learning machine, che ci danno una potenzialità di calcolo sconosciuta in passato. E la genetica, il dare un senso alle informazioni che questa scienza ci offre, ci permetterà di creare nuovi farmaci – farmaci rivoluzionari – di comprendere quali terapie sono adatte per noi e quali no.
Eppure non abbiamo abbastanza dati e conoscenze sui componenti di diverse popolazioni. Passo imprescindibile se puntiamo davvero a “una medicina di precisione”. Dobbiamo essere in grado di capire se vengo dall’India o dall’Italia, di sapere leggere le differenze in ognuno di noi che sono legate al patrimonio genetico. Altrimenti sarà difficile distinguere, partendo dal genoma, che cosa sta causando una determinata patologia e che cosa non ha nulla a che fare con essa.
Da poco abbiamo festeggiato il 15mo compleanno dalla pubblicazione finale del genoma umano. Eppure non abbiamo compiuto, in questo lasso di tempo, i progressi significativi che ci aspettavamo. Visto che la ricerca è andata avanti soprattutto nei Paesi occidentali, dove ci sono maggiori investimenti e dove c’è maggiore fiducia nella innovazione, l’80% delle sequenze mappate del genoma proviene dai Paesi europei, mentre il 60% del mondo è rappresentato soltanto nel 5% dei dati raccolti. Serve un riequilibrio, se non vogliamo limitare la crescita e lo sviluppo di queste attività.
La mia missione, il mio lavoro, è quello di democratizzare l’assistenza sanitaria. Di migliorarla, visto che il 90% delle sperimentazioni cliniche sui farmaci falliscono. Ma possiamo invertire la tendenza, e risparmiare moltissimi soldi, soprattutto attraverso la genetica, grazie a tecnologie e conoscenze che ci permettono di distinguere i segnali che ci mandano le malattie. Esistono già App che, inserendo la nostra sequenza genetica, ci dicono in tempo reale se posso o non posso prendere un farmaco proprio in relazione agli “errori di ortografia” nel nostro DNA. Ma a questo livello potremmo arrivare, soltanto se estremo in possesso di dati che rappresentano l’umanità in tutta la sua interezza.