L’Italia dal welfare a più velocità

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L’Italia dal welfare a più velocità

Secondo una ricerca Istat ci sono forti differenze nell’accesso a cure mediche e assistenza in Italia fra le classi sociali, il Nord e il Sud. Ne ha parlato il presidente Giorgio Alleva al convegno sul welfare organizzato da Unipol in collaborazione con UniSalute.

Secondo una ricerca Istat ci sono forti differenze nell’accesso a cure mediche e assistenza in Italia fra le classi sociali, il Nord e il Sud. Ne ha parlato il presidente Giorgio Alleva al convegno sul welfare organizzato da Unipol in collaborazione con UniSalute.

Un’Italia a più velocità, sempre più diseguale sia a causa delle differenze fra le diverse classi sociali sia per quanto riguardo lo storico divario fra aree geografiche. Anche quando si tratta di welfare risulta difficile, se non impossibile, parlare di un solo Paese.

A dimostrarlo la ricerca condotta dall’Istat “Gruppi sociali e welfare state: una lettura integrata dei dati” e presentata dal presidente Giorgio Alleva nel corso del convegno “A ciascuno il suo welfare. Bisogni mutevoli, scelte individuali, risposte integrate” organizzato da Unipol in collaborazione con UniSalute.

Il documento analizza le differenze al ricorso dei servizi di welfare e assistenza fra nove gruppi sociali individuati dall’istituto: i giovani blue-collar (operai a tempo indeterminato sui 45 anni) e le famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri; le famiglie di impiegati (secondo gruppo più numeroso con 4 milioni e mezzo), di operai in pensione (il nucleo più numeroso con quasi 6 milioni) e le famiglie tradizionali della provincia; un gruppo a basso reddito di anziane sole e di giovani disoccupati; e infine le pensioni d’argento e la classe dirigente.

Il primo elemento che emerge è che il 75,6% degli italiani che appartengono alla classe dirigente si dichiara in buona salute e come questa percentuale cali man mano che si prendono in considerazione le classi sociali meno abbienti fino ad arrivare al valore più basso, il 60,5%, fra gli anziani soli e i giovani disoccupati. Il report mette in evidenza, inoltre, una minore presenza di malattie croniche fra le famiglie con stranieri e nella classe dirigente.
Le condizioni economiche, inoltre, influenzano il ricorso a cure mediche e a esami specialistici: in generale si nota che soltanto un’italiana su cinque appartenente alle famiglie e a basso reddito ha effettuato una mammografia negli ultimi due anni. Anche in questo caso la percentuale aumenta salendo la scala sociale. Inoltre la percentuale più alta di persone che negli ultimi 12 mesi hanno dichiarato di non aver potuto effettuare esami o cure mediche per problemi economici è più alta nelle famiglie a basso reddito con stranieri (21%), nelle famiglie a basso reddito di soli italiani (20,2%) e fra le anziane sole e i giovani disoccupati (17,2%).

«Anche su questo tema – sottolinea Alleva – è possibile evidenziare la tipica divisione fra Nord e Sud del Paese». Per esempio basta guardare all’offerta di servizi sociali: solo il 9% dei Comuni italiani risultano virtuosi per quanto riguarda il livello di spesa e disponibilità e quasi tutti si trovano al Centro-Nord, con qualche rara eccezione. La metà dei Comuni offre invece standard considerati medio bassi o addirittura insufficienti: i dati peggiori si registrano nel Meridione. Inoltre, si sottolinea nel rapporto, le disuguaglianze territoriali sono aumentate.

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Su questo scenario, infine, si inserisce una tipica fragilità del nostro Paese – ma a ben guardare di tutte le economie avanzate – ovvero l’invecchiamento della popolazione. Basta guardare all’indice di vecchiaia, ovvero al rapporto fra gli over 65 e la popolazione con età compresa fra 0 e 14 anni, moltiplicato per 100.  Nel 2017 è arrivato a 165,3: in pratica in Italia ci sono molti più anziani che giovani e il trend di sbilanciamento è in continua crescita. Si pensi che a questo ritmo nel 2065 si toccherà il valore di 257,9. Gli effetti? Presto detto. Le pensioni e i servizi assistenziali sono pagati dalla popolazione in attività: se questa è di molto inferiore a quella che fruisce dei servizi il sistema rischia di non essere sostenibile. Lo si evince dall’indice di dipendenza strutturale che rappresenta il numero di individui non autonomi ogni 100 individui potenzialmente attivi. Più alto è l’indice più elevato è il numero di individui giovanissimi e anziani di cui la popolazione attiva dovrà occuparsi. In Italia registriamo l’indice più alto d’Europa (55,8). Nel 2065 sarà quasi il doppio, 82,8.

Giornalista, vivo di e per la scrittura da 20 anni. Cresco nelle fumose redazioni di cronaca che abbandono per il digitale dove perseguo, però, lo stesso obiettivo: trasformare idee in contenuti.​