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La battaglia per arrivare a una legge che punisce le opere consapevoli di distruzione ambientale va avanti. Ed è decisiva per il nostro futuro.
Sarà anche uno strumento vecchio e forse poco trendy, ma resta uno dei più efficaci, se non il più efficace in assoluto, per combattere la crisi climatica ed ecologica e in generale per frenare la devastazione dell’ambiente che il modello economico estrattivo dominante inevitabilmente causa. Stiamo parlando della legge, in particolare della normativa ambientale, ancor più nello specifico di ecocidio. Quella per rendere l’ecocidio legge, cioè per introdurre il crimine di ecocidio a livello internazionale, è una battaglia che va avanti da moltissimo tempo. Non è conclusa, ma negli ultimi anni ha conseguito importanti risultati. E potrebbe rivelarsi decisiva per il nostro futuro.
La Treccani definisce l’ecocidio «opera di consapevole distruzione dell’ambiente naturale». A coniare il termine fu all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso il biologo americano Arthur Galston in riferimento alle devastanti conseguenze ambientali prodotte dall’utilizzo di defolianti (come il famigerato agente arancio, contenente diossina) da parte dell’esercito degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. Che, sia detto brevemente per inciso, storicamente è stato purtroppo solo uno dei tanti modi con cui i conflitti armati, ma più in generale l’industria bellica di per sé, hanno contribuito e continuano a contribuire grandemente ad aggravare la crisi climatica ed ecologica, motivo per cui da più parti si leva l’appello per un “disarmo climatico”.
Nel 1972 si parlò di ecocidio nella storica conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente umano che si tenne a Stoccolma e che ebbe una risonanza mondiale di cui si giovò anche la discussione sull’ecocidio, che da lì prese quota. Negli anni successivi si iniziò quindi a cercare la strada migliore per integrare il crimine di ecocidio nell’ordinamento giuridico su base universale. Si tentò ad esempio di inserirlo nell’ambito della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948, ma il tentativo non ebbe successo, come pure avvenne per altri tentativi simili negli anni successivi. Uno dei principali motivi degli insuccessi era l’estrema difficoltà di giungere a una definizione condivisa della fattispecie di ecocidio. Pionieristico al riguardo fu nel 1973 il lavoro di un docente di Diritto internazionale presso la Princeton University, il professor Richard Falk, che propose persino una Convenzione internazionale sul crimine di ecocidio. Mentre nel 1985 fu Benjamin Whitaker, relatore speciale delle Nazioni Unite della sottocommissione per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela delle minoranze dell’ECOSOC (il Consiglio Economico e Sociale dell’Onu), a proporre di introdurre l’ecocidio nella definizione di genocidio.
È proprio su questo fronte che pochi anni fa si è raggiunto uno dei risultati fondamentali cui si accennava all’inizio. Un gruppo di avvocati ed esperti legali internazionali costituito nell’ambito di Stop Ecocide International – la coalizione internazionale co-fondata dalla scomparsa avvocatessa britannica Polly Higgins, pioniera nella battaglia per il riconoscimento dell’ecocidio e con il suo lavoro fonte d’ispirazione per moltissimi impegnati in questo fronte – a giugno 2021 ha concordato una definizione giuridica di ecocidio. Che recita come segue: «’ecocidio’ significa atti illegali o arbitrari commessi nella consapevolezza di una sostanziale probabilità di causare un danno grave e diffuso o duraturo all’ambiente con tali atti». Dove ad esempio, come si spiega nei dettagli del Commentario alla definizione, per arbitrari si intendono atti commessi con irresponsabile mancanza di riguardo per un danno chiaramente eccessivo rispetto ai benefici sociali ed economici previsti; per duraturo s’intende un danno irreversibile o non sanabile in maniera naturale in un periodo di tempo ragionevole; e nell’ambiente sono inclusi biosfera, criosfera, litosfera, idrosfera, atmosfera e cosmo.
