Terremoto, serve un patto pubblico-privati

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Terremoto, serve un patto pubblico-privati

Mentre nel Centro Italia il terremoto ancora si fa sentire, il dibattito sui rischi legati agli eventi naturali catastrofici ha animato il World Economic Forum di Davos. E il conto è salato: questi fenomeni costano in media 90 miliardi all’anno.

Mentre nel Centro Italia il terremoto ancora si fa sentire, il dibattito sui rischi legati agli eventi naturali catastrofici ha animato il World Economic Forum di Davos. E il conto è salato: questi fenomeni costano in media 90 miliardi all’anno.

Nassim Nicholas Taleb, filosofo e matematico libanese, ha definito con il termine “cigno nero” un evento imprevedibile che finisce per governare la nostra vita. Gli eventi imprevedibili, oggi, sono le catastrofi naturali che l’uomo non riesce ad anticipare. I rischi legati a questi fenomeni sono destinati a crescere insieme con le temperature che alimentano diluvi sempre più torrenziali, i terremoti sempre più forti nelle faglie più giovani e tsunami giganteschi a causa del surriscaldamento globale. Questo particolare cigno nero ha spesso la forma del terremoto, ed è entrato quest’anno nell’agenda del World Economic Forum che vede i potenti del mondo riuniti a Davos, nella cittadina svizzera del cantone dei Grigioni nota per la sua ”montagna incantata” raccontata da Thomas Mann.

La ragione? I disastri naturali di questo tipo sono in aumento per gravità e frequenza e possono verificarsi ovunque, anche in luoghi non considerati ad alto rischio secondo la scienza. La prova è data dall’ultima grande catastrofe avvenuta in ordine di tempo: il terremoto che ha sconvolto a novembre 2016 Christchurch in Nuova Zelanda, un danno stimato in circa 6 miliardi di dollari. Quella regione, per esempio, non era un luogo facilmente associato ad alto rischio di terremoti prima del sisma del 2011 – a differenza della capitale del paese, Wellington, che si trova vicino alle principali linee di faglia. Poco prima la terra era tremata in Israele, un danno stimato in 5 miliardi di dollari. Negli occhi di tutti gli italiani ci sono le immagini di agosto e ottobre 2016 quando il terremoto ha distrutto interi borghi del centro Italia, e con essi aziende di eccellenze agricole, monumenti e opere d’arte, e ha causato danni stimati tra gli 8 e i 10 miliardi di euro. 

L’impatto economico è diventato fin troppo reale per le persone che vivevano nelle piccole città ormai devastate di Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto dove la terra continua a tremare anche in questi giorni. Secondo l’analisi di Christian Mumenthaler group Chief Executive Officer della società di riassicurazione Swiss Re, solo l’1% degli edifici residenziali in Italia è assicurato, decine di famiglie vivono ancora nei container e senza il sostegno di un rimborso assicurativo, molte persone faranno fatica a ricostruire le loro vite.

Il prezzo del terremoto è altissimo per tutti. Arito Ono, economista giapponese, già capoeconomista di Mizuho Research Institute, ha spiegato come l’impatto sulla vita delle persone in seguito a catastrofi possa influenzare la crescita economica dei Paesi per diversi anni. «Le catastrofi naturali sono un male per l’economia, soprattutto quando interessano le aziende migliori. E colpiscono le imprese perché distruggono sia i beni materiali, come edifici e attrezzature, sia il capitale umano. Quindi deteriorano la loro capacità produttiva». Risultato? «Gli effetti negativi possono essere fatali per le industrie, perché spesso finiscono per farle chiudere». L’impatto economico è sempre più alto: tra gli 80 e 90 miliardi all’anno

La minaccia per lo sviluppo futuro del nostro mondo è molto reale. Per vincere la sfida governi e privati, e tra questi in primo piano il settore delle assicurazioni e riassicurazioni, devono intraprendere un’azione coraggiosa e decisiva oggi. Le domande da porsi sono semplici: Chi paga i danni? E soprattutto con quali tempi avvengono i rimborsi? In un Paese come la Francia, dove è obbligatoria l’assicurazione per le calamità se si fa quella antincendio, l’Association française de l’assurance ha calcolato che gli “aléas” naturali porteranno gli indennizzi assicurativi da qui al 2037 a 92 miliardi contro i 48 miliardi pagati negli ultimi venti anni. Dal Dopoguerra in poi invece l’Italia – dove la polizza per questi rischi non è obbligatoria – ha speso 150 miliardi di euro per ricostruire dopo i sismi. E non sono mancati sprechi e truffe, che hanno finito anche per ridurre le risorse (poche in verità) destinate la prevenzione. 

Carlo Cimbri, amministratore delegato di Unipol, ha definito «un atto di civiltà» e «un’operazione di equità» coinvolgere le compagnie assicurative sulla copertura dei danni dovuti alle catastrofi naturali. Cimbri ammette che l’obbligatorietà della polizza «è politicamente impraticabile in quanto verrebbe concepita come una nuova tassa». Ma ha ricordato che «oggi le operazioni di ricostruzione stanno in capo allo Stato: tutti noi ce ne facciamo carico, principalmente attraverso le imposte sul reddito. Se spostiamo questo onere sulla proprietà, ovvero si assicura chi è proprietario, lo trasferiremmo dal reddito alla proprietà. E questo secondo me è anche un fatto di equità». 

E il nodo è proprio questo. In Italia, secondo Legambiente, il “costo del dissesto idrogeologico” – cioè la semplice manutenzione – è pari a 2,5 miliardi all’anno. Necessiterebbero almeno 40 miliardi per un piano omogeneo di messa in sicurezza su tutto il territorio nazionale. Di conseguenza, e applicando in pieno il principio di sussidiarietà, la parola passa ai privati: singoli cittadini e aziende. La strada passa per una maggiore condivisione del rischio e secondo l’analisi di Swiss Re anche dall’introduzione – al momento in discussione a livello europeo – di strumenti di investimento di lungo periodo a supporto delle infrastrutture aperti a pubblico e privato e negoziabili. Solo così si attutisce il peso sullo Stato, che finora si è dimostrato un pessimo assicuratore: paga i danni, ma non incassa i premi, come disse l’ex premier Giuliano Amato. ​

Dalle redazioni alle media relations, in ogni caso sempre con l’attenzione focalizzata sulle notizie. Fernando Vacarini ha iniziato come giornalista collaborando con il quotidiano La Repubblica dove si è occupato della redazione di articoli per il dorso economico Affari&Finanza. Ha scritto inoltre per Mf Milano Finanza e Panorama Economy, e dal 2004 è passato dalle redazioni alla comunicazione corporate, prima come Responsabile ufficio stampa Financial services di Allianz, incarico che ha ricoperto per quasi due anni, e poi come Coordinatore ufficio stampa di Gruppo. In seguito ha ricoperto il ruolo di Vice capo ufficio stampa corporate in Generali. A fine 2007 entra nel Gruppo Cariparma Crédit Agricole come Responsabile relazioni con i Media di quello che presto diventerà uno dei principali gruppi bancari nazionali. Nel dicembre 2013 ritorna nel settore assicurativo assumendo l’incarico di Responsabile relazione con i media del Gruppo Unipol e delle sue controllate. In questa posizione si dedica anche allo sviluppo della comunicazione digitale portando l’azienda a muovere i suoi primi passi verso il mondo dei social network e degli influencer online in ottica corporate con l’obiettivo di migliorare la reputazione del Gruppo.