La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Si chiama corporate entrepreneurship e non è altro che la capacità di stimolare le opportunità nate e promosse da un’impresa già attiva. L’obiettivo è una rigenerazione organizzativa.
In ogni dipendente c’è un imprenditore: basta, questa è la condizione necessaria, stimolarlo. Dobbiamo e possiamo farlo oggi, in un momento di ripartenza dopo la brusca frenata all’economia imposta dalla pandemia. Cerchiamo di riflettere sulla cosiddetta corporate entrepreneurship ossia la capacità di stimolare e sfruttare le opportunità nate e promosse in un’impresa già attiva sul mercato e, dunque, consolidata. Facciamolo puntando sulle tematiche relative alla rigenerazione organizzativa.
Di cosa parliamo:
I due approcci all’imprenditorialità aziendale con la regola dell’80-20 di Google
Quando si parla di imprenditorialità aziendale finalizzata al cambiamento ci si riferisce alla strategia “duale”. Da una parte si sfruttano le condizioni esistenti e, dall’altra, si va alla ricerca di nuove opportunità di business: alla fase dell’“exploitation” o “sfruttamento” delle risorse e delle capacità già presenti, si accompagna quella dell’“esplorazione” di ulteriori modalità di fare impresa attraverso l’uso della creatività, dell’adattamento e l’assunzione di rischi. Con “ambidestrismo strutturale” si indicano le attività di esplorazione e sfruttamento assegnate a unità organizzative differenti, mentre con “ambidestrismo contestuale” ci si riferisce all’esplorazione e sfruttamento fatti all’interno delle stesse unità organizzative e dalle stesse persone. In questo secondo caso l’integrazione dell’esplorazione e dello sfruttamento può avvenire tramite l’adozione di un metodo di lavoro come la celebre regola di Google dell’80-20, in cui l’80% del tempo dei dipendenti è dedicato ad attività esistenti e il restante 20% all’esplorazione di nuove attività.
In questo processo risulta necessaria l’adozione di una revisione della struttura aziendale. Parliamo della “rigenerazione organizzativa”, innescata dall’adozione di nuovi prodotti o dall’ingresso in nuovi mercati come accaduto in 3M, Motorola e Mitsubishi. Parliamo, altresì, di “ringiovanimento organizzativo” come avvenne in Procter & Gamble con l’introduzione di nuovi processi come l’adozione della tecnologia di codifica a barre per i sistemi di gestione dell’inventario e di distribuzione. Oppure, ancora, parliamo di “rinnovamento strategico” con la revisione del rapporto con il mercato in cui competere e, infine, di “ridefinizione del dominio” con l’ingresso in una nuova arena o “oceano blu” come fu per Sony con lo sviluppo del walkman.
C’è da chiedersi come sia possibile stimolare l’imprenditorialità all’interno dell’organizzazione aziendale. Ci aiutano, a questo proposito, i seguenti fattori organizzativi individuati da Jeff Hornsby: il supporto del top management alla promozione delle idee innovative, la discrezionalità e l’autonomia del lavoro dei collaboratori, l’utilizzo di sistemi premianti, la disponibilità di tempo per realizzare l’innovazione e, infine, l’individuazione di confini organizzativi per valutare, selezionare e utilizzare le innovazioni.
Non ci resta, a questo punto, che vedere sinteticamente tre modelli di promozione della cultura dell’imprenditorialità. Partiamo con quello elaborato da Julian Birkinshaw e Cristina Gibson, focalizzato sulla promozione della cultura “ambidestra”: serve agire sulla leva del sostegno sociale, creando in azienda un clima di sicurezza, capace di mettere a proprio agio tutte le persone. E serve, inoltre, adottare un sistema di performance management, stimolando le persone a raggiungere obiettivi mirati ed essere responsabili di ciò che fanno.
Proseguiamo con il modello di Robert Wolcott e Michael Lippitz: per avviare e gestire una nuova attività distinta da quella della nostra società occorre individuare le responsabilità organizzative, sviluppare nuovi business finanziati attraverso budget specifici e, non meno importante, chiarire la missione strategica, neutralizzare i bastian contrari e partire con possibili progetti di “vittoria veloce”.
Finiamo con le regole del lavoro collaborativo individuate da Michael Docherty nel suo How corporations & startups can co-create transformative new businesses: stimolare un ambiente di lavoro flessibile distante dalla logica del “comando e controllo”, abbattere i muri all’interno dell’azienda e, infine, non cadere nella trappola della “visione tunnel”.
Sono solo appunti di viaggio nell’imprenditorialità aziendale: non resta che praticarli nella convinzione che in ogni dipendente c’è un imprenditore. Basta stimolarlo.