Non c’è più religione

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Non c’è più religione

L’incidenza dei cristiani sulla popolazione cala man mano che si passa dalle generazioni più mature (Baby Boomers, Gen X) a quelle più giovani (Millennials, Generazione Z). Fra i 16 e i 22 anni oltre la metà non si dichiara cristiano. L’Osservatorio GenerationShip realizzato da Gruppo Unipol in collaborazione con Kienn scatta una fotografia di un Paese sempre più secolarizzato.

Da tempo ci siano accorti che nel nostro Paese la partecipazione attiva alle pratiche religiose è in declino: i pochi fedeli presenti alle funzioni, quasi tutti anziani, occupano a stento le prime file della Chiesa. Meno noto è cosa sta accadendo nel “foro interno” degli italiani, a livello, cioè, del sentire religioso.

Secondo i dati dell’Osservatorio Generation Ship 2023, la grande maggioranza dei nostri concittadini – il 72% – si dichiara cristiana (cattolica). Il 4% aderisce ad un’altra religione: principalmente musulmani, buddhisti, induisti ed ebrei. Il 20% non si riconosce in nessuna religione: atei, agnostici o altra forma di spiritualità. Il 4% preferisce non dichiararlo. Sono dati in linea con altre ricerche: ad esempio Ipsos, nel 2017, stimava i cristiani al 74.4%, i fedeli di altre confessioni al 3.0% e i non religiosi al 22.6%.

Un’incidenza così elevata di cristiani lascia immaginare un’Italia unita da un comune credo religioso: poco assidui alla Messa e ai sacramenti – pratiche incompatibili con la vita e la cultura della società moderna – ma comunque cristiani, con alcuni punti fermi condivisi a regolare la nostra convivenza.  È davvero così?

In alcune zone del Paese e presso alcuni gruppi sociali la fede cristiana è in effetti dominante: 81% fra gli abitanti del Sud, 70-74% fra le persone di ceto medio e basso, addirittura il 90% fra le casalinghe e il 79% fra i pensionati. La quota dei cristiani scende però al 65% nel Nord Ovest, al 53% fra le famiglie di ceto superiore e addirittura al 41% fra gli imprenditori.

Al calo dei cristiani corrisponde un aumento delle persone senza credo religioso. La rottura dell’omogeneità religiosa è avvenuta principalmente come effetto della modernizzazione del Paese (sviluppo economico, benessere, scolarizzazione, urbanizzazione).

A ciò si è sommato ad un certo punto un fenomeno più circoscritto, quello dell’immigrazione, che ha fatto crescere i fedeli di altre confessioni, in particolare dove i flussi migratori sono stati più importanti (nel Nord, nelle città, nei ceti inferiori).

La religione nelle generazioni

Ma è solo analizzando il fenomeno religioso nelle generazioni, che capiamo la portata del cambiamento in atto. L’incidenza dei cristiani sulla popolazione è calata sistematicamente man mano che si è passati dalle generazioni più mature (Baby Boomers, Gen X) a quelle più giovani (Millennials, Generazione Z), fino al sotto-segmento dei Gen Zers junior, i ragazzi della Generazione Z da 16 a 22 anni, metà dei quali non si dichiarano cristiani (51%). Non solo: la flessione sta accelerando. Il calo fra Gen Zers senior (23-27 anni) e Gen Zers junior (16-22) è superiore a quella di tutti i passaggi generazionali precedenti. È un fenomeno particolarmente marcato per le ragazze.  Le donne sono state a lungo il baluardo della religione cristiana: più numerose degli uomini, più assidue ai riti, più impegnate nella comunità. Non è più così: fra i Baby Boomers e la Gen X l’appartenenza alla religione cristiana delle donne è maggiore che fra gli uomini, fra i Millennials si è giunti alla parità, nella Generazione Z le donne sono minoritarie.

È cambiata anche la composizione: mentre fino ai Millennials il calo dei cristiani veniva compensato dall’aumento di chi non ha credo religioso, fra i Gen Zers junior sono aumentati soprattutto i giovani di altre fedi, con tutta probabilità immigrati di seconda generazione. Ciò fa aumentare la diversità religiosa interna della società italiana.

Il futuro: un’Italia s-cristianizzata, secolarizzata, multiconfessionale

Se questo è la tendenza, come sarà il futuro? Un’idea ce la possiamo fare proiettando in avanti la tendenza osservata finora. Fra un paio di generazioni – cioè fra una ventina d’anni, dato che il cambiamento culturale è in accelerazione – se non intervengono fenomeni nuovi, la quota di cristiani fra i futuri giovani sarà scesa ad un quarto (25%). In seguito, con l’uscita di scena delle generazioni più mature, la quota dei cristiani sul totale della popolazione si ridurrà progressivamente fino a diventare minoranza. Verosimilmente quella cristiana sarà la maggiore delle religioni presenti nel nostro Paese ma non più quella dominante, mentre il gruppo più numeroso sarà rappresentato probabilmente dai non religiosi. Un’Italia s-cristianizzata, secolarizzata, multiconfessionale. Sarà una società migliore o peggiore? Nessuno può dirlo. Di certo diversa. E meno omogenea. Serviranno nuove narrazioni per tenerla unita.

Primo laureato in Italia in data analysis applicata alle scienze umane, ha insegnato Tecniche di ricerca psicologica e analisi dei dati presso l’Università di Torino. Ha fondato e attualmente dirige Kkienn Connecting People and Companies, azienda specializzata nella ricerca e consulenza sul cliente. Come direttore di istituti di ricerca, vicepresidente di società di consulenza internazionali (Cap Gemini) e ricercatore ha collaborato con molte delle maggiori imprese del Paese. Scrive per il Corriere della Sera. Per il Gruppo Unipol cura la realizzazione di GenerationShip, l’osservatorio sulle nuove generazioni.