I robotaxi sono un’utopia

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I robotaxi sono un’utopia

Le auto senza conducente non diventeranno una realtà di tutti i giorni nonostante il 5G. Pesano numerosi ostacoli, soprattutto normativi.

Le auto senza conducente non diventeranno una realtà di tutti i giorni nonostante il 5G. Pesano numerosi ostacoli, soprattutto normativi.

​Piaccia o meno le auto del futuro saranno completamente diverse rispetto a quelle attuali, con buona pace, soprattutto, degli appassionati di bielle, pistoni, testate e odore di benzina. L’auto sarà, innanzitutto, elettrica, sarà anche connessa, sicuramente condivisa e forse autonoma. Sul primo punto non ci sono dubbi per quanto l’argomento presti il fianco a controversie, dibattiti e polemiche. Sul secondo c’è ben poco da discutere: già oggi i veicoli sono legati alle infrastrutture di telecomunicazione e in futuro potranno perfino comunicare tra di loro. In questo caso, però, servirà la pervasiva implementazione delle nuove tecnologie del 5G, che però sono ancora agli albori tra prime sperimentazioni e nuove sollevazioni popolari sugli effetti delle onde elettromagnetiche. Il terzo è già una realtà di tutti i giorni, anche se per lo più legata a contesti urbani. Sull’ultimo punto, purtroppo, bisogna ancora rimanere in un ambito quasi fantascientifico: esistono numerosi programmi di sperimentazione e negli Stati Uniti sono partiti anche i primi servizi commerciali, ma si tratta sempre di un fenomeno ancora di nicchia, estremamente limitato e vincolato.  In poche parole si è in una fase prototipale. Nulla, per ora, indica la possibilità che la guida autonoma si trasformi in un fenomeno da mercato di massa. Ovviamente – è bene precisarlo – ci si riferisce al massimo grado di autonomia. A tal proposito serve riavvolgere il nastro e ripartire dall’inizio o meglio da un altro incipit. La domanda da cui ripartire è: a cosa ci si riferisce quando si parla di guida autonoma?

Per rispondere ci viene in aiuto una classificazione ben precisa. Sì, esiste perfino una classificazione per chi nutrisse dubbi. A stilarla nel 2014 è stata la Society of Automotive Engineers (SAE), ente di normazione statunitense specializzato in campo industriale. Esistono sei livelli dallo zero a cinque. In sostanza siamo circondati ancora da veicoli di livello zero: non hanno alcune autonomia e il conducente si deve occupare di ogni aspetto della guida senza alcun supporto elettronico. Con il livello 1 si sale, seppur di poco, con l’istallazione di sistemi di alert visivi o acustici per informare di situazioni di pericolo (quando sul vostro cruscotto, per esempio, si accende la spia di possibile ghiaccio su strada). 

Nel livello 2 si fa un salto di qualità: le auto attualmente in vendita, anche utilitarie, sono dotati di sistemi elettronici come la frenata assistita, l’anticollisione, il mantenimento della carreggiata automatizzata, etc etc. Con il livello 3 è l’auto a guidare da sola ma solo in condizioni ambientali ordinarie e con la necessità per il conducente di intervenire sempre. Al livello 4 il veicolo è già autonomo ma con maltempo o altre condizioni avverse è l’automobilista ad avere la piena responsabilità. Infine il livello 5: l’auto è un robot a tutti gli effetti. Non siamo, forse, al livello della celebre K.I.T.T. della serie televisiva Supercar, ma poco ci manca.

Di cosa si può vedere sul mercato si è accennato: esistono già esempi numerosi di applicazioni del livello 2 e non si tratta solo di auto di fascia premium. Dal 2 in poi la questione è più complessa ma basta andare in California e sperare di vedere in azione una Tesla che si parcheggia da sola, così come basterà attendere uno o due anni per vedere nei listini della maggior parte dei costruttori optional (si parla con insistenza di soluzioni 2+ pronte per il mercato) con sistemi avanzati di assistenza alla guida già oggi offerti per ammiraglie e veicoli non certo per le tasche dei comuni mortali. Per il 3, il 4 servirà qualche lustro in più, mentre per il 5 ci sarà, invece, da attendere e anche parecchio, almeno dando credito a chi di nuove tecnologie se ne intende. Steve Wozniak ha fondato l’Apple insieme a Steve Jobs ma è stato la vera mente pensante dietro al fenomeno della Mela Morsicata: è sua l’idea alla base del sistema informatico e quindi del modello di business della società di Cupertino ed è per questo che è considerato uno dei padri del personal computer. Le sue parole sulla guida autonoma sono quanto di più emblematico dell’attuale sviluppo della tecnologia dei robotaxi: «Su questa idea di livello 5 ho fatto un passo indietro. Mi sono davvero arreso. Non so nemmeno se accadrà nel corso della mia vita». Dunque, chi negli anni ’70 del secolo scorso, agli albori della rivoluzione tecnologica dei computer, ha creduto nelle potenzialità delle nuove tecnologie informatiche, non crede, invece, in un futuro in cui, in pratica, i computer avranno 4 ruote. Chissà cosa risponderebbe Leonardo a queste dichiarazioni? Ma soprattutto cosa c’entra ora il genio fiorentino?

