L’era della post-generation

Society 3.0


L’era della post-generation

I confini dell’età sono sempre più labili. Si lavora di più, si vive a lungo e i limiti tra una generazione e l’altra sono sempre più sottili. Se viene meno la sequenza temporale della vita come può cambiare la società.

Quante sono le età della vita? Per provare a rispondere prendiamo in prestito l’opera di Marco Tullio Cicerone Cato Maior de senectute in cui scrive che: «Ciascuna parte della vita ha un suo proprio carattere, sì che la debolezza dei fanciulli, la baldanza dei giovani, la serietà dell’età virile e la maturità della vecchiezza portano un loro frutto naturale che va colto a suo tempo».
È il 44 a.C. ma già si capisce la risposta: le età della vita sono diverse e ad ognuna corrisponderebbe un temperamento e una dose di maturità. Sono quindi divisioni che durano millenni.
Tanto che le troviamo in epoca greca e le ritroviamo nelle parole di Jaques, uno dei protagonisti della commedia Come vi piace di Shakespeare, scritta nel 1599, così che il pubblico di allora ne accetta la suddivisione in sette età della vita. C’è l’infanzia e c’è il bambino in età scolare, c’è l’adolescente poi il giovane uomo, c’è l’età media adulta e poi ci sono l’anzianità e il declino senile con cui arriva la morte.

Confini immaginari e reali

Il ricorrere di queste separazioni in così tante epoche ci dice forse qualcosa di preciso sulle età della vita? C’è forse una linea comune che porta un significato profondo?
Per capirlo consideriamo prima quelle umane: ci sono le età corporee, del fisico che cresce, si irrobustisce, poi si stanca e invecchia. E poi ci sono le età cognitive, della mente che si evolve, impara, poi perde il suo mordente e la memoria.
Ma ci sono anche le età professionali, dove c’è un’entrata, con l’inizio dell’apprendimento, poi la pratica e la teoria che si rincorrono e così l’esperienza, e poi infine c’è un’uscita. Insieme ad esse ci sono anche le età sociali, con l’individuo che impara a rapportarsi agli altri nella famiglia, poi entrano nel gruppo più ampio della sua comunità, del quartiere o il luogo di lavoro.
E le età civili segnate sui registri dell’anagrafe con le formalizzazioni richieste dallo Stato in cui ci sono la nascita, i matrimoni, la cura sanitaria, e infine l’uscita con il decesso. Le età sono quindi fatte di confini immaginari o intangibili, che segnano il passaggio evolutivo interiore, che può avvenire in un momento oppure tardare, oppure anche anticiparlo.
Ma anche di confini formali, che servono alle organizzazioni sociali o istituzionali in cui viviamo per regolare le loro attività, ma anche le nostre, di cittadini che prendono la patente, raggiungono la maturità anagrafica.

Sequenza finita e Perennials

Queste età erano fatte anche di attività specifiche e svolte in corrispondenza al tempo, o a scadenza, in parallelo ad avvenimenti anagrafici: c’era il giocare, lo studiare, il lavorare, e poi l’andare in pensione. I confini – formali o informali – servivano e sono serviti infatti a dare un senso di sequenzialità alla nostra esistenza. Ma cosa succede se ora, per diversi motivi, questi confini finiscono per cadere e questa sequenza è finita?
Affronta questa domanda Mauro Guillén, professore di management alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, nel libro Perennials: the megatrends creating a post-generational society (St. Martin’s Press, 2023).
Vivremo forse in un’epoca nuova, con un tempo di vita privo di separazioni e dipanato in una sequenza liscia e scorrevole senza più questi confini formali e informali?

Una generazione unica

A tentare di rompere queste barricate tra le età della vita, immaginarie ma anche formali, non c’è l’ideologia come nel ’68, o la voglia di libertà o la ricerca di diritti, in cui i figli vogliono scalzare i padri senza aspettare il loro permesso.

Ad aprire la strada ad una generazione unica ci sono elementi più materiali:

  • la sanità è più presente e diffusa;
  • la medicina è più avanzata ed ha costi più bassi;
  • la salute è più durevole;
  • ci sono le cure preventive.

Da una parte c’è dunque una spinta tecnologica a render la vita più lunga, ma dall’altra incrocia una spinta tecnologica inversa che rende velocemente obsoleto ciò che sappiamo ed usiamo per vivere e per lavorare.
Quindi si vive di più e si lavora di più. Ma cosa facciamo se ci vengono tolti i confini dell’età che costituivano i solidi e sicuri punti di riferimento per i progetti del futuro? Il passare dal lavoro alla pensione, per esempio…

Nuovi punti di riferimento

La scuola per tutti, quella universale, e la pensione mutuata dal primo esempio tedesco, sono stati per anni i giri di boa della vita di milioni di persone che in qualche modo, grazie ad essi, hanno saputo orientarsi. Con questi hanno orientato le proprie scelte di vita. Ed anche lo Stato è riuscito – chi più chi meno – a fare i conti per agire sulle necessità collettive dei cittadini, dalle scuole agli asili, dalle pensioni fino ai ricoveri per anziani.
La sequenza delle età della vita – anche formale – è stata per tutti una misura per dare un ritmo alla crescita fisica e professionale, al progresso intellettuale e civile. Farne senza sarà difficile, a meno di avere nuovi punti di riferimento. Ma quali?

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).