Accendiamo la luce sul futuro
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La mitologica spada estratta dalla roccia oggi è uno smartphone di ultima generazione costantemente connesso. Come ha cambiato la nostra vita. Ora siamo tutti influencer
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Sempre connessi e in contatto real time con amici, parenti, colleghi di lavoro e soprattutto clienti. Quelli fidelizzati e quelli prospect, intercettati oggi anche grazie ai social media e alla rete.
Benvenuti negli anni dell’influenza diffusa, nei quali ognuno può intercettare la propria tribù e schierarla per promuovere un’idea, una visione, un brand. Perché in fondo siamo tutti a caccia di “persone come noi”. Autentiche, empatiche, semplici. Persone comuni che diventano influencer, o meglio nano-influencer, testimonial della porta accanto e generatori di attenzione e valore per grandi e piccoli brand. «Oggi le marche si rivolgono alle persone comuni. E i nano-influencer sono persone comuni ma più specializzate, più fidate, più efficaci. Sono più facili da gestire per le marche e hanno un impatto meno rilevante sul conto economico delle campagne. D’altronde è più probabile prenotare una vacanza su suggerimento di un amico che di qualche celebrità», ha scritto Richard Godwin sul Guardian.
Autentici, competenti, coerenti con la linea narrativa della marca. Nano è meglio. Perché la fiducia si rafforza con una relazione più disintermediata. Per Forbes l’82% dei consumatori di un brand è più propenso a seguire una raccomandazione di un nano-influencer, rendendo le campagne sei volte più efficaci per engagement rispetto al coinvolgimento dei top. Lo ha certificato anche Ipsos con una ricerca realizzata con Flu, startup innovativa di influencer marketing: quasi 2 utenti su 3 (62%) sono propensi a comprare prodotti e servizi dopo averli visti da un nano-influencer. E gran parte di questi clienti (76%) acquista nel tempo, lontano da logiche di impulso.
Il pasticcere diventa testimonial
La ricetta per diventare nano-influencer arriva anche da un pasticcere veneto. Saper fare e far sapere, in giro per il mondo. Questa è la storia dell’azienda dolciaria fondata nel 1938 dalla famiglia Loison e rilevata da Dario nel 1992. Siamo a Costabissara, settemila anime nell’hinterland vicentino. Oggi l’impresa ha 30 dipendenti, fattura 9 milioni di euro e vende in 50 Paesi del mondo. «Nonno Tranquillo aveva aperto un laboratorio di panificazione, poi papà Alessandro nel ’69 ha iniziato a fare torte. All’epoca si guadagnava di più con questo prodotto perché il pane era calmierato», mi ha raccontato Dario Loison, 56enne di Vicenza, terza generazione alla guida dell’azienda e pioniere del web. «Sin da giovane ho iniziato a girare il mondo. Questo mi è stato utilissimo quando a febbraio del 1996 ho aperto il mio primo sito Internet. Ricordo la prima vendita importante: 600 panettoni spediti in Svezia, acquistati da un’associazione di italiani residenti a Örebro, cittadina nella Svezia centrale.» Da quella prima vendita Dario ha capito subito l’importanza di Internet: «Siamo piccoli, ma siamo una “no-sleeping company”», precisa con orgoglio.
Panettoni e colombe disponibili tutto l’anno, ma anche una vasta gamma di altri prodotti, dalla Veneziana alla biscotteria al burro. Il laboratorio di Dario si è trasformato in un caso di successo su YouTube, grazie ad una originale presenza sulla piattaforma di videosharing. L’azienda ha un proprio canale attivo da dieci anni, sul quale sono caricati centinaia di video.
Identikit dei nano-influencer
A livello internazionale si parla di una comunità tra i 1.000 e i 100.000 follower su Instagram per i micro-influencer, mentre sotto i 1.000 per i nano. «Il loro vantaggio è di risultare più vicini agli utenti e quindi per questa ragione maggiormente credibili, come ben sottolineato negli anni dal Trust Barometer di Edelman. Una fiducia che permette loro di avere un impatto reale che spesso va oltre le mere interazioni dei loro post social. Perché questi testimonial hanno un’audience e una reach limitate, ma possono esercitare una micro-influenza grazie alla maggiore affinità con le loro reti sociali», afferma Matteo Pogliani, autore di “Professione Influencer” per Flaccovio Editore e fondatore dell’ONIM, Osservatorio Nazionale Influencer Marketing.
Starbucks ha coinvolto nano-influencer in un contest, Amazon li ha coinvolti per il lancio di Audible, Adidas nella campagna dedicata a Ultraboost. In Italia Nutella, Mulino Bianco, Coca-Cola li hanno utilizzati in diverse attività, integrandoli ai top. Al bando però la consapevolezza nel fare business. «Si tratta della tipologia più spontanea di influencer e spesso più genuina, una figura che per questa ragione e il relativo costo di ingaggio, elemento rilevante in un mercato sempre più costoso, si sta dimostrando più credibile e utile ai brand. Però attenzione. La loro spontaneità e minor preparazione espone anche a dei rischi: qualità non sempre eccelsa dei contenuti che si traduce in un necessario lavoro di verifica e la necessità di essere costantemente guidati sono elementi che devono far riflettere e tenere alta la guardia», precisa Pogliani.
Ma davvero siamo tutti nano influencer? Così la pensa Pogliani: «Nella nostra rete sociale siamo tutti capaci di generare influenza e diventare riferimento. Amici, familiari, conoscenti, persone che si fidano di noi e di cui spesso riusciamo a modificare opinioni ed intenzioni. Un ristorante, la nuova macchina, un cellulare: temi su cui cerchiamo conferme credibili. Le opportunità comunicative offerte dai social hanno ampliato tutto questo, permettendo ad ognuno di noi di andare oltre il proprio network di conoscenze dirette e aprendo un mondo di conversazioni capaci di generare influenza».