Qualcosa di personale

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Qualcosa di personale

Si può parlare di una nuova era rispetto alle prospettive offerte all’umanità dalle nuove tecnologie? Il tema non è mai cambiato e ha a che fare con l’accettazione della responsabilità nell’impiego della tecnica e nell’applicazione della conoscenza.

AI(Artificial Intelligence) concept. Woman silhouette and electric circuit.

Si può parlare di una nuova era rispetto alle prospettive offerte all’umanità dalle nuove tecnologie? Il tema non è mai cambiato e ha a che fare con l’accettazione della responsabilità nell’impiego della tecnica e nell’applicazione della conoscenza.

Provate a pensare di mettere per un giorno il vostro smartphone in un cassetto. Come cambierebbe il vostro tempo? A quali gesti fareste fatica a rinunciare? Lo smartphone è solo una delle tante dipendenze tecnologiche dei nostri giorni, ci porta a interagire quotidianamente con l’intelligenza artificiale e gli algoritmi che, di fatto, provano a governare le nostre vite. Fermiamoci un attimo a pensare: in tutto questo le persone dove sono? La tesi estrema è quella che Jerry Kaplan, pioniere della Silicon Valley, ha espresso nel suo libro Le persone non servono. Lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza artificiale dove, invece, si afferma che non solo le persone servono, ma sono necessarie anche se dovranno rinunciare ad alcune occupazioni a basso valore aggiunto.

Il paradosso di Kaplan dimostra esattamente il contrario: le persone servono, eccome, e il desiderio di conoscere, che la tecnologia ha aumentato in maniera esponenziale, è quanto di più umano ci possa essere. Il problema, e la storia della filosofia lo insegna benissimo, non è il sapere, la scienza e il progresso tecnologico, ma l’uso che se ne fa e, soprattutto, la tendenza che gli esseri umani hanno di creare dei miti.

A cominciare da due miti tra loro molto legati, ben raccontati nelle Teogonia di Esiodo. Prometeo e Pandora. Prometeo era il titano che donò il fuoco agli uomini, elevandoli dalla condizione selvatica a quella di esseri capaci di costruire: per questo fu punito da Zeus, perché aveva messo a disposizione degli uomini qualcosa che sarebbe dovuto restare nell’esclusivo mondo degli dei, qualcosa che oltre ai vantaggi avrebbe comportato il problema dell’uso del bene fuoco e quindi della responsabilità.

Ma non pago della punizione verso Prometeo, Zeus volle strafare. Per punire gli uomini, architettò un piano per diffondere tra l’umanità i mali, le sofferenze, le malattie, l’odio, la guerra. Lo fece grazie ad un vaso che Pandora, curiosa cioè assetata di conoscenza, aprì nonostante il divieto assoluto.  Per fortuna in fondo al vaso, sotto tutti i mali, era custodita la speranza. I due miti ci insegnano che non può esistere una conoscenza né una tecnica, che è l’applicazione della conoscenza, che non implichino un problema di utilizzo responsabile delle conquiste del sapere.

Lo smartphone è uno dei nuovi Dei dell’era contemporanea, ma possiamo elencarne altri come il Wi-Fi – alzi la mano chi prenotando le vacanze estive non ha chiesto se ci fosse una connessione decente – il food delivery a tutte le ore del giorno, l’acquisto online di qualsiasi bene in ogni momento. Chi decide se ci sono dei limiti? L’uomo è la risposta, che ci riporta al mito. Dietro gli oggetti “animati” artificialmente ci siamo sempre noi. Li costruiamo e li usiamo. Il bottone lo pigiamo noi.

