Auto elettrica: l’innovazione è l’alleanza

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Auto elettrica: l’innovazione è l’alleanza

Il consolidamento del settore automobilistico non passa solo da operazioni di fusione e acquisizione ma anche da partnership un tempo inimmaginabili e oggi sempre più necessarie.

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Il consolidamento del settore automobilistico non passa solo da operazioni di fusione e acquisizione ma anche da partnership un tempo inimmaginabili e oggi sempre più necessarie.

​Il settore automobilistico globale ha sempre sfruttato le collaborazioni industriali ma mai come negli ultimi anni gli accordi di cooperazione stanno diventando il mantra assoluto. Le alleanze sono diventate ormai la nuova parola d’ordine e lo sono per chiunque voglia fare business in un mondo dell’auto alle prese con la necessità di sopravvivere alle conseguenze della rivoluzione tecnologica in atto da alcuni anni. L’obbligo di elettrificare la gamma, l’esigenza di aprirsi al mondo della connettività e l’ambizione di proporre inedite forme di mobilità stanno aprendo nuove possibilità, nuovi fronti di sviluppo e di crescita ma a un prezzo salato, anzi salatissimo, che le Case automobilistiche hanno deciso di affrontare modificando del tutto i loro paradigmi operativi. Un settore tradizionalmente chiuso, pronto a competere ferocemente sul campo dello sviluppo, spesso refrattario ad aprirsi alle novità provenienti dal mondo esterno, sta oggi diventando sempre più aperto e disponibile ad affrontare il cambiamento con nuovi parametri, con nuovi modi di operare.

È, in fin dei conti, la conferma di una profezia, quella di un manager pragmatico e allo stesso tempo visionario come Sergio Marchionne, il primo a delineare, numeri alla mano, un futuro totalmente diverso per il mondo delle quattro ruote. L’ex amministratore delegato della Fiat Chrysler era stato chiaro con il suo pamphlet Confessioni di un drogato di capitale: il settore sarebbe andato incontro a un inevitabile consolidamento per sopravvivere all’idrovora degli investimenti necessari per tenere il passo della rivoluzione tecnologica. Marchionne colse di sorpresa la concorrenza spiattellando in pubblico numeri fino ad allora tenuti segreti o quasi perché indicativi di un male difficile da accettare, impossibile da ammettere: gli enormi investimenti sostenuti dai produttori per produrre soluzioni tecnologiche, magari univoche e senza grandi differenziazioni (2 miliardi a settimana nel 2014 secondo i suoi calcoli), producevano allora un enorme assorbimento di cassa riducendo al minimo la possibilità per il settore di generare utili consistenti, soprattutto in periodi di difficoltà o in mercati ultra-concorrenziali come l’Europa. L’unica soluzione, per Marchionne, era l’unione delle forze attraverso un processo di consolidamento che avrebbe portato a condividere costi e investimenti.

Era il 2016 ma il discorso non è cambiato da allora anche se il consolidamento non si è palesato secondo gli auspici del manager italo-canadese e secondo i canoni della finanza internazionale. Di acquisizioni o fusioni non se ne è vista quasi l’ombra. L’unica eccezione è stato il passaggio della Opel dalla General Motors alla Peugeot-Citroen, ma si è trattato di una luce in fondo a un tunnel fatto di tanto parlare e di qualche matrimonio saltato ancor prima di raggiungere l’altare. È il caso, per esempio, della proposta di fusione presentata dalla Fiat Chrysler alla Renault, poi abortita, e della nuova strada battuta dalla casa torinese che ora vuole sposarsi con Peugeot puntando a creare un gruppo da quasi 180 miliardi di euro di fatturato. 
Al contrario sono ben altri gli accordi che sono diventati il mantra assoluto: le collaborazioni industriali. Le firme a intese del genere non si sprecano e sono continue. Basti pensare alla Toyota che, progressivamente, sta coagulando intorno alla sua idea di futuro tutte le altre Case automobilistiche giapponesi con le sole eccezioni della Honda (più propensa a guardare agli Stati Uniti come dimostrato dagli accordi sulla guida autonoma con la General Motors) e della Nissan-Mitsubishi (legate a doppia mandata alla difficile alleanza con la Renault). Le altre (SuzukiMazdaSubaruDaihatsu) hanno deciso di unirsi, anche tramite partecipazioni incrociate, con la Toyota e sempre per gli stessi motivi: affrontare il passaggio all’elettrico, condividendo competenze e investimenti, oppure delineare il futuro delle auto-robot. E questo senza dimenticare come la stessa Toyota si sia aperta all’esterno con altre numerose collaborazioni con società della componentistica o dell’high-tech per prevedere oggi un domani al momento estremamente incerto.

