A processo con gli algoritmi

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A processo con gli algoritmi

L’Intelligenza artificiale è entrata nelle aule di tribunale e si parla sempre più di giustizia predittiva. Come funziona? E riusciranno le macchine a sostituire l’uomo

Ci sono nuovi protagonisti che si aggirano per le aule dei tribunali e sono gli algoritmi della giustizia predittiva. L’intelligenza artificiale applicata al mondo della giustizia si sta progressivamente affermando come uno dei nuovi attori della giurisprudenza, tra la curiosità di molti e lo scetticismo di alcuni. A questo proposito, la tentazione di ricordare il software Precrimine del film Minority Report è forte, ma la giustizia predittiva, fuori dagli scenari distopici, è quell’insieme di strumenti che si basano su un’enorme mole di dati che una volta studiati e analizzati concorrono a definire l’esito di una controversia giudiziaria.

No, non c’entra niente il giudice-robot, che pure tanta fantasia stuzzica, perché l’intelligenza artificiale è già tra noi. «Il concetto di giustizia predittiva non è nuovo, ma affiora le sue origini già negli anni ’50 con la giurimetria, l’idea che il diritto è un sistema misurabile, basato su regole e principi fissi e quindi prevedibili», ci ha spiegato Donato Limone, professore ordinario di Informatica Giuridica. «Le decisioni giuridiche sono guidate da una logica che va studiata, compresa e una volta conosciuta può essere utilizzata anche per prevedere i suoi risultati. Ed è qui che entra in gioco l’intelligenza artificiale con i suoi algoritmi che, attraverso lo studio dei dati giuridici, restituiscono output statistici, risultati, previsioni».

Ovviamente in campo giuridico il dibattito è aperto, perché non tutto è misurabile, calcolabile e prevedibile. Troppi sono, infatti, i fattori di contesto, situazionali o attinenti anche alla personalità del magistrato che compromettono la linearità di una decisione. «Per questo motivo – osserva il professore Limone – il dibattito sulla sostituibilità del giudice da parte della macchina è inutile. Nessuno vuole robot al posto del giudice, ma gli algoritmi possono rappresentare un grande aiuto per rendere più efficiente la macchina giudiziaria. Pensiamo a quanto i processi potrebbero ridurre la loro durata grazie al supporto (non alla sostituzione) degli algoritmi di AI».

La giustizia predittiva negli Usa e in Europa

La giustizia predittiva può trovare applicazione anche nello studio della cosiddetta recidiva, ovvero il rischio di ripetizione di un reato da parte di un condannato. Negli Usa gli algoritmi di AI sono molto usati nei tribunali e le polemiche non mancano. Fece molto discutere, per esempio, il caso di Eric Loomis, un cittadino del Wisconsin, arrestato nel 2013 per non essersi fermato a un posto di blocco della polizia. La sentenza sul suo caso non si è basata solo sulla circostanza del reato, ma anche su un punteggio assegnato all’imputato da un software di nome COMPAS, che ha calcolato la probabilità di recidività del reato. Il caso sollevò un immediato polverone in un paese in cui i software di AI sono sempre più usati anche per definire il livello di sorveglianza degli imputati, stabilire una cauzione per la liberazione o decretare i regimi di libertà vigilata.

Anche in Europa i software di AI per la giustizia predittiva stanno riscuotendo sempre più diffusione. In Francia già dal 2017 è online la piattaforma Predictice.com che ha come obiettivo quello di prevedere il risultato di un processo. Di notevole interesse anche il software “Datajust”, che si basa su un algoritmo che analizza i dati relativi a decisioni maturate in seguito a denunce di lesioni personali. L’obiettivo di Datajust è quello di supportare i cittadini nella scelta di avviare o meno un contenzioso in seguito a un danno subìto.

Un progetto italiano

In Italia sono diversi i progetti lanciati soprattutto in campo accademico. La Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, per esempio, ha presentato nel 2021 la sua piattaforma di giustizia predittiva, basata sullo studio del materiale giurisprudenziale che viene analizzato attraverso le tecniche dell’analisi dei big data e del machine learning. Non un semplice algoritmo, ma come ci ha detto il coordinatore del progetto professore Giovanni Comandè, «una piattaforma che va al di là della giustizia predittiva nel rispetto dei diritti fondamentali e dei principi della giustizia».

«La giustizia predittiva ad oggi è fondamentalmente statistica, ma noi stiamo cercando di arricchire semanticamente le decisioni e i fatti della giurisprudenza attraverso l’estrazione degli argomenti e la spiegazione del ragionamento giuridico. Come? Abbiamo individuato un insieme di tipologie di frasi che si applicano alle decisioni giudiziali e partendo dalla loro codifica alleniamo l’algoritmo con un approccio interdisciplinare».

Quando si parla di giustizia predittiva, tuttavia, sorge immediatamente la problematica relativa ai bias, ai pregiudizi insiti già nel momento della raccolta dei dati, che potrebbero distorcere l’analisi e i risultati del processo predittivo. Lo stesso software americano COMPAS è stato da più parti accusato di agire sulla base di bias razziali, avendo sovrastimato il rischio di recidiva per i cittadini delle minoranze etniche. Per questo secondo il professore Limone è importante domandarsi, «chi costruisce gli algoritmi? Chi controlla le macchine? Con quali regole? Chi li modifica?».

Il professore Giovanni Comandé osserva, inoltre, che «le problematiche non sono solo nei bias che l’algoritmo apprende dalla società, ma anche nell’automation bias (la propensione per gli esseri umani a favorire suggerimenti provenienti da sistemi decisionali automatizzati), o nel translational bias (applicazione di IA sviluppate in certi contesti ad altri contesti). La soluzione, perciò, è mantenere le chiavi del processo decisionale nelle mani dell’uomo». Un’osservazione che ha trovato vasta sensibilità anche presso le Istituzioni europee che già nel 2018 hanno pubblicato la Carta Etica sull’utilizzo dell’Intelligenza artificiale nella giustizia dove si espongono cinque principi indispensabili: il principio dei diritti fondamentali, il principio della non discriminazione, il principio di qualità e sicurezza del processo predittivo, il principio di trasparenza, imparzialità ed equità e il principio del controllo e della formazione da parte dell’utilizzatore degli strumenti di AI. Anche per l’Europa, insomma, l’era dei giudici-robot è ancora lontana.

Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.