Welfare: le sfide dell’inverno demografico

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Welfare: le sfide dell’inverno demografico

Per il nostro sistema, le ricadute economiche dei trend di decrescita e invecchiamento della popolazione equivalgono da un lato a un ulteriore sbilanciamento della spesa sulla componente delle pensioni; dall’altro a una pressione sulla spesa sanitaria. L’analisi sul futuro dell’Italia secondo i dati del Think Tank «Welfare, Italia» di Gruppo Unipol e The European House Ambrosetti.

L’Italia è chiamata ad affrontare le sfide derivanti dall’inverno demografico, una combinazione di declino demografico e progressivo invecchiamento della popolazione.
La popolazione italiana, in crescita costante dall’inizio del Novecento, dal 2014 ha infatti avviato un percorso di progressiva diminuzione e nel solo 2023 è diminuita di oltre 7mila unità, in controtendenza rispetto alla media europea e ai Paesi benchmark che hanno invece sperimentato un aumento della popolazione, come in Spagna (525 mila), Germania (330 mila) e Francia (229 mila). Il 2023, inoltre, è stato contrassegnato dall’ennesimo minimo storico di nascite, pari a 379 mila (-3,6% rispetto al 2022), che combinato con un numero di decessi pari a 660 mila ha contribuito a un saldo naturale negativo di 281 mila unità.

Non da ultimo, l’Italia registra un progressivo invecchiamento della popolazione, la cui età media è cresciuta negli ultimi cinque anni passando da 46,4 anni del 2018 a 48,4 anni del 2023, il dato più alto tra i Paesi europei e superiore di 4 anni rispetto alla media UE (44,5). Da un punto di vista meramente economico, la somma di queste due dinamiche (meno nati, più anziani) produrrà, almeno nel medio periodo e in mancanza di interventi, un duplice effetto negativo: la diminuzione della base lavorativa (e quindi delle entrate contributive) e l’aumento della spesa sociale, in primis previdenziale e sanitaria.

Con riferimento alla diminuzione della base lavorativa, ai tassi attuali l’Italia potrebbe avere al 2035 meno 4,4 milioni di persone in età lavorativa e più 3,6 milioni di over-65. Ciò avrebbe l’effetto di mettere ulteriormente sotto pressione la sostenibilità del sistema previdenziale, e quindi del sistema di welfare nel complesso. Basti pensare che il rapporto tra occupati e pensionati ritenuto necessario per la sostenibilità del sistema nel medio-lungo periodo è di 1,5. In Italia il rapporto è attualmente di 1,3, inferiore di 0,2 p.p. al valore di sostenibilità e destinato a ridursi ulteriormente nei prossimi anni (entro il 2035 il numero di pensionati supererà per la prima volta quello degli occupati).

Inoltre, per il nostro sistema di welfare, già sbilanciato a favore della componente previdenziale, le ricadute economiche dei trend demografici equivalgono ad un ulteriore sbilanciamento della spesa sulla componente previdenziale, aggravando la sua incapacità di “auto-sostenersi”. Infatti, già oggi, nonostante sia previsto all’interno del sistema previdenziale un equilibrio tra i contributi versati e le pensioni erogate, il sistema si trova puntualmente in deficit. La conseguenza che ne deriva è una costante richiesta di risorse da parte della previdenza alla fiscalità generale. In questo contesto, secondo il DEF 2024, l’invecchiamento della popolazione dovrebbe generare un ulteriore aumento di spesa previdenziale che è stimata crescere da 319,1 miliardi di euro del 2023 ai 337,5 (+5,8%) del 2024, mentre al 2027 potrà raggiungere i 368,1 miliardi di euro.

