Il dark social è rilevante

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Il dark social è rilevante

Chi non è sui social esiste davvero? I contenuti che non vediamo sul web assolvono davvero la loro funzione? C’è un sottobosco di comunicazioni via mail e messaggi privati tramite qualsiasi strumento tecnologico che producono una massa di dati e contenuti difficili da tracciare che non si possono più ignorare.

La nostra vita digitale è così intensamente pubblica da portarci facilmente a crederlo. E facciamo un grande errore di calcolo, perché oggi non tutti i contenuti, le informazioni ed i dati vengono scambiati alla luce del sole.
Ci sono infatti le comunicazioni condivise sul dark social – ovvero via mail e messaggi privati tramite qualsiasi strumento tecnologico – che sono un’infinità e producono dati e contenuti. Sono una massa difficile da tracciare, ma troppo grande per essere ignorata. Sono un fiume carsico, ma anche una potenziale fonte di indicazioni utili: ci dicono come comunichiamo tra noi oggi, rievocando qualcosa che facevamo ieri, e forse abbiamo fatto sempre.

Come viaggiano le informazioni private

Non sono una novità, bisogna ammetterlo. Di dark social – o dark traffic – si parla da più di dieci anni. Almeno da quando il tema è stato squadernato per bene da The Athlantic nel 2012. È un sottobosco privato, da non intendersi come nascosto per cattive intenzioni. Possiamo semplicemente chiamare così tutta quella gigantesca quantità di informazioni – molto più delle comunicazione “affisse” sui muri dei social – lontana dai riflettori delle timeline.
Pur essendo stato recentemente quantificato nel 95% del traffico web, il dark social riguarda le informazioni intime, quelle scambiate tra persone e sottratte al dominio ed alla visibilità pubblica cui solitamente sono sottoposte le comunicazioni web. Sono quindi di difficile tracciamento. Sfuggono a radar di giornali e siti web, tanto che il cruccio maggiore per chi si occupa di web commerciale è “se non puoi misurarlo non puoi venderlo” o trasformarlo in merce di scambio sotto forma di dati.

  • NIENTE HASHTAG
    Se siamo in privato e senza misurazioni semantiche delle parole scambiate, significa niente SEO, niente TAG, niente hashtag, niente metriche. E quindi niente pubblicità e niente monetizzazione dei contenuti. Non che siano in atto sforzi tecnologici con l’obiettivo di portare sotto il reticolato della misurazione anche questo parco protetto di contenuti privati, anzi. Però, fino ad ora comanda la volontà di passarsi comunicazioni lasciando fuori chi non è su una linea diretta.
  • DOVE COMANDA LA CHAT
    Dal punto di vista degli strumenti e dei canali, il racconto è semplice. Le comunicazioni dark social sono scambiate via mail, sms, WhatsApp, varie App mobile di messaggistica, ma anche via videogiochi o canali non esplicitamente pensati per parlarsi.
    È un terreno in cui comandano le chat. Ognuno di noi ne ha almeno una per il lavoro, una per la scuola dei figli, una tra parenti, una per gli hobby vari. E ne usa di private anche per occasioni speciali come gli eventi, un matrimonio o una gita in compagnia.
  • FORMATO PASSAPAROLA
    Il dark web è quindi gemmato da tutti quei piccoli strumenti per comunicare con tre ingredienti fondamentali: la privacy, la velocità e la semplicità di utilizzo. E a guardarli così non sembrano altro che il vecchio formato del passaparola, antropologicamente detto.
    Sono qui ed ora a sostituire piccole frasi e bisbigli, toccate di gomito e lunghe chiacchierate. Ci sono MEME, lunghi Pdf, Ppt professionali o immagini familiari, video di cronaca oppure privati, e link, tanti link, che rimandano a contenuti prodotti da professionisti.

Il regno del copia e incolla che non esiste


Il dark web è fatto di tanti contenuti prodotti da altri e spesso già pubblici – di nuovo il passaparola…– con una generale ed affermata intenzione informativa. C’è uno scambio di sapere, dicevamo, veloce, privato e semplice da trasferire. Ma è anche composto da una elaborazione di contenuti altrui, o da una produzione di contenuti propri ed originali che vengono altrettanto trasferiti ad altre persone. È quindi il regno del CTRL + C e CTRL + V, il copia e incolla. E genera un flusso informativo largamente superiore a quello che avviene in pubblico. Ed è virale così come quello cliccato e condiviso, commentato e diffuso sui canali pubblici. Anzi, è proprio sul dark social che il virale esprime tutta la sua frenesia.

Torniamo però alla domanda iniziale: chi non è sui social esiste davvero? Ed aggiungiamo anche: i contenuti che non sono sui social, e non sono pubblici, esistono davvero? Assolvono veramente la loro funzione? Quella commerciale certamente no. Per ora. Ma quella di diffondere strutture semplici o complesse, formali o informali di sapere sì. Anche se, ricordando le frasi di The contenti is the king di Bill Gates, ci si aspettava che il sapere prodotto fosse messo sotto gli occhi di tutti. Cosa che non sta accadendo.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).