Città a prova di catastrofe

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Città a prova di catastrofe

Terreno secco o alluvionato: due facce della stessa medaglia. Per rispondere alle sfide climatiche del presente e del futuro ed evitare i danni da eventi estremi, arrivano soluzioni tecnologiche e architettoniche che combinano intelligenza artificiale, algoritmi e materiali antichissimi come la terra cruda.

Come era possibile che, nel 1273, i persiani potessero offrire a Marco Polo l’antenato del gelato (il faloodeh) nel cuore del deserto? L’architetto Mario Cucinella, fondatore di MC Architects e firma dei più interessanti edifici in simbiosi con l’ambiente degli ultimi anni, fra cui la Torre Unipol di Milano, se lo chiede nel suo libro Il futuro è un viaggio nel passato. Dieci storie di architettura (Quodlibet). E parte proprio da questa domanda per raccontare gli yakhchal (in persiano “case del ghiaccio”), ovvero edifici progettati in base allo scambio termico tra il terreno, la temperatura dell’acqua e quella dell’aria, per produrre e stivare il ghiaccio nell’Iran centrale, dove le temperature variano fra i -5 e i +40 gradi nelle prime sei ore del mattino. «Questo edificio è un meraviglioso esempio di architettura bioclimatica che dimostra l’enorme potenziale della progettazione passiva, in assenza di sistemi meccanici ed energia», conclude Cucinella. E possiamo partire da qui – dalla riscoperta per nulla nostalgica del passato – che si possono trovare indizi per aiutarci a rispondere alle sfide ambientali e sociali del presente e del futuro.

A inizio agosto Michele Brunetti, presidente dell’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Isac-Cnr), ha affermato che, se il 2022 avesse avuto solo 7 mesi, sarebbe stato l’anno più caldo di sempre in Italia. Da gennaio a luglio, la temperatura media ha superato di 0,98 gradi centigradi quella del periodo 1991-2020 e le precipitazioni cumulate sono calate del 46%, con un declino più marcato al nord rispetto al centro-sud. Secondo gli ultimi dati Ispra, il 28% del territorio italiano presenta già segni evidenti di desertificazione, principalmente nelle regioni meridionali, ma con significativi peggioramenti anche in aree del nord, come in Veneto, Piemonte, Emilia Romagna. E le sempre più frequenti alluvioni non sono che un lato della stessa medaglia, perché un terreno arido è incapace di assorbire la pioggia, tanto più se torrenziale, e diventa un manto impermeabile. Come dimostra il racconto del gelato di Marco Polo, architettura, design, tecnologia possono fare molto per permetterci di riallacciare un dialogo con la natura, anche con le condizioni climatiche più estreme, perché lo hanno già fatto nel passato.

Il revival della terra cruda

Utilizzato dall’uomo da 4000 anni, la terra cruda è un materiale campione di adattabilità, capace di assicurare stabilità climatica agli ambienti in zone ad alta escursione termica o soggette a siccità, senza consumare energia e senza produrre rifiuti. Negli ultimi anni anche l’architettura contemporanea la sta riscoprendo, incrociandola con altre tecniche costruttive antichissime, ma oggi rese 2.0, come l’incanalazione del vento, per il raffrescamento naturale degli ambienti, o il recupero e la conservazione dell’acqua attraverso impianti di recupero delle acque piovane e trattamento di quelle grigie derivate dai lavaggi o degli scarichi di docce, vasche da bagno, elettrodomestici. Si stima che un efficiente sistema di depurazione e riciclo possa reimmetterne nel sistema-casa una quantità d’acqua equivalente a metà del suo fabbisogno. Si pensi ai progetti dell’ultimo premio Pritzker Diébédo Francis Kéré e di Diana Kellog, vincitrice di un AIA New York Design Awards 2022, la più antica e grande sezione dell’American Institute of Architects, per la Rani Ratnavati Girls’ School nel villaggio di Jaisalmer, in Rajasthan, fino a due progetti emblematici di MC A: la sede di Arpae a Ferrara, progettata come un unico piano sul cui tetto si alternano pannelli solari e 112 camini in legno che permettono di riscaldare e raffrescare naturalmente gli spazi; il modulo abitativo in terra cruda Tecla, stampato in 3D grazie alla tecnologia di Wasp.

