Il ritorno del lupo

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Il ritorno del lupo

Da animale in via di estinzione a predatore pericoloso per gli allevamenti europei. In poco più di 30 anni la storia del lupo è cambiata e da caso ambientale è diventata una questione politica.

Alcune volte la natura è così rapida nell’evolversi, e nel cambiare radicalmente, da riuscire a sorprenderci. Negli anni Novanta i lupi erano considerati una specie quasi estinta, almeno qui in Europa. Secondo i ricercatori sulle Alpi italiane i branchi erano solo tre. Da quel momento in poi, però, nel giro di pochi decenni – dopo l’approvazione delle leggi che ne hanno formalizzato lo status di specie protetta – i branchi alpini sono diventati circa 130. Sembra incredibile, ma secondo diversi esperti, e secondo molti politici, potremmo essere arrivati al problema opposto: dal pensare a come scongiurarne l’estinzione a pensare che i lupi siano troppi.

I motivi per cui cresce l’opinione secondo cui i lupi sarebbero troppi sono due. Il primo è la velocità con cui la popolazione della specie aumenta. Secondo un nuovo studio reso pubblico dalla Commissione Europea i lupi sono passati da essere 11 mila e 193 nel 2012 a 20 mila e 300 nel 2023. In un decennio, quindi, sarebbero più che raddoppiati. Il secondo motivo, invece, è che stanno causando grandi danni agli allevamenti.

Con l’aumento del numero di lupi in Europa si è registrato un progressivo aumento dei danni causati ai capi di bestiame presenti nelle zone montane e collinari. Ogni anno sarebbero 65 mila i capi uccisi dai lupi, con un sostanzioso contraccolpo economico per pastori, aziende agricole e allevatori. Così hanno preso spazio e raccolto sempre più sostegno le iniziative che propongono di modificare lo status di specie protetta del lupo. L’idea è semplice: renderlo più vulnerabile e rallentare la sua nuova diffusione.

Lupi e politici

La faccenda del ritorno dei lupi in Europa non è soltanto ambientale, ma anche politica. Riguarda, per esempio, la stessa Ursula von der Leyen. Cioè l’attuale presidente della Commissione Europea e candidata alle prossime elezioni europee con lo schieramento di centrodestra che fa riferimento, tra gli altri, al Partito Popolare Europeo (PPE). Von der Leyen, infatti, nella Bassa Sassonia subì direttamente una delle conseguenze del ritorno del lupo: la sua pony di nome Dolly (di oltre trent’anni di età) venne uccisa proprio da un lupo non molto tempo fa, nel settembre del 2022.

Ma non è solo una questione di traumi personali legati agli animali domestici. La categoria degli allevatori, in Europa, è storicamente vicina ai partiti di centro-destra, e allo stesso tempo è la categoria che sta subendo più di tutte i danni economici dell’aumento della popolazione dei lupi. D’altronde non è solo una questione di capi abbattuti, ma anche di spese preventive che sono sempre più necessarie: le staccionate rinforzate e le recinzioni elettrificate hanno costi ingenti. Per tutte queste ragioni (a cui si aggiunge l’avvicinarsi delle elezioni europee di giugno) è decisamente probabile che l’asticella politica propenderà per una minore protezione della specie, e questo nonostante le proteste e la disapprovazione dei gruppi ambientalisti.

Umani e lupi

Per far convivere umani e lupi ci sarebbero anche metodi vecchi di secoli, e non eccessivamente dispendiosi. Come ha raccontato la scienziata Hanna Pettersson i lupi erano diffusissimi in tutta Europa, dalla Scandinavia alla Spagna, fino al Diciannovesimo secolo e i cani pastore e da guardia erano piuttosto efficienti nel contrastarli, sia affrontandoli sia facendo da deterrente. I lupi poi furono decimati dalla caccia indiscriminata che funzionò proprio per permettere l’espansione dell’agricoltura e degli allevamenti. Per buona parte dell’Ottocento e del Novecento (quindi nel periodo in cui la nostra società si è fatta tecnologica e progredita) i lupi, semplicemente, non c’erano più. Poi, da metà degli anni Settanta del Novecento è cominciata la riconquista da parte di questa specie del proprio areale storico.

E così, oggi, ci troviamo impreparati a questo ritorno più o meno inaspettato: anche perché non parliamo di un animale qualunque, ma del principale superpredatore (cioè quello apicale in un ambiente) del nostro continente. Un animale intelligente, particolarmente sociale, che potenzialmente – proprio come l’orso – può costituire un pericolo anche per noi umani. Trovare gli spazi per così tanti nuovi branchi non è facile. Da una parte abbiamo il fatto che ogni branco di lupi vive in un territorio piuttosto vasto (tra i 100 e i 500 chilometri quadrati) e i branchi non si sovrappongono mai su un solo territorio, ma si evitano. Dall’altra abbiamo le regole di noi umani in questo pezzo di mondo: un lupo in Italia può essere considerato pericoloso, e quindi da abbattere, anche semplicemente se non scappa quando vede gli umani, e dimostra “abitudine” alla loro presenza. Le due cose, com’è ovvio, non stanno bene insieme.

Giornalista, ogni settimana scrive per Wired Italia “Non Scaldiamoci”, la newsletter sulle conseguenze politiche e sociali del riscaldamento globale e delle questioni ambientali. Si è occupato soprattutto di ambiente e politica estera, con un’attenzione particolare al continente africano, per varie testate. Tra queste Il Foglio, Wired Italia, Linkiesta, Rolling Stone, Repubblica ed Esquire Italia. Ha scritto reportage dall’Africa, dalla Norvegia, dall’Australia, dalla Polonia, dalla Francia e dal Parlamento europeo. È editor della rivista di saggistica e approfondimento culturale L'indiscreto e dal 2020 al 2022 ha insegnato all’Università degli Studi di Ferrara.