Mobilità: spazio a un nuovo paradigma green

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Mobilità: spazio a un nuovo paradigma green

I dati delle scatole nere possono essere usati per l’adozione di un modello innovativo in cui sarà possibile misurare l’impronta ambientale di ogni veicolo legata a frequenza di uso e allo stile di guida, spesso più importanti della classe di emissione del motore. La proposta del Think Tank The Urban Mobility Council discussa a Bruxelles con l'AD di UnipolSai Matteo Laterza.

Un nuovo paradigma per la misurazione delle emissioni di CO2 delle auto private che non si basi più sulla classe Euro del motore ma sulla rilevazione del comportamento puntuale del singolo veicolo individuato dai dispositivi black box che, quindi, diventeranno green box. Una visione rivoluzionaria che porta la firma del The Urban Mobility Council (TUMC) – il Think Tank nato nel 2022 su iniziativa del Gruppo Unipol e coordinato da Stefano Genovese – presentata da Matteo Laterza, AD di UnipolSai, e da Sergio Savaresi, Direttore del Dipartimento Elettronica Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano.

L’occasione è stata la tavola rotonda“Sostenibilità sociale, economica e ambientale della transizione nella mobilità – le evidenze dei dati”, moderata da Stefano Genovese e organizzata in collaborazione con l’on. Giuseppe Ferrandino il 5 dicembre a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo, a cui hanno preso parte anche l’on. Maria Veronica Rossi, membro della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento europeo, l’on. Massimiliano Salini, membro della Commissione per i trasporti e il turismo del Parlamento europeo, l’on. Patrizia Toia membro della Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia del Parlamento europeo, e Dario Dubolino Policy Officer, Commissione europea, DG MOVE.

Dal confronto fra politici ed esperti di mobilità è emersa la proposta di Laterza, per il quale, come dimostrato dai dati raccolti dalle scatole nere e confluiti nella ricerca Greenbox: l’uso della telematica per un nuovo paradigma di sostenibilità presentata da Savaresi, sarebbe possibile anche pensare a «una forma di incentivo che favorisca la guida responsabile con un basso impatto ambientale in cambio di maggiori possibilità di mobilità all’interno delle aree cittadine anche se non si possiede un’auto di ultima generazione. Non credo sia una proposta incompatibile con il processo regolamentare e normativo», ha sottolineato Laterza.

Una convivenza obbligata

Il nuovo modello di mobilità sostenibile vuole essere quindi equo e soprattutto inclusivo. Una volontà che nasce in primo luogo dalla lettura dei dati della ricerca E-Private Mobility Index, realizzata in collaborazione con Polimi, che ha messo in evidenza come in Italia il 30% del parco auto potrebbe essere immediatamente sostituito da vetture full electric. Se a questo risultato si aggiunge, però, l’analisi di fattibilità economica, la percentuale di auto immediatamente elettrificabili scende molto in basso, al 12%. Concludendo, nella migliore delle ipotesi almeno il 70% dei veicoli termici nei prossimi 15-20 anni non potrà essere sostituita da mezzi poco inquinanti a causa, in primo luogo, degli elevati costi di produzione e quindi di vendita al pubblico, proprio in una fase in cui si assiste a un progressivo allargamento dei provvedimenti di limitazione al traffico a carico dei motori a combustione interna.

Si profila, così, uno scenario di convivenza forzata, tra le poche auto elettriche e la massa di vetture endotermiche per molti anni, almeno fino alla concreta realizzazione di quella mobility as a service che mandando in pensione la proprietà privata del veicolo, come ha sostenuto Savaresi, consentirà l’elettrificazione quasi totale del parco auto circolante. Nonostante ciò, esiste ancora una concreta possibilità di ridurre l’impatto ambientale del traffico privato visto che non tutte le auto Euro 4 sono da rottamare, e non tutte le Euro 6 sono virtuose. Vediamo perché.

Stile di guida più importante della classe di emissione

I risultati della ricerca si basano sulle analisi di emissione di un campione di 3.000 veicoli immatricolati su tutto il territorio nazionale nell’anno 2022. I mezzi sono suddivisi in tre classi identiche di 1.000 auto per ciascun motore: Euro 4, Euro 5 ed Euro 6. Di ogni auto, oltre che della sua classe di emissione, la ricerca tiene conto di marca e modello ma soprattutto, grazie ai dati prodotti dalla tecnologia delle scatole nere telematiche, anche del chilometraggio percorso (totale e per tipologia di strada urbana, extraurbana, autostrada), della velocità media (per tipologia di strada urbana, extraurbana, autostrada) e dello stile di guida (accelerazioni/frenate brusche per ogni tipologia di strada). Quindi per ogni veicolo, il modello stima le emissioni totali annue (in kg di CO2) derivanti non solo dalle specifiche tecniche del motore ma anche dall’effettivo comportamento del veicolo. Dal campione dei 1000 veicoli Euro 4 e dei 1000 Euro 6 (la classe a priori ”peggiore” e quella ”migliore” di questa analisi) risulta, in maniera non sorprendente, che le emissioni medie totali effettive di CO2 degli Euro 4 per anno (4.350kg) sono superiori di circa il 20% rispetto a quelle medie degli Euro 6 (3650 kg).

Se si analizzano però le emissioni effettive e non media dei mille veicoli Euro 4 ed Euro 6, ecco la sorpresa: il 26% dei veicoli Euro 4 emette meno CO2 rispetto ad altrettanti veicoli Euro 6. La differenza è ancora più marcata se si passa ad un confronto tra un veicolo ad ”alte emissioni” Euro 6 con uno a ”basse emissioni” Euro 4: un veicolo Euro 6 “ad alte emissioni” emette fino a 6 volte più CO2 di un veicolo Euro 4 a “basse emissioni”. Se si prende in considerazione esclusivamente il contesto urbano un veicolo Euro 6 ad ”alte emissioni” emette fino a 10 volte di più di un veicolo Euro 4 a ”basse emissioni”.

Da cosa dipendono questi risultati? In primo luogo, da come e quanto si usa l’automobile. Ecco perché diventa importante cambiare prospettiva, rottamare un modello basato sulla centralità della classe di motore Euro e passare al più presto a uno veicolo-centrico in cui l’individuo diventi protagonista consapevole del proprio ruolo nella emissione di CO2. Il guidatore è, infatti, determinante nella quantità di emissioni prodotte dal veicolo che dipendono in particolare dallo stile di guida, dalla velocità media, dai km percorsi.

Dalla black alla green box per un modello equo ed inclusivo

Un modello di mobilità sostenibile di questo tipo permetterebbe di non bloccare a priori nei garage i veicoli in base alla loro classe di motore ed eviterebbe quindi di rottamarli. Al contrario renderebbe possibile prolungare la vita di molte vetture endotermiche misurando l’effettiva impronta ambientale di quel mezzo. Un risultato alla portata della tecnologia di oggi: basterà installare delle scatole nere – che, nella nuova visione, assurgerebbero al ruolo di scatola verde veri e propri estimatori dell’impatto ambientale sulla base del tipo di strada che si percorre, del chilometraggio, della velocità media e dello stile di guida. Una misurazione che potrebbe facilmente essere estesa ad altre variabili come, ad esempio, gli inquinanti (per i centri urbani), o l’occupazione di suolo pubblico o la rischiosità per le persone. In questo modo nessuno sarà lasciato indietro nella transizione verso una mobilità sostenibile a patto che ciascuna auto sia dotata di una box dedicata e certificata, indissolubilmente legata al veicolo, e che ogni automobilista accetti che il suo stile di guida ed i chilometri percorsi siano misurati.

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