Le finte preoccupazioni ambientali

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Le finte preoccupazioni ambientali

Preoccuparsi per l’ambiente è auspicabile e quasi sempre significa sensibilità e senso civico. Ma non è sempre così, a volte ha un significato opposto. Ecco quando.

Uno slogan molto utilizzato da uno degli attuali gruppi ambientalisti più discussi (e polemici) recita: “Dire la verità, agire subito”. Lo slogan è bello perché trasmette una sensazione di nettezza delle idee, di urgenza dei problemi ambientali e infine di quanto, nell’attivismo, serva coerenza. Parafrasando lo slogan: se ci diciamo le cose come stanno, se stiamo cioè ai dati, e ne traiamo le conclusioni, allora non rimane che l’azione. Agire a livello individuale, con scelte consapevoli nei nostri consumi o col volontariato, ma anche agire a livello collettivo con associazioni, partiti, Ong e i più diversi tipi di attivismo.

“Dire la verità” si riferisce in prima istanza al riscaldamento globale, al fatto che è una cosa “vera”, nonostante i negazionismi diffusi. Eppure, se allarghiamo lo sguardo sui temi ambientali bisogna ammettere che non sempre prendiamo atto della verità. Anzi, ci sono delle volte in cui la verità la ignoriamo di continuo. E la ignoriamo nonostante i dati siano disponibili e facili da consultare, nonostante la comunità scientifica si sia espressa chiaramente e anche nonostante i media – i tanto vituperati media – abbiano trattato i temi in questione con dovizia di particolari e con ragionevolezza.

L’acqua di Fukushima

La celebre “acqua di Fukushima” è un esempio perfetto di verità ambientale ignorata sistematicamente. Ma è anche un esempio di come, a volte, ci preoccupiamo di problemi ambientali che, a ben vedere, problemi non sono. L’acqua di Fukushima è quella utilizzata dalle autorità giapponesi per raffreddare i reattori nucleari danneggiati dall’incidente avvenuto nel 2011. Ormai dodici anni fa un forte terremoto fece spegnere la centrale come da procedure di sicurezza, ma un grande tsunami danneggiò comunque la struttura, perché le protezioni verso il mare erano inadeguate.

L’acqua usata per raffreddare i reattori è stata trattata per essere innocua sia per l’ambiente sia per l’uomo, eppure in Giappone e anche altrove ci sono state proteste ambientaliste molto accese. Sono cittadini preoccupati per la propria salute e per quella degli ecosistemi, è facile quindi empatizzare con queste persone, eppure i dati sono chiari. Quell’acqua è sicura. Il governo di Tokyo si è espresso a proposito, chiarendo che l’acqua verrà rilasciata molto lentamente (in circa quarant’anni di tempo) e a confermare la sicurezza dell’operazione è stata anche l’Aiea, cioè l’agenzia internazionale per l’energia atomica. Eppure, in barba all’evidenza scientifica, le proteste di alcuni gruppi ambientalisti, soprattutto giapponesi, non si sono fermate.

Il punto è che è bene dire la verità e protestare perché la verità sia rispettata, ma per poter sapere la verità è essenziale saper ascoltare. Perché la verità non è una specie di dono divino che di colpo scopriamo dentro noi stessi come fosse una rivelazione. La verità viene dall’elaborazione critica delle informazioni che il mondo attorno a noi ci fornisce. Serve, insomma, saper mettere in dubbio ciò che già sappiamo. Invece per paura, per ideologia o per testardaggine ci impuntiamo.

Fare figli

C’è un altro tema su cui alcuni (non tutti, ma solo alcuni giustappunto) ambientalisti si preoccupano per niente. Cioè l’eventuale impronta ecologica dei nuovi nati. Una visione particolarmente nichilista dell’ambientalismo, infatti, sostiene che ogni nuovo nato non potrà che inquinare il pianeta, proprio come facciamo noi. E quindi, come conseguenza logica, sarebbe meglio scegliere di non fare figli. Peccato che non sia vero.