Il raggiungimento di una codificazione condivisa ha costituito una pietra miliare nella lunga storia, ma si potrebbe tranquillamente chiamarla battaglia, per rendere l’ecocidio un crimine su base internazionale. Inoltre, ha dimostrato quanto possa essere efficace la mobilitazione dal basso, il ruolo della società civile, nel raggiungimento di risultati anche di questa portata. Sarebbe ancora più importante, tuttavia, come del resto gli stessi esperti legali che hanno lavorato alla sua definizione hanno espressamente richiesto, che l’ecocidio venisse incluso nei reati di cui si occupa la Corte penale internazionale (CPI). Diventando così uno dei crimini internazionali, come i crimini contro l’umanità o i crimini di guerra, che la CPI può perseguire.
L’iter per far entrare l’ecocidio, come dire, nel radar di CPI può però rivelarsi assai travagliato e soprattutto durare anni. Senza poi considerare i tempi che richiederebbe la ratifica di un eventuale emendamento allo Statuto di Roma (il trattato internazionale che ha istituito nel 1998 e che disciplina il funzionamento della CPI) da parte degli Stati nazionali che alla CPI aderiscono. Per cui alcuni Paesi, in base alle rispettive sensibilità sui temi ambientali e climatici, hanno iniziato a muoversi in ordine sparso per introdurre l’ecocidio nel proprio ordinamento. Fra questi il Belgio e la Francia, che l’ha previsto nell’ambito della Legge sul clima del 2021. Nel gruppo anche Ucraina, Russia, Vietnam (il primo al mondo a introdurre l’ecocidio nel proprio ordinamento, nel 1990), Ecuador e recentemente Cile. In Scozia si sta discutendo la Ecocide prevention bill, con una consultazione pubblica tenutasi tra novembre 2023 e febbraio di quest’anno. In Italia è stata presentata nei mesi scorsi una proposta di legge per introdurre in ordinamento il reato di ecocidio.
Un grande risultato in questo senso è stato ottenuto pochi mesi fa, a novembre 2023, dall’Unione europea, quando Commissione, Consiglio e Parlamento europei si sono accordati per inserire di fatto l’ecocidio nel diritto comunitario, nel contesto della revisione della direttiva Ue sulla tutela penale dell’ambiente. Anche se con il compromesso è stato raggiunto grazie a un escamotage: la norma, infatti, non parla della prevenzione e della punibilità specificamente dell’ecocidio, ma di infrazioni ambientali «comparabili» all’ecocidio. Il che ha fatto storcere il naso ad alcuni. Ma in compenso l’impianto sanzionatorio collegato, con pene detentive e multe piuttosto importanti, ha fatto sì che i più vedessero il bicchiere mezzo pieno.
A chi magari si sta chiedendo «cosa posso fare io?» per la causa dell’ecocidio, una risposta possibile è guardare alle varie campagne e iniziative che la sostengono. Per i più giovani, ad esempio, collegata alla già citata Stop Ecocide International (stopecocidio.it la versione italiana del suo sito) c’è il network Youth for ecocide Law. Nata a supporto di una Iniziativa dei Cittadini Europei (Ice) rivolta al Parlamento Ue, è diventata di respiro internazionale la End Ecocide on Earth initiative. D’ispirazione religiosa è invece Faith for ecocide Law, coalizione di leader religiosi e spirituali internazionali che supportano il riconoscimento dell’ecocidio come crimine internazionale.
Qualche anno fa lo disse chiaramente anche lo stesso Papa Francesco, rivolgendosi ai partecipanti al 20mo Congresso Mondiale dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, occasione nella quale auspicò l’introduzione nel catechismo del “peccato ecologico”: «Si tratta – affermò il pontefice in riferimento all’ecocidio – di una quinta categoria di crimini contro la pace, che dovrebbe essere riconosciuta tale dalla comunità internazionale».