Cina-Equador: l’accordo della discordia

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Cina-Equador: l’accordo della discordia

Il governo di Pechino ha stretto un patto commerciale con il Paese dell’America meridionale che è potenzialmente dannoso per l’ambiente. Ecco perché.

L’Ecuador è un piccolo paese americano di cui, qui in Italia, di recente si è parlato per motivi molto vari: l’assalto, in stile guerra civile, da parte di bande di narcotrafficanti alle televisioni, alle scuole e agli edifici pubblici, per esempio, ma anche la depenalizzazione dell’eutanasia. Sempre in Ecuador, però, anche se questo tema sui media non è apparso quasi per nulla, succede che sia in fase di approvazione un grande accordo che prevede un’impennata degli scambi commerciali con la Cina. Un accordo presentato come conveniente e benefico per l’economia ecuadoriana, ma che per più di una ragione potrebbe avere ripercussioni su vasta scala sull’ambiente e sugli ecosistemi dell’area.

Al momento sono novantasette le associazioni di cittadini, comprese Ong e comitati, tutte ecuadoriane, che hanno sottoscritto e reso pubblico un appello contro la firma dell’accordo con la Cina. La firma finale da parte dell’esecutivo ecuadoriano era descritta come “in bilico” dagli osservatori politici esperti della regione, ma stando ai media locali e agenzie cinesi come Xinhua questa firma sarebbe infine arrivata il 7 febbraio 2024.

A questo punto sono due le domande che ci facciamo:

  • Dovremmo davvero preoccuparci per l’ambiente ecuadoriano? E la risposta è sì. Sì perché la natura, in Ecuador, ha un’importanza considerevole. Qui infatti vivono la bellezza di 4.500 diverse specie di piante endemiche; l’8% di tutte le specie animali del mondo e addirittura il 18% delle specie di uccelli della Terra. In Ecuador peraltro si trova uno degli arcipelaghi più famosi e importanti per naturalisti e studiosi degli ecosistemi, quello delle Galapagos.
  • La seconda domanda, invece, si pone un po’ più a valle: com’è che un accordo commerciale può minacciare la natura di un intero paese? La risposta è che tale accordo prevede che in Ecuador arrivino enormi quantità di rifiuti direttamente dalla Cina. Rifiuti che il piccolo paese equatoriale non ha i mezzi per smaltire o stoccare, e che quindi andranno con una certa probabilità a impattare direttamente sulle aree meno abitate, cioè proprio quelle a più alto interesse ambientale. Si tratta di prodotti farmaceutici; parti esauste di batterie e apparecchi elettronici; rottami metallici; plastica monouso; vetro e liquidi contaminati.

Ciò che comprensibilmente ha convinto l’assemblea nazionale, riunita nel Palacio Legislativo di Quito, è la potenziale convenienza economica dell’accordo di libero commercio con Pechino, che prevede che sia la Cina che l’Ecuador ridurranno completamente i dazi sul 90% dei beni oggetto di scambi commerciali. Anche perché si tratta di un abbattimento delle tariffe quasi del tutto immediato: il 60% sarà cancellato immediatamente dopo l’entrata in vigore dell’accordo, il restante 30% nei mesi successivi.

Oltre ai rifiuti in arrivo dalla Cina ci sono altri pericoli per l’ambiente ecuadoriano. Ci saranno con tutta probabilità nuove concessioni per lo sfruttamento delle risorse naturali, innanzitutto miniere e legname, e in entrambi casi l’effetto collaterale, chiamiamolo così, sarà necessariamente il disboscamento di intere aree naturali.
Non solo: l’economia dell’Ecuador, che già oggi dipende fortemente dalla Cina, sarà sostanzialmente monopolizzata, visto che l’accordo tratta di tutti i beni che l’Ecuador esporta. Questo, a detta di diversi osservatori ed esperti del tema, potrebbe dare a Pechino un potere tale, nel piccolo paese americano, da rendere le aziende cinesi immuni da eventuali cause per danni ambientali.

La sproporzione di potere tra Ecuador e Cina, peraltro, rende l’accordo sostanzialmente a senso unico. Un modello di accordo “obbligato” già visto in diverse zone dell’Africa, dove Pechino promette aiuti e grandi investimenti in aree particolarmente piegate dalle difficoltà economiche, e in cambio di tali aiuti, però, ottiene condizioni paragonabili a quelle di un colonialismo de facto. È la preoccupazione di Diana Castro della Ong ambientalista Latinoamérica Sustentable: «Questa è una delle economie più piccole del Sud America che inizia a negoziare con la più grande economia del mondo, la situazione è completamente diseguale e si tradurrà in un impatto sugli ecosistemi dell’Ecuador».

C’è anche chi è stato più esplicito. Secondo la deputata ecuadoriana Esther Cuesta, del partito Revolución Ciudadana, «con questo accordo di libero scambio, l’Ecuador si trasformerà in una discarica». E la stessa preoccupazione, altrettanto netta, è stata espressa dagli addetti del WWF dell’Ecuador, secondo cui la salute dell’ambiente del paese potrebbe peggiorare molto rapidamente. Anche perché, tra le altre cose, l’accordo prevede che alcuni beni di cui l’Ecuador è esportatore, come caffè e banane, saranno immediatamente esenti da tasse, ed è quindi probabile che ci sarà una crescita della richiesta da parte cinese, e conseguenti deforestazioni che serviranno a far spazio a stretto giro alle nuove coltivazioni.

C’è un ultimo dato preoccupante. Le infrastrutture che, con tutta probabilità, verranno costruite o ampliate in Ecuador per far spazio ai nuovi commerci saranno co-gestite da aziende cinesi o, come già successo altrove, saranno interamente portate a termine da aziende che risponderanno direttamente a Pechino. Aziende che sistematicamente violano regolamenti e accordi sulla protezione ambientale. Tanto che diversi report hanno già dimostrato come la grande maggioranza delle opere già eseguite in America latina, siano state terminate a scapito di interi ecosistemi.

Giornalista, ogni settimana scrive per Wired Italia “Non Scaldiamoci”, la newsletter sulle conseguenze politiche e sociali del riscaldamento globale e delle questioni ambientali. Si è occupato soprattutto di ambiente e politica estera, con un’attenzione particolare al continente africano, per varie testate. Tra queste Il Foglio, Wired Italia, Linkiesta, Rolling Stone, Repubblica ed Esquire Italia. Ha scritto reportage dall’Africa, dalla Norvegia, dall’Australia, dalla Polonia, dalla Francia e dal Parlamento europeo. È editor della rivista di saggistica e approfondimento culturale L'indiscreto e dal 2020 al 2022 ha insegnato all’Università degli Studi di Ferrara.