Un chip nella testa

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Un chip nella testa

Dopo il lancio dell’interfaccia Telepathy da parte di Neuralink ci si interroga su potenzialità e sui rischi non solo etici della neuroingegneria che oggi ha reso reali idee pensate oltre venti anni fa. Changes ne ha parlato con Silvestro Micera.

Come funziona il nostro cervello? Una domanda che ha da sempre affascinato filosofi, scienziati, medici e da qualche decennio anche informatici. Sulla simulazione delle reti neurali si basano, infatti, i sempre più raffinati modelli di machine learning che guidano lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. In questo contesto, anche l’ingegneria neurale sta conoscendo un crescente interesse che travalica quello della ricerca medica. È il caso di Neuralink, l’azienda di neurotecnologia fondata da Elon Musk che sta sviluppando chip da impiantare nel nostro cervello per aiutare le persone affette da malattie neurologiche.

Il funambolico imprenditore sudafricano ha comunicato nei mesi scorsi di aver impiantato con successo il primo chip wireless nel cervello di un uomo con arti paralizzati. Un risultato presentato da Musk come una rivoluzione nel campo dell’interazione uomo-macchina, grazie a fili microscopici impiantati nel cervello e a un microscopico chip battezzato come Telepathy. «Diverse esperienze negli ultimi anni hanno sviluppato interfacce che leggono informazioni dai neuroni per controllare dispositivi esterni. L’idea non è nuova, quello che è nuovo è la tecnologia», sottolinea a Changes Silvestro Micera, professore di Bioelettronica e Ingegneria neurale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e al Politecnico (Epfl) di Losanna.

Che cosa è l’ingegneria neurale

Nel campo delle neuroscienze avanzano sempre più quelle soluzioni ingegneristiche in grado di comprendere il sistema nervoso e migliorare la sua funzionalità. Il focus, in sostanza, è quello di creare modelli ingegneristici e tecnologici che possano aiutare il funzionamento del sistema nervoso delle persone affette da patologie neurologiche.

Alcuni esempi sono rappresentati dalle protesi neurali, dagli elettrodi che registrano l’attività elettrica del nostro cervello, dagli impianti che invece offrono degli stimoli elettrici o dalle più complesse interfacce cervello-computer (BCI) che consentono la comunicazione diretta tra il cervello e i dispositivi esterni. Esattamente quello che Neuralink promette di fare.

Cosa promette di fare Neuralink

Morbo di Parkinson, paralisi ed altre malattie neurologiche. Sono tante le patologie che Neuralink promette di combattere. Come sottolinea il professore Micera, «Neuralink ha sviluppato un’interfaccia brain-machine in grado di aiutare, per esempio, a comprendere il desiderio motorio di una persona con disabilità, attraverso l’implementazione di algoritmi che possono basarsi anche sull’intelligenza artificiale per estrarre informazioni dai segnali carpiti per controllare device».

Ma come funziona il sistema di Neuralink? Telepathy permette l’interazione uomo-macchina attraverso 1024 elettrodi distribuiti su 64 fili altamente flessibili e più fini di un capello umano, che sono innestati da un robot chirurgico nel cervello e che registrano gli stimoli neurali trasmessi poi a un chip detto Link, installato dietro l’orecchio e deputato a trasformare questi impulsi in informazioni decifrabili dal dispositivo esterno.

In cosa differisce dalle altre soluzioni

Secondo il professore Micera son quattro i principali benefici previsti dal sistema sviluppato dall’azienda di Musk. «Innanzitutto, siamo in presenza di un impianto di elettrodi molto preciso e soprattutto, a differenza di altre soluzioni, poco invasivo, grazie a fili molto sottili che riducono i potenziali rischi. Poi questi fili registrano migliaia di segnali, molto più delle centinaia sinora registrate. Ovviamente, aumentare quest’ordine di grandezza vuol dire avere molti più dati su cui basare il controllo sui device. Terzo vantaggio è il fatto che siamo in presenza di elettrodi wireless e infine c’è la possibilità di usare questa tecnologia non solo in ambienti controllati, ma anche a casa propria». Tuttavia, avverte sempre il professore Micera, stiamo parlando ancora di risultati ipotetici, «visto l’esiguo numero di pazienti su cui si è basata l’applicazione di Telepathy».

Dalla sicurezza alla trasparenza: le ombre su Neuralink

Non sono poche le criticità avanzate dalla comunità scientifica riguardo il progetto di Elon Musk. La principale attiene all’aspetto della sicurezza. Nei primi cento giorni dopo l’impianto sul paziente paralizzato, l’azienda ha riportato risultati definiti molto incoraggianti, poco dopo sarebbero però emersi problemi potenzialmente letali per la salute del paziente. Conseguenze che, secondo quanto denunciato dall’agenzia Reuters, sarebbero state note all’azienda sin dalla fase sperimentale sugli animali. Una consapevolezza che tuttavia non avrebbe fatto desistere Neuralink dal proseguire con la sua sperimentazione umana.

Dubbi sono stati avanzati poi sul metodo adottato per la comunicazione dei risultati di Telepathy. Il metodo scientifico si basa, infatti, sulla cosiddetta peer review, ovvero la revisione tra pari che si fonda sulla pubblicazione dei dati delle ricerche sulle riviste scientifiche (per es. Nature). Questo passaggio è stato completamente disatteso dall’azienda di Musk che ha usato il social X (di proprietà dello stesso Musk) per comunicare i risultati. Nonostante l’approvazione della Food and Drug Administration (l’agenzia statunitense che regolamenta i prodotti farmaceutici), in molti hanno anche sottolineato l’assenza degli studi di Neuralink su ClinicalTrials.gov, il database americano dove vengono registrati gli studi scientifici in ambito clinico.

Altri dubbi sono invece di carattere etico e riguardano la consapevolezza dei pazienti dei rischi connessi alla sperimentazione dell’impianto e l’aspetto della cybersecurity, una seria minaccia sia dal lato del funzionamento dello strumento che dalla tutela dei dati personali (e in questo caso anche dei pensieri). «Sono tutti problemi che è bene affrontare in tempo non solo per quel che riguarda Neuralink, ma per tutto il settore della neuroingegneria. Queste applicazioni devono infatti essere circoscritte nella loro applicazione in ambiti medicali, per evitare abusi pericolosi», avverte Micera. «Tuttavia, non possiamo arrestare lo sviluppo di un settore che nei prossimi 20 anni potrebbe giungere a risultati molto promettenti. Siamo in una fase in cui abbiamo le tecnologie adatte per realizzare idee pensate da più di quarant’anni».

Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.