Vediamo un po’ la natura e le caratteristiche di questa nuova-antica era. L’intelligenza artificiale non è un unicum, è la somma di tante tecnologie messe insieme che ci porterà a salire su auto senza pilota, a ingaggiare aiutanti robot e a decidere perfino di fare la guerra schiacciando un pulsante. Siamo tutti parte di un cambiamento che ci fa girare sempre intorno alla domanda: le persone dove sono? Il paradosso è proprio questo: sono sempre più presenti e al centro di questo nuovo mondo. Il robot antropomorfo che troviamo nei libri di fantascienza, da Isaac Asimov in poi, può creare dei problemi di identità solo all’inizio perché razionalmente sappiamo benissimo che un software è meno intelligente dell’uomo che lo programma.

La tecnologia che sta dietro ogni grande cambiamento di questo secolo dalla robotica alla genetica, dalle nuove forme di mobilità all’economia circolare, sta provocando esattamente l’effetto contrario, spingendoci verso un’estrema personalizzazione del mondo, verso il Me al centro di tutte le scelte fatte con l’intelligenza artificiale in una nuova forma di personalizzazione sociale che passa dalla playlist di Spotify, dal medico on demand e arriva fino ai servizi finanziari. Ma torniamo al punto: le persone dove sono? Agiscono da ingranaggio decisivo per mettere in moto qualsiasi servizio collegato all’intelligenza artificiale.
Mi piace pensare all’algoritmo come a qualcosa di personale, che si basa su un numero crescente di individui concentrati nella propria scelta di contenuti come ben sottolinea il report Getting personal: Putting the me in entertainment and media che non è solo la fotografia del settore, ma il ritratto di uno stile di vita che è ormai fattore comune. L’uomo sceglie e poi clicca, l’algoritmo è una somma di scelte umane. Non c’è niente di più personale di questo. Tanto che, i progressi nella tecnologia e nell’offerta di servizi hanno portato le persone dal consumo passivo a quello attivo, non solo dei singoli media, ma di tutti i servizi. Per questo anche per le aziende diventare parte attiva di questo cambiamento è una scelta che le porta a diventare parte della personalizzazione sociale.

Da ultimo, mi piace pensare, tuttavia, che i nostri sensi, sempre all’erta, continuano a funzionare come sempre, facendoci apprezzare il mondo in modo più diretto, senza “instrumenta“, per vedere un’alba senza fare il selfie, per comprare un oggetto visto e toccato, per leggere un libro sentendo al tatto le pagine che si sfogliano. Umanesimo e tecnologie possono convivere. È bene che convivano sempre. 

Da tempo il Gruppo Unipol ha raccolto la sfida della personalizzazione come scelta strategica. Un pensiero che si traduce nel piano editoriale del nostro blog Changes Unipol che è anche un magazine semestrale dove la narrazione delle sfide del futuro e di come il Gruppo Unipol pensa di coglierle è al centro insieme con i bisogni delle persone. Il Me, l’uomo, per il Gruppo Unipol è al centro del Piano Strategico 2019-21 e degli ecosistemi che puntano a soddisfare i principali bisogni delle persone e delle aziende. Big data e algoritmi evoluti consentono di anticipare e risolvere i problemi.
Raccolgo da Alberto Federici il testimone e la sfida per far sviluppare Changes Unipol che è un luogo di dibattito, nonché l’espressione concreta della nostra aspirazione a restare leader nella performance reputazionale. Anche la mission di Changes è evolvere, stando sempre un passo avanti.

E’ Responsabile Direzione Communication and Media Relations del Gruppo Unipol e di Unipolsai. Laurea con lode in Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma. Esperto in diritto delle assicurazioni e degli intermediari assicurativi e in tecnica legislativa. Maturata esperienza nella comunicazione radio-televisiva e con la stampa quotidiana e periodica. Dal 1998 al 2015 è stato dirigente e poi Direttore Centrale ANIA – Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici. Dal 2015 al 2018 ha ricoperto il ruolo di Direttore Affari Istituzionali e Regolamentari di Unipol Gruppo. Dal 2016 al 2019 ha svolto l’incarico di Direttore Normativa Reti Distributive di UnipolSai Assicurazioni S.p.A. E’ appassionato di letteratura, arte, musica classica, cinema e teatro.