Stipendi bassi e scarse opportunità di carriera hanno fatto emigrare un milione di italiani negli ultimi 10 anni. Il 59% dei giovani è pronto a partire per una buona opportunità. I risultati della ricerca Unipol Changes realizzata da Kkienn su un campione di Millennials e Generazione Z.
Negli ultimi 10 anni un milione di italiani si è trasferito all’estero, a fronte di 400 mila rientri, con un saldo migratorio negativo di 600 mila persone. Non succedeva da decenni: l’Italia è ritornata terra di emigrazione. Sarebbe però sbagliato leggere l’oggi con le lenti del passato: l’emigrazione attuale non è quella dei nostri nonni e nemmeno quella dei nostri padri.
Pochi fatti per cogliere le differenze:
La metà degli emigrati sono giovani dai 18 ai 35 anni
Un quarto è laureato
Provengono da tutte le regioni del Paese, Lombardia in testa
Non appartengono solo alle fasce più svantaggiate ma a tutti i gruppi sociali
Come interpretare allora quello che ci raccontano le statistiche? Cosa sta succedendo e perché? La survey ci aiuta a fare chiarezza
Italiani, un esercito di potenziali migranti
Un primo aspetto da considerare è che trasferirsi all’estero è una possibilità alla portata dalla maggioranza dei giovani italiani: il 59% dichiara che, se avesse una buona opportunità, non esiterebbe a cambiare Paese.
Non è un’intenzione solo giovanile: la quota di adulti attratti dall’estero è solo leggermente inferiore (55%). E non è solo di chi vive in condizioni economiche difficili: la possibilità di trasferirsi è rivendicata al Nord (57%) come nel Centro-Sud del Paese (55%), fra i poveri (65%) come fra i ricchi (67%).
Non solo: condividiamo questa possibilità anche con gli altri europei. Secondo una ricerca realizzata da Kkienn nel 2020 presso gli abitanti di alcune metropoli europee, la propensione a trasferirsi all’estero in caso di opportunità interessanti era di poco inferiore alla nostra.
Insomma, gli italiani di oggi, non diversamente dagli altri europei, se ancora non si sentono un unico popolo, grazie all’inglese imparato a scuola, ad Erasmus, ai voli low-cost, a internet, hanno certamente allargato il proprio orizzonte di vita, fino a considerare l’intera Europa come una “second option”, un posto migliore dove emigrare quando le cose a casa propria non vanno bene.
Nel Nord Europa il lavoro e il reddito sono soddisfacenti e i giovani restano volentieri a casa. In Italia le cose non vanno affatto bene, soprattutto per i giovani, e si parte.
Si parte anzitutto per guadagnare di più e avere più opportunità
I giovani italiani partono perché il mercato del lavoro da noi è povero: i salari e gli stipendi sono bassi (68%), ci sono poche opportunità (52%), i contratti di lavoro sono a termine, a tempo parziale, ecc. (46%).
All’opposto in Europa ci sono opportunità lavorative e buoni stipendi (80%), i giovani sono più considerati e apprezzati (79%) e il mercato, anche se forse meno florido che in passato, garantisce ovunque buone opportunità (68%). In questo scenario è facile prevedere che i flussi migratori dei giovani italiani verso l’Europa proseguiranno perlomeno fino a che il paese non tornerà a crescere ai ritmi degli altri Paesi.
Si emigra in Europa o, al massimo, nel mondo anglosassone
Se è cambiato il profilo di chi emigra oggi rispetto a cinquant’anni fa, non sono cambiate le destinazioni desiderate. I giovani italiani privilegiano anzitutto l’Europa comunitaria, e, in particolare, i Paesi del Centro Europa (25%), in particolare la Svizzera (13%) e la Germania (8%), ricchi e con alti salari. Segue il Sud Europa (15%), in particolare la Spagna (12%), attrattiva per la vicinanza culturale (12%). In coda i paesi del Nord Europa (13%), forse penalizzati dall’ostilità loro attribuita verso il nostro Paese (rigorismo economico, PIGS, ecc.).
In alternativa all’Europa, vengono presi in considerazione essenzialmente solo i paesi di cultura anglosassone (soprattutto, Stati Uniti e Regno Unito, quindi Canada, Australia ecc.), a riprova che la polarizzazione fra Occidente e resto del mondo è fondato nella cultura dei suoi cittadini prima ancora che nella politica degli Stati.
L’attrattiva del mondo anglosassone sui giovani italiani è però molto inferiore alla sua forza economica. D’altro canto il modello liberista statunitense, duro e competitivo, è molto lontano dagli ideali di sicurezza e protezione dei giovani italiani.
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