Quanto cresce la spesa previdenziale

Previsioni di spesa del DEF 2024 in mld di euro. Il valore 2023 si riferisce al consuntivo
Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Documento di Economia e Finanza, 2024

Le soluzioni possibili allo squilibrio previdenziale

Quali le possibili soluzioni agli squilibri previdenziali derivanti dall’inverno demografico? Nel breve periodo, le principali soluzioni per garantire l’equilibrio complessivo del sistema pensionistico – che si basano sull’equazione di calcolo dei sistemi a ripartizione (come quello italiano) – sono costituite dall’innalzamento dell’età pensionabile e dalla riduzione del valore delle pensioni rispetto all’ultima retribuzione (ovvero del tasso di sostituzione).
Rispetto a questo secondo punto, è proprio la Ragioneria dello Stato a fornire le previsioni sull’andamento dei tassi di sostituzione. In particolare, dalle previsioni, effettuate a legislazione vigente, emerge come la riduzione del tasso di sostituzione sarà più contenuta per le pensioni che prevedono il ricorso a forme integrative rispetto a quelle che prevedono la sola componente pubblica. Le stime prevedono che, per un lavoratore dipendente il tasso di sostituzione potrebbe ridursi dall’81,5% del 2020 al 67,6% nel 2050 (-13,9%.) mentre per un dipendente con previdenza obbligatoria e complementare, la diminuzione potrebbe essere di soli 8,7 punti percentuali nello stesso periodo.

Occorre sottolineare come la riduzione del tasso di sostituzione implica altresì un impoverimento delle pensioni, che di conseguenza potrebbe generare maggiori bisogni di protezione sociale e dunque un aumento della spesa ad essi correlata. Ciò si colloca in un contesto in cui, già oggi, circa un pensionato su tre percepisce una pensione inferiore a 1.000 euro al mese. Nel dettaglio: 1,2 milioni di persone percepiscono meno di 500 euro di pensione al mese e, di queste, 659mila percepiscono meno di 250 euro al mese.

La pressione sul sistema sanitario

Le implicazioni dell’inverno demografico (meno nascite, più anziani) non si limitano esclusivamente all’ambito previdenziale ma rappresentano altresì una importante sfida anche per i sistemi sanitari, come più volte sottolineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La popolazione anziana è infatti tipicamente accompagnata da un aumento delle malattie non trasmissibili e croniche (malattie cardiovascolari, diabete, patologie neurodegenerative, tumori, problemi muscolo-scheletrici, malattie respiratorie, e così via) e conseguentemente da una maggiore pressione sui sistemi sanitari e di assistenza sociosanitaria. Quest’ultimo aspetto viene messo bene in evidenza dai seguenti dati: a 55 anni, 1 persona su 2 ha almeno una patologia cronica, tra gli over-75 questo valore aumenta a 9 persone su 10. Inoltre, la spesa sanitaria pro-capite è nettamente più alta nelle fasce d’età estreme (meno di 1 anno e più di 65 anni), con una spesa che raggiunge il picco nelle fasce d’età tra gli 80-84 anni, pari a circa 5.414 Euro pro-capite. Solo negli ultimi 5 anni, la spesa sanitaria pro capite media negli over-65 è aumentata del 9,2% a causa di una più alta prevalenza di fattori di rischio e un numero maggiore di pazienti cronici (circa +402.000 over-65). L’effetto complessivo sarà che, nel 2050, il 74% della spesa sanitaria pubblica si concentrerà nelle fasce d’età superiori ai 60 anni (nel 2023 tale percentuale è pari al 60%).

Come si può bilanciare questo squilibrio della spesa sanitaria pubblica verso gli over 60? Ci sembra che la via da perseguire sia già tracciata: puntare a programmi di Long Term Care, attraverso una collaborazione tra la sanità integrativa ed investimenti pubblici ma soprattutto investire decisamente in programmi di prevenzione sanitaria, da applicare ad una platea quanto più ampia della popolazione italiana.

Quanto pesa la spesa sanitaria

Spesa sanitaria pubblica per fasce d’età (mld di euro)
Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati Documento di Economia e Finanza, 2024

Nato nel 1966. Laureato in Giurisprudenza, avvocato, ha conseguito il diploma MBA Executive Master in Business Administration alla Luiss Business School. È Responsabile Institutional & Public Affairs Gruppo Unipol. È Consigliere di Amministrazione della Fondazione Unipolis. Nella sua attività professionale è stato ricercatore di ruolo al CENSIS, dove si è occupato di mercato del lavoro, rappresentanze e pubbliche amministrazioni; Direttore di Confindustria-AssoBirra e ha rappresentato il settore birrario italiano a Bruxelles nell’associazione europea The Brewers of Europe e in qualità di Segretario Generale dell’Osservatorio Permanente per i Giovani e l’Alcol; è stato Direttore delle Relazioni Esterne di Confagricoltura.