Banche centrali contro la crisi climatica

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Banche centrali contro la crisi climatica

Non solo tassi. Cos'hanno fatto e cosa potrebbero fare i governatori del denaro per contrastare la crisi climatica?

Con gli eventi meteorologici estremi che continuano ad aumentare in frequenza e intensità, dalle inondazioni devastanti in Kenya e in Brasile alle mortifere ondate di calore in India e Pakistan, per citarne solo alcuni degli ultimissimi mesi, il dibattito sul ruolo delle banche centrali per il clima si è intensificato. Del resto, è normale. Perché se parliamo di mettere la finanza al servizio della lotta contro la crisi climatica, parliamo di soldi. E se parliamo di soldi, non si può non parlare di banche e in particolare di banche centrali. Dove i soldi – la moneta, se si vuole usare un termine più tecnico – vengono creati.

Per farsi un’idea dei termini e del tono del dibattito, basta guardare il titolo di un rapporto di pochi anni fa curato dall’autorevole ong Oil Change International in collaborazione con più una ventina di altre importanti organizzazioni internazionali, fra cui Public Citizen, Rainforest Action Network e Laudato Si’ Movement: “Strumenti inutilizzati: come le banche centrali stanno alimentando la crisi climatica”. Il rapporto accusava le banche centrali, a parte qualche raro caso, non solo di aver in sostanza limitato la propria azione a misure per aumentare la trasparenza sul mercato. Ma anche di aver addirittura rafforzato il finanziamento dei combustibili fossili. E di non aver usato, inoltre, i principali strumenti a loro disposizione (dalla politica monetaria all’azione regolamentare, alla possibilità di escludere le attività fossili dai propri portafogli) per ridurre appunto i finanziamenti verso le fossili. Valutando l’azione delle banche centrali in base a una griglia di criteri, il rapporto concludeva che nessuna delle dodici banche centrali analizzate – fra cui la Fed statunitense, la Banca d’Inghilterra, la Banca Centrale europea (Bce), la Banca d’Italia – ne usciva bene. Anzi, ne uscivano tutte piuttosto male, con molte giudicate insufficienti o gravemente insufficienti per la maggior parte dei criteri.

A sviscerare in profondità tutti i temi legati a come si potrebbe rendere più green l’operato delle banche centrali è il sito Green Central Banking (sostenuto da The Sunrise Project). Negli ultimi anni è diventato uno dei luoghi privilegiati di discussione sulla materia, ospitando voci di primissimo piano a livello internazionale come quella dell’economista ed ex-ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis. Il sito presenta in particolare la Green Central Banking Scorecard, realizzata in collaborazione con Positive Money (organizzazione che opera per la riforma del sistema monetario e bancario internazionale a servizio delle persone e del pianeta): è una graduatoria delle banche centrali dei Paesi del G20 sulla base delle loro politiche e iniziative green. L’ultima versione disponibile (novembre 2022) dice che nessuna eccelle, come si vede dai punteggi piuttosto lontani dai massimi ottenibili, ma le differenze sono importanti. Colpisce, in particolare, la posizione di retroguardia (16a) della Fed, che ha dietro solo Turchia, Sudafrica, Argentina e Arabia Saudita. In testa ci sono Francia, Italia e Germania.

In questa graduatoria fa una discreta figura la Bce (4a), che è quella naturalmente di maggior interesse per i Paesi dell’Eurozona come il nostro. Tuttavia, per l’istituzione con sede a Francoforte, come evidenzia la sua scheda, esistono grandi spazi di miglioramento sul clima. In una lettera aperta inviata alla Bce a maggio di quest’anno da una coalizione di organizzazioni della società civile, si chiede ad esempio il rafforzamento degli impegni sul clima attraverso una serie di misure e iniziative, fra le quali la riduzione dei costi di finanziamento per gli investimenti green anche in fasi di politica monetaria restrittiva o l’integrazione dei rischi climatici nelle valutazioni sul rischio di credito. Altre recente analisi riguardanti la Bce, come quella di Reclaim Finance, puntano invece il dito sulla presenza ancora troppo elevata, nei titoli che essa accetta in garanzia (“collateral”) per prestare denaro alle altre banche, di società che continuano a espandere il business fossile. Pare in ogni caso abissale la distanza, a favore della Bce, con la Fed, non solo in graduatoria ma a livello di approccio complessivo. Basti mettere a confronto il fatto che da una parte la Fed, attraverso i suoi massimi rappresentanti, ha chiarito di recente (ma lo aveva già fatto l’anno scorso) di considerare limitato, nell’ambito del proprio mandato, il ruolo che essa può avere riguardo ai rischi finanziari legati al clima. Dall’altra la Bce potrebbe presto e per la prima volta imporre sanzioni alle banche che non stanno valutando correttamente, come la Bce ha invece loro richiesto, la propria esposizione ai rischi climatici. Un oceano di distanza è davvero il caso di dire.

Secondo Federica Agostini, ricercatrice presso la Florence School of Banking and Finance all’Istituto Universitario Europeo, con esperienze in Banca d’Italia e Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, è comunque importante che nel complesso le principali banche centrali mondiali si siano messe in movimento sul clima: «Dieci anni fa – dice – non si parlava di integrazione di rischi climatici e obiettivi ambientali da parte delle banche centrali, per cui il progresso c’è stato». Oltre ovviamente alle leve di politica monetaria, Agostini ritiene che uno strumento potente in mano alle banche centrali per agire sul clima sia la vigilanza: «Perché – spiega – è in grado di dare un segnale molto forte al mercato, spingendo a fare di più specialmente le banche più esposte ad attività fossili. La Bce in particolare