Anzi, i dati dicono una cosa del tutto opposta. Anche tralasciando che le economie (soprattutto occidentali) vanno verso la neutralità carbonica, sappiamo per esempio che i più giovani sono la fascia di popolazione con più a cuore i temi ambientali, il consumo sostenibile e la salvaguardia degli ecosistemi. Si può presumere, quindi, che saranno proprio le future generazioni quelle che si impegneranno di più per salvaguardare la natura. Si potrebbe controbattere che sarebbe comunque opportuno, per noi umani, non crescere troppo velocemente di numero. Così da consumare in ogni caso meno risorse. Ma anche questo punto, almeno per noi italiani, non regge affatto: la popolazione del nostro Paese infatti non cresce, semmai diminuisce notevolmente. L’Italia passerà dagli attuali 59 milioni di abitanti a 58 nel 2030, per poi calare ancora fino a 54,1 milioni nel 2050 e 47,6 milioni nel 2070.

Le centrali nucleari

E poi c’è l’energia nucleare. Com’è noto l’urgenza ambientale di questo periodo storico è quella di smettere di emettere gas serra in atmosfera. I gas climalteranti come azoto, anidride carbonica, metano e tanti altri. Bisogna smettere e, soprattutto, bisogna farlo in tempi stretti. Ebbene, l’energia nucleare è altamente efficiente: produce grandi quantità di energia ed emette pochissimi gas serra, al contrario di altre fonti energetiche come carbone, petrolio e gas. Ma la grande maggioranza dei gruppi ambientalisti ne ignora l’utilità.

Diffidiamo dell’energia nucleare per molti motivi. Il principale è che esiste un’eredità storica dell’ambientalismo occidentale, cioè un “pacchetto di idee” che ci portiamo dietro dal passato e che sono schiettamente antinucleare. Il referendum che in Italia impedisce di avere centrali nucleari, per esempio, viene anche da un voto popolare condizionato dalla paura. Era il 1987 quando italiani e italiane vennero chiamati a esprimersi su questi temi, l’incidente di Chernobyl era accaduto solo un anno prima, e si temeva che gli effetti sarebbero stati devastanti in tutta Europa (ma non lo furono). Insomma, il nucleare oggi ci tornerebbe utile per abbattere le emissioni e accompagnare la transizione ecologica, ma la nostra ideologia e i nostri preconcetti ce lo impediscono. In Germania, non a caso patria di moltissimi ambientalisti e del Partito dei Verdi al governo, si arriva al paradosso: le centrali nucleari vengono spente e ci si appresta a usare al loro posto anche grandi quantità di combustibili fossili, come il carbone (la fonte fossile più inquinante di tutte). Poco importa che ci siano centrali di nuova generazione, che l’incidente di Fukushima abbia fatto pochissimi danni e pochissimi morti (uno solo), poco importano i dati, conta di più la nostra paura preconcetta ed ereditata dal passato.

I tanti casi di “nimby”

Infine, ci sono un’infinità di casi che in inglese vengono chiamati “nimby”. La sigla sta per “not in my backyard”. In italiano, letteralmente, significa “non nel mio cortile”. Sono quei tantissimi casi di egoismo in cui banalmente si spera che sia qualcun altro a farsi carico di un’opera o di un’infrastruttura. Le pale eoliche? Certo, siamo d’accordo che si produca energia con l’eolico, ma non le vogliamo mica vicino casa nostra. Una centrale idroelettrica? Bene, ma non qui. E un parco fotovoltaico invece? Stessa minestra: che lo facciano pure, ma non nel nostro quartiere, o non nel nostro comune né sulle nostre montagne. Siamo i campioni dello scaricabarile, e dell’egoismo che porta a un risultato ovvio: l’immobilismo.

Perché preoccuparsi per i temi ambientali è un fatto auspicabile, che quasi sempre significa sensibilità e senso civico, ma altre volte, come queste elencate in questo articolo, significa l’opposto. Mancanza di senso civico e, alla fine della fiera, rifiuto della verità.

Giornalista, ogni settimana scrive per Wired Italia “Non Scaldiamoci”, la newsletter sulle conseguenze politiche e sociali del riscaldamento globale e delle questioni ambientali. Si è occupato soprattutto di ambiente e politica estera, con un’attenzione particolare al continente africano, per varie testate. Tra queste Il Foglio, Wired Italia, Linkiesta, Rolling Stone, Repubblica ed Esquire Italia. Ha scritto reportage dall’Africa, dalla Norvegia, dall’Australia, dalla Polonia, dalla Francia e dal Parlamento europeo. È editor della rivista di saggistica e approfondimento culturale L'indiscreto e dal 2020 al 2022 ha insegnato all’Università degli Studi di Ferrara.