Lo sviluppo del software con la GenAi
Alcune considerazioni sull’impatto della GenAI negli ambienti di sviluppo collaborativo: dall’Hackathon alla pratica quotidiana degli sviluppatori software. Hackathon
RICERCA E CAMBIAMENTO A CUBO UNIPOL – Le macchine molecolari possono diventare muscoli artificiali per autonomi sempre più simili agli esseri umani.
RICERCA E CAMBIAMENTO A CUBO UNIPOL – Le macchine molecolari possono diventare muscoli artificiali per autonomi sempre più simili agli esseri umani, verso una robotica animata.
Imitare le cellule del corpo umano, per ottenere una robotica animata. E riprodurre – in laboratorio – quei nanodispositivi che ci tengono in vita, ma se replicati, potrebbero regalarla anche alle macchine inanimate. A giudicare dalle premesse, le macchine molecolari potrebbero sembrare il sogno nel cassetto di appassionati di fantascienza e serie distopiche. Eppure, il futuro dell’umanità potrebbe dipendere anche dalla riproduzione di queste nanoparticelle. Veri e propri motorini cellulari, e naturali, che consentono al corpo umano di muoversi, stimolando le fibre muscolari ad attivarsi, per generare moto e attività. «Se riprodotti in laboratorio, con semplici sostanze che si trovano in drogheria, questi motorini organici potrebbero diventare muscoli artificiali per la robotica», spiega a Changes Alberto Credi, docente di Chimica all’Università di Bologna e direttore del CLAN, laboratorio per la ricerca chimica supramolecolare e le nanoscienze.
«La macchina molecolare è un organismo 100 mila volte più piccolo di un capello, che però assicura le funzioni vitali più importanti. Dentro il muscolo di una gamba ci sono fibre di dimensioni millimetriche. Ma se ingrandiamo, e arriviamo alle molecole, ne vediamo un paio che si tirano l’una con l’altra, innescando il moto necessario per generare movimento. Un muscolo non è altro che miliardi di macchine molecolari che lavorano assieme», ragiona Credi, uno dei ricercatori del panel dell’evento “Aspettando la Notte Europea dei Ricercatori 2018”, ospitato a Bologna presso il museo d’impresa CUBO del Gruppo Unipol il 25 settembre 2018. Dall’imitazione dei microrganismi che garantiscono funzioni vitali nel corpo umano, così, potrebbero discendere benefici concreti per la robotica, sottolinea il docente nel corso del suo intervento dal titolo “Macchine molecolari: realtà o fantascienza?”.
«Un ambito di ricerca promettente riguarda la ricostruzione di veri e propri muscoli artificiali. Riproducendo una macchina molecolare organica, ma composta da polimeri plastici in grado di muoversi e allungarsi, potremmo pensare di muovere un dispositivo a comando nel campo della robotica». Ad ogni modo imitare il corpo umano per umanizzare i robot e le macchine, potrebbe schiudere nuove opportunità di ricerca per l’uomo stesso, nell’ambito del settore biomedico. «Nell’organismo umano le macchine molecolari trasportano anche sostanze da un punto all’altro di una stessa cellula. Se costruissi una macchina molecolare artificiale, potrei pensare di curare una cellula che sta male, ad esempio, adoperando l’organismo sintetico per veicolare un farmaco», ragiona Alberto Credi.
Le potenzialità delle macchine molecolari si sono imposte al grande pubblico non più tardi dell’ottobre di due anni fa, quando il Premio Nobel per la Chimica fu assegnato al trio Sauvage, Stoddart e Feringa per la loro progettazione e produzione di macchine molecolari. I tre ricercatori svilupparono appunto molecole con movimenti controllabili, in grado di svolgere un compito quando a queste si fosse aggiunta energia, la robotica animata. «L’obiettivo resta quello di esercitare un movimento in maniera controllata, all’interno di un microrganismo di dimensioni ridottissime, perciò senza usare un motore elettrico. Si stanno già realizzando attuatori meccanici per la robotica – composti da centimetri di plastica – in Francia e in Olanda. Anche a Bologna abbiamo un progetto europeo in corso. Puntiamo a ripetere sulle macchine, i principi che ispirano i movimenti del corpo umano. Costruendo motorini molecolari, in miniatura, ancor più efficienti di quelli macroscopici, che vediamo sulle nostre strade».