Il mito delle macchine

Society 3.0


Il mito delle macchine

La filosofia dell’intelligenza artificiale - Dagli dèi ai robot, le radici dell’AI affonderebbero nell’antichità. Perché le civiltà antiche pensavano già all’automazione. Changes ne ha parlato con Adrienne Mayor.

Background of multi colored gears cut-out from paper, 3D

La filosofia dell’intelligenza artificiale – Dagli dèi ai robot, le radici dell’AI affonderebbero nell’antichità. Perché le civiltà antiche pensavano già all’automazione. Changes ne ha parlato con Adrienne Mayor.

Robot e intelligenza artificiale? Un film già visto, qualche millennio fa. Ma anche una sceneggiatura da rileggere, oggi, con le lenti della filosofia. Un’affascinante chiave di lettura si fa strada nell’esplorazione delle magnifiche sorti e progressive del progresso tecnologico. È la filosofia a consegnarcele, schiudendoci le porte dei miti dell’antichità. Dagli dèi ai robot, le radici dell’intelligenza artificiale affonderebbero nell’antichità. Del resto anche le civiltà antiche pensavano alla vita artificiale e all’impatto che avrebbe potuto avere sulla società, la riproduzione della socialità che contraddistingue la specie umana. È la tesi di Adrienne Mayor, docente di Storia e Filosofia della Scienza a Stanford, in libreria con Gods and Robots: Myths, Machines, and Ancient Dreams of Technology (Princeton University Press, Princeton, 2018, pp.304).

Mayor parte dalla storia dell’antichità e dalla mitologia, per arrivare alla robotica e all’intelligenza artificiale, oggi sulla bocca di tutti. Le radici del progresso tecnologico affondano nella classicità e si fanno risalire all’autore dell’Iliade e dell’Odissea. Già da Omero i greci immaginavano servitori robotici, statue animate e persino versioni antiche dell’intelligenza artificiale. “Nella leggenda indiana, invece, le preziose reliquie del Buddha venivano difese da guerrieri simil-robotici, riprodotti a partire da disegni greco-romani. Gli automi mitici appaiono nei miti su Medea e Prometeo, mentre molte di queste macchine sono descritte come realizzate con gli stessi materiali e metodi che gli artigiani in carne ed ossa usavano per erigere statue”, scrive Adrienne Mayor.

Molto prima degli automi medievali e secoli prima che la tecnologia concepisse l’idea dello smartphone, la mitologia greca stava esplorando la creazione di vita artificiale, alle prese con dilemmi etici ancora irrisolti, in particolare sulle biotecnologie e la vita riprodotta artificialmente. “Del resto già gli antichi egizi crearono una statua femminile alta quasi 4 metri, in grado si sollevarsi e piegarsi per versare del latte, sostenuta da ingranaggi e pesi”, nota la docente di Storia e Filosofia della Scienza a Stanford. Insomma gli antichi greci e romani, così come la mitologia indiana e quella cinese avevano già espresso in tempi non sospetti timori e speranze sull’automazione, ben prima che i chatbot conversassero con noi e gli algoritmi fossero celebrati in qualità di campioni di scacchi.

L’autrice sostiene inoltre che i miti furono influenzati dalle autentiche macchine animate inventate dagli ingegneri dell’antichità. Nel Terzo Millennio siamo tornati a parlare di Transumanesimo, la dottrina (laica) che – sull’onda del progresso tecnologico – punta a valicare i limiti della biologia, per consentirci di vivere per sempre. Ma le stesse civiltà antiche discutevano del desiderio – controverso – di trascendere la morte e ricreare una vita artificiale. Quelle stesse aspirazioni oggi ispirano i robot umanoidi e le interfacce grafiche degli algoritmi. Tuttavia le moderne entità algoritmiche presentano punti deboli, proprio come proponeva il mito di Talo.

Il primo robot a camminare sulla Terra? Un bronzo gigante, chiamato appunto Talo. Concepito non dal Massachusetts Institute of Technology di Boston, qualche settimana fa. Ma oltre 2500 anni fa da Efesto, dio del fuoco e dell’ingegneria nella mitologia greca. Concepito per Zeus, l’automa Talo fu incaricato di sorvegliare l’isola di Creta dai nemici. Il bronzo-robot presidiava il territorio, scagliando macigni contro gli oppositori del Re Minosse. Considerato invulnerabile e quindi invincibile, Talo aveva in realtà un punto debole: la caviglia e la vena che tratteneva il suo sangue. Arteria recisa da Peante, membro della spedizione degli Argonauti che invasero l’isola.

Annota Mayer: «Il mito di Talo dimostra come i greci usassero la sapienza biologica per integrare la mitologia e la robotica, riflettendo su un futuro in cui la tecnologia potesse produrre vita artificiale. Il punto debole anatomico di Talos è stato scelto per una ragione biologica. Ma non è difficile scorgere le analogie con la presunta invulnerabilità dei sistemi informatici moderni, imperfetti per definizione e afflitti da attacchi cibernetici e porte d’accesso che mettono in pericolo i dati personali di utenti in carne ed ossa». Un film che, a quanto pare, qualcuno aveva già visto e sceneggiato nell’antichità.

Giornalista, lavora ad Agorà (Rai3). È autore di Play Digital (RaiPlay). Scrive per il Corriere della Sera, le testate RCS, Capital e Forbes. È autore di saggi per l'Enciclopedia Italiana Treccani e ha lavorato in qualità di regista e autore per Quante Storie (Rai3), Codice (Rai1), Tg La7 (La7), Virus (Rai2), Night Tabloid (Rai2), Il Posto Giusto (Rai3), Web Side Story (RaiPlay). È autore del libro: “Guida per umani all’intelligenza artificiale. Noi al centro di un mondo nuovo" (Giunti Editore, Firenze, 2019). Ha vinto i premi giornalistici "State Street Institutional Press Awards" e "MYllennium Award”. ​