I “cattura-nebbia”

Sfruttare l’umidità dell’aria per generare acqua da destinare all’agricoltura e a progetti di riforestazione post-incendi. Grazie al progetto Life Nieblas, finanziato dall’Unione Europea, le Canarie e il Portogallo si sono trasformate in un laboratorio antisiccità, con l’installazione sul territorio di “collettori di nebbia”, alte strutture si reti di plastica installate sulla traiettoria del vento ideate per la prima volta negli anni Sessanta. Quando il vento soffia, la nebbia attraversa la rete, che intrappola le gocce d’acqua al suo interno e le convoglia nel contenitore sottostante. Ideale per zone ventose, meno per l’area mediterranea, è comunque interessante perché ospita una seconda sperimentazione, già testata anche in Italia e Grecia: un contenitore biodegradabile a forma di ciambella in cartone riciclato, ideato dall’azienda olandese Land Life, per raccogliere la nebbia che circonda la buca in cui viene piantata una piantina. Ha un coperchio che limita l’evaporazione, può contenere fino a 25 litri d’acqua e le fornisce anche riparo durante il primo anno, di solito è il più critico (tasso di sopravvivenza +60%).  

Acqua dall’aria

Con un principio simile lavora l’azienda israeliana Watergen, che è leader globale nella produzione di acqua potabile estraendo l’umidità dall’aria, usando motori a basso consumo energetico. Le macchine, di varie tipologie e dimensioni (dal box portatile da 20 litri al giorno al device da 6mila litri) sia per uso commerciale sia domestico, riescono a generare acqua con un tasso di umidità che parte dal 20%. Ma nel Paese che ha la percentuale di riutilizzo dell’acqua più alta al mondo (circa il 90%), sono oltre 250 le aziende che sviluppano tecnologie e attrezzature per la gestione, purificazione, riutilizzo dell’acqua, tanto che a giugno, una delegazione di 22 società italiane di servizi idrici ha visitato Israele, ospiti dell’Israel Export Institute. A non troppi chilometri di distanza, la startup tunisina Kumulus ha lavorato con un principio simile a quello di Watergen, ma integrando l’energia solare. Il Kumulus-1, al momento in preordine sul il sito della startup, è un generatore di acqua atmosferica (AWG) che produce da 20 a 30 litri di acqua potabile al giorno. Grande 1 metro quadro, è dotata di pannelli solari per funzionare ovunque in maniera indipendente dalla rete elettrica.

 Un aiuto dall’AI

Il primo passo per combattere la siccità è quello di non sprecare le risorse e l’Italia ha molto da fare: i nostri sistemi idrici perdono mediamente circa il 40% dell’acqua potabile. Ariele Zanfei e Andrea Menapace, ricercatori del Laboratorio di Termofluidodinamica della Libera Università di Bolzano, hanno dato vita allo spinoff Aiaqua, che si occupa di innovazione nella gestione e pianificazione dei sistemi acquedottistici. Da poco la startup ha presentato sul mercato un’applicazione basata sul modello di algoritmo creato dai ricercatori – pubblicato sulla rivista scientifica Sustainable Cities and Societies – che permette di scoprire perdite e anomalie e prevedere i consumi, sulla base dei sensori di portata e pressione dislocati nel sistema idrico.

Se uno dei settori più in sofferenza per la carenza d’acqua è quello agricolo (solo in Italia ne vengono impiegati circa 100\milioni di metri cubi d’acqua ogni anno) una risposta concreta arriva dalla coltivazione idroponica. Il modello di vertical farming consente di risparmiare il 90% di suolo e oltre il 95% dell’acqua, producendo 365 giorni all’anno. L’acqua in eccesso, di evaporazione e di irrigazione, vengono costantemente riutilizzate, riprese da un circuito chiuso ad alta efficienza, trattate, purificate, reintegrate dei sali minerali necessari alle piante, e reimmesse nel sistema. È sviluppato in Italia da ormai varie aziende come Planet Farms, che ha la serra più grande d’Europa a Cavenago, alle porte di Milano, Sfera Agricola, nel Grossetano, Agricola Moderna, The Circle Food, a Roma (che alla coltivazione idroponica integra l’allevamento di pesci).

Giornalista, coordina i contenuti editoriali di How to Spend it, il mensile di lusso e lifestyle del Sole24Ore, edizione italiana del magazine del Financial Times. Scrive di sostenibilità e tecnologia, seguendo le loro ramificazioni nel design, nel food, nell'architettura, nella moda. Ha collaborato con le pagine di cultura e spettacolo de Il Giornale, il magazine della Treccani, Wired Italia, Linkiesta, EconomyUp, Polihub, l'incubatore di startup del Politecnico di Milano. È stata assistente di ricerca all'università IULM per il corso di Comunicazione Multimediale.