Insomma, la Casa nipponica sta tessendo una rete sempre più ampia di collaborazioni ad ampio spettro assumendo il ruolo di locomotiva per l’intero comparto giapponese, ma è dalla Germania che stanno arrivando gli esempi forse più eclatanti di quanto sta avvenendo nel settore. Fino ad almeno un decennio fa era impensabile anche solo immaginare che due acerrime rivali come la Bmw e la Mercedes potessero avviare progetti di collaborazione. Eppure, oggi, le due Case tedesche hanno deciso di unire le forze non solo nei nuovi servizi per la mobilità come dimostrato dalla joint venture tra Car2go e FreeNow ma anche nell’elettrico e nella guida autonoma. E proprio nelle tecnologie per i veicoli senza conducente la Casa bavarese è stata tra le prime a creare una vera e propria piattaforma cui hanno aderito progressivamente colossi del settore come la Fiat Chrysler, la Magna o la Continental e grandi multinazionali tecnologiche come la Intel. Il motto è per tutti identico: collaborare e condividere tecnologie, non ancora da domanda di massa, per poter sviluppare soluzioni da immettere successivamente sul mercato a costi bassi. Insomma, vale il solito dubbio se sia meglio l’uovo oggi o la gallina domani. La risposta è univoca: meglio avere domani la gallina, magari che faccia più uova, invece di svenarsi oggi per avere un semplice uovo.

E questo ragionamento vale ancor di più per chi, sulla carta, ha dato il via all’alleanza di maggior impatto, ossia la Volkswagen e la Ford. I due grandi produttori sono partiti da un accordo nei veicoli commerciali per elaborare un’alleanza su larga scala che riguarda la guida autonoma e soprattutto l’elettrico. Il ragionamento alla base del nuovo sodalizio, che è bene precisarlo non prevede partecipazioni incrociate, è semplice per non dire lapalissiano: da una parte i tedeschi recuperano parte dei 7 miliardi investiti per la piattaforma MEB dedicata alle elettriche, dall’altra gli americani accedono a un’architettura già pronta senza svenarsi per svilupparne una proprietaria.

In fin dei conti la ratio di qualsiasi nuova alleanza è sempre la stessa: affrontare gli ingenti investimenti in nuove tecnologie senza perdere la bussola, sopravvivere alle trasformazioni senza dover pagare dazio in termini economici. È una via obbligata e i motivi sono soprattutto economici. Si investe nell’elettrico perché così vogliono non tanto i consumatori quanto i legislatori che hanno imposto tempistiche stringenti e previsto multe salate, come già spiegato da questa testata in un precedente articolo, per chi non rispetta i nuovi limiti sulle emissioni. Si investe nella digitalizzazione o nella guida autonoma per avere nuove aree di business e di crescita per non lasciare campo aperto ai temuti colossi della Silicon Valley, ma soprattutto si collabora per abbattere i costi in un momento difficilissimo da affrontare per i numerosi fattori negativi: dalla domanda in calo al rincaro delle materie prime, dalle tensioni commerciali alla volatilità delle valute. E questi sono solo alcuni dei fattori negativi che simultaneamente stanno colpendo il mercato e quindi il settore con una portata forse mai vista prima al punto da avere spinto una società di consulenza del calibro di AlixPartners a preconizzare un futuro da Armageddon. Nel Global Automotive Outlook 2019 si parla, infatti, di “deserto dei profitti” per tutte le Case per colpa del rallentamento dei mercati chiave e dei massicci investimenti necessari per le nuove forme della mobilità. E non si tratta di cifre di piccolo conto. Entro il 2023 gli utili lordi dei produttori potrebbero ridursi di 60 miliardi di dollari a fronte di investimenti per la sola elettrificazione della gamma per 225 miliardi di dollari. Cifre monstre che danno ancor più significato al concetto di condivisione del rischio tipica di qualsiasi realtà imprenditoriale di piccola dimensione ma ora anche di quelle dalle dimensioni colossali del mondo delle quattro ruote.

E questo vale ancor di più nella frontiera tecnologica più frontiera di tutte per il settore auto: la guida autonoma. È in questo campo che hanno unito le forze Mercedes e Bmw ed è in questo campo che maggiori sono le alleanze di capitale. La Volkswagen è per esempio entrata nella Argo AI della Ford nel quadro dell’alleanza di cui si è detto prima sulla falsariga di quanto fatto dalla General Motors con la sua Cruise aprendo il capitale alla Honda. Ma è il leader Waymo della Google ad aver fatto ancor di più tessendo collaborazioni con Fiat ChryslerJaguarLand Rover e il sodalizio Renault-Nissan-Mitsubishi. E tanto deve ancora palesarsi perché la parola d’ordine ormai per il settore, quando si tratta di innovazione, non è più competere ma collaborare. È il nuovo mantra e chi non lo accetta rischia, seriamente, di non sopravvivere.

Giornalista da 11 anni, appassionato di auto da sempre. Dai numeri cerco di trarre insegnamenti, dalle parole uno sguardo sulle persone. Ogni volta che vedo passare un'Alfa del passato mi alzo il cappello. Guardo alle nuove tecnologie con entusiasmo e tanti dubbi. ​