Riavvolgiamo, allora, il nastro un’altra volta e facciamo un po’ di storia per capire quando nasce l’idea delle auto senza conducente. Risale, appunto, al Rinascimento e proprio a Leonardo, il primo a immaginare un veicolo robot: è il carro semovente del Codice Atlantico. Si parla di oltre 500 anni fa. Per rivedere qualcosa di simile bisogna fare un salto di vari secoli per approdare nel 1925 quando un’azienda americana sfornò il primo esempio di auto senza conducente. Si trattava di un veicolo radiocomandato, che diede il via a numerose sperimentazioni stoppate dalla seconda guerra mondiale e riprese negli anni ’50 senza grandi risultati. Fu nel 1986 che comparve il primo veicolo completamente automatizzato. Si trattava di un furgone Mercedes capace di muoversi senza alcun pilota. Da allora molti sono stati i programmi di ricerca e negli ultimi anni le Case hanno investito miliardi su miliardi per portare avanti ricerche e test potendo contare sulla rapida evoluzioni di altre discipline, a partite dall’intelligenza artificiale, o sul rapido miglioramento dei sistemi di calcolo computerizzato, per non parlare della sensoristica. Anni e anni di sforzi, idee, impegno, investimenti, ma ancora nulla se non poco. Certo la Waymo ha avviato un suo servizio commerciale ma con molte limitazioni: a bordo è previsto un conducente che deve essere pronto a prendere il comando del volante; è disponibile solo in aree periferiche di alcune grandi città statunitensi e comunque su rotte e distanza ben definite.

Del resto gli Stati Uniti hanno sì dato il via libera alle sperimentazioni e ai primi servizi commerciali ma hanno disposto ferree limitazioni perché ancora non c’è certezza sulla risposta delle tecnologie all’irrazionalità umana: gli automobilisti, ha ammesso Wozniak, sono troppo imprevedibili da gestire per gli attuali sistemi. Dunque bisogna aspettare tempi migliori. Del resto anche tra i costruttori l’entusiasmo iniziale è via via scemato per fattori non solo commerciali e normativi. Basti pensare a quante polemiche ha scatenato in America un’incidente di un veicolo sperimentale di Uber e il relativo decesso di una ciclista. E come non ricordare la profezia di un certo Elon Musk su un 2017 come anno della guida autonoma? Peccato siano passati tre anni e i suoi veicoli Tesla, dotati di un livello di autonoma 2, siano spesso diventati oggetto di incidenti per il presunto malfunzionamento o abuso da parte dei conducenti del sistema di guida semi-automatica. Non mancano tanti dubbi che riguardano, per esempio, l’ambito assicurativo. E non sono dubbi neanche tanto recenti. Dieter Zetsche, ex numero uno della Mercedes, ha frenato gli entusiasmi già nei primi anni del decennio scorso sottolineando per esempio la mancanza di un contesto normativo che definisca gli ambiti di responsabilità e le relative conseguenze: in caso di incidente chi paga? Il proprietario del veicolo oppure il costruttore? E se la colpa è del computer, a chi bisogna rivolgersi? Insomma tante domande ancora irrisolte a cui vanno aggiunti ulteriori problematiche. I costruttori, già alle prese con il gravo impegno della transizione verso l’elettrico, devono affrontare non solo costi crescenti per lo sviluppo di soluzioni sempre più sofisticate, ma devono anche capire se le tecnologie siano vendibili sul mercato o comunque accettabili per il consumatore. Zetsche ha recentemente menzionato i problemi del Boeing 737 Max con migliaia di aeromobili lasciati a terra dopo due incidenti causati dallo stallo del pilota automatico: “anche se le vetture autonome fossero dieci volte più sicure di quelle guidate dagli esseri umani, basterebbe un unico ‘spettacolare’ incidente perché sia molto più difficile accettarle”. Ci vuole dunque un approccio graduale a un tema che necessita di sviluppi in molteplici campi, dalle tecnologie ai regolamenti fino alla psiche umana.

Per chiudere il cerchio bisogna però affrontare un’ultima domanda: perché i costruttori stanno investendo decine di miliardi e hanno avviato collaborazioni industriali ad ampio spettro per una tecnologia ancora lungi dal diventare di mercato? Sulle tecnologie del futuro bisogna comunque investire per non scontare, in partenza, un possibile svantaggio competitivo rispetto a chi crede in un determinato scenario di mercato. Per abbattere i costi di sviluppo sono le collaborazioni le armi preferite dai costruttori. Il corollario della condivisione delle competenze e del know-how potrebbe, però, determinare esternalità positive ed economie di scala tali da accelerare la diffusione, per esempio, dei robotaxi. Il problema rimane comunque il contesto operativo: è affascinante pensare ad auto capaci di sostituirsi all’uomo come in tanti film fantascientifici ma per arrivarci è l’intero sistema economico e sociale che si deve trasformare e quando si parla di trasformazioni sistemiche non si contano gli anni, bensì i decenni.

Giornalista da 11 anni, appassionato di auto da sempre. Dai numeri cerco di trarre insegnamenti, dalle parole uno sguardo sulle persone. Ogni volta che vedo passare un'Alfa del passato mi alzo il cappello. Guardo alle nuove tecnologie con entusiasmo e tanti dubbi. ​