Aziende: dalla mission al purpose

Society 3.0


Aziende: dalla mission al purpose

Non più solo profitto. Avere un impatto positivo sulla società circostante, migliorando il benessere sociale e ambientale di clienti e investitori è l’obiettivo dell’economia intangibile.

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Non più solo profitto. Avere un impatto positivo sulla società circostante, migliorando il benessere sociale e ambientale di clienti e investitori è l’obiettivo dell’economia intangibile.

​​Ce lo chiedono i ragazzi in lotta per il clima nei FridaysForFuture, ce lo dicono i fondi d’investimento che spostano i propri soldi sui titoli eticamente accettabili, ce lo spiegano perfino gli economisti, che fino a ieri sembravano così affezionati al concetto di crescita del Pil ad ogni costo, da non vedere i danni sociali e ambientali impliciti in questo modello di produzione e consumo. «La sfida vera per le politiche economiche dei governi non è rimettere in moto la crescita ad ogni costo, ma traghettarci in uno spazio ecologicamente sicuro e socialmente giusto», proclama Kate Raworth, l’economista ribelle dell’Università di Oxford, ormai diventata una star.

«Le politiche negazioniste sui cambiamenti climatici rischiano di rallentare il motore dell’economia, sacrificando settori strategici come le fonti rinnovabili, la mobilità pulita e le imprese impegnate nella difesa ambientale», ammonisce Jeffrey Sachs, l’economista direttore del Center for Sustainable Development della Columbia University. «La prosperità è più importante della crescita: se stiamo meglio con meno auto in giro, perché condividiamo quelle che ci sono già e non ne compriamo altre, questo farà soffrire il Pil, ma salverà molte vite umane oggi condannate dall’inquinamento e farà certamente bene alla vita nelle città, che sono ormai talmente intasate da rischiare la paralisi», sostiene Tim Jackson, economista all’Università del Surrey. Bob Kennedy, del resto, l’aveva già detto nel 1968: «Il Pil misura tutto, tranne quello che rende la vita veramente degna di essere vissuta», fu il suo ultimo messaggio importante, consegnato nel suo discorso agli studenti dell’University of Kansas tre mesi prima di cadere assassinato.

Ora lo scoprono anche le imprese: avere un impatto positivo sulla società circostante, migliorando il benessere sociale e ambientale di clienti e investitori, può dare più soddisfazione di montagne di utili. È il concetto di capitalismo consapevole, o di bilancio tripartito (sociale, ambientale e finanziario), coniato da John Elkington negli anni Novanta, che si va diffondendo. Ormai sono oltre 1.600 a livello mondiale le Benefit Corporation (erano appena 125 nel 2008), che aspirano a rivoluzionare il capitalismo, e tra loro ci sono marchi noti come Kickstarter e Patagonia. Il modello è tradizionale, hanno un fatturato, fanno utili e si quotano in Borsa. Ma il business è generato mantenendo alti standard ambientali e sociali. L’ottica, però, non è quella della corporate social responsibility: l’intero core business della società dev’essere permeato da questi standard. La filosofia del movimento è contenuta nell’impegno, che riecheggia una famosa frase di Gandhi, sottoscritto al momento della certificazione: «Dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, tutte le aziende dovrebbero essere gestite in modo da creare benessere alle persone e al pianeta; attraverso prodotti, pratiche e profitti, le aziende dovrebbero ambire a dare beneficio a tutti». Per alcuni economisti, come il premio Nobel Robert Shiller, questa è la strada migliore anche per il business, oltre che per il pianeta, dal momento che le Benefit Corporation mettono a segno già oggi migliori performance rispetto alle aziende tradizionali.

Molto spesso, il capitalismo consapevole viene identificato come un elemento potenzialmente distintivo, che aiuta le aziende a distinguersi in un mercato affollato. E c’è una solida evidenza che un numero crescente di consumatori preferisce comprare prodotti da imprese socialmente responsabili. Un sondaggio condotto nel 2016 da Nielsen ha rilevato che il 66% dei consumatori è disposto a pagare di più per i prodotti di un’azienda che sostiene attivamente cause sociali o ambientali, rappresentando un salto del 16% rispetto al 2013. Soprattutto le generazioni più giovani mettono l’integrità etica al di sopra del prezzo e della convenienza. La ricerca dimostra che fra i Millennials tre su quattro sono disposti a pagare di più per prodotti etici e sostenibili. E secondo il Millennial Survey del 2018 di Deloitte, l’80% ritiene che il successo aziendale non debba essere misurato solo in termini di performance finanziaria, ma anche in relazione all’impatto positivo sulla società e sull’ambiente. I Millennials non considerano le loro abitudini di acquisto e gli investimenti come decisioni passive, ma li vedono come un’espressione attiva degli ideali e dell’etica che apprezzano di più.

Ampliare la strategia di un’azienda per concentrarsi sulle persone e sul pianeta ha una serie di effetti positivi che sfociano anche nell’attrazione di una forza lavoro di qualità. I dipendenti socialmente consapevoli s’impegnano più facilmente nella missione dell’impresa se vedono che la strategia aziendale va al di là del profitto e possono diventare dei sostenitori chiave del marchio. La tendenza, in questi casi, è condividere con la famiglia, gli amici e persino gli estranei tutto quello che l’azienda sta facendo per rendere il mondo migliore. La focalizzazione su un capitalismo consapevole può aumentare la soddisfazione della forza lavoro, riducendo automaticamente il turnover. Da uno studio su oltre due milioni di utenti condotto da Benevity, società leader nell’organizzazione di attività di volontariato, emerge che il turnover è stato ridotto del 57% per il gruppo di dipendenti più legato alle iniziative aziendali di volontariato. Il programma aziendale di volontariato di Microsoft, cui partecipa il 75% dei dipendenti con 700.000 ore dedicate nel 2017, è così popolare che è diventato perfino un motivo di attrazione per le nuove candidature. Gallup ha trovato correlazioni positive anche tra l’impegno sociale dei dipendenti e la loro creatività innovativa.

In un sondaggio su circa 1.000 lavoratori, il 61% dei dipendenti impegnati socialmente ha dichiarato di apprezzare la creatività sul lavoro, un atteggiamento condiviso soltanto dal 9% dei dipendenti disimpegnati. Inoltre, il 74% dei dipendenti impegnati socialmente ha sottoposto delle idee innovative all’attenzione dell’azienda, trasformando l’impegno sociale in una componente importante della crescita aziendale.

Considerando che entro il 2025 i Millennials costituiranno il 75% della forza lavoro globale, questo spostamento verso l’impegno sociale rappresenta un potente barometro del futuro delle imprese. Per la prima volta nella storia, la crescente domanda di prodotti trasparenti e di un sistema produttivo impegnato a favore delle persone e dell’ambiente ha il potenziale di plasmare il mondo per molti anni a venire.​

​Giornalista, scrive di temi economici, d'innovazione tecnologica, energia e ambiente per diverse testate, fra cui il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore e il Quotidiano Nazionale. Invidia i colleghi che riescono a star dietro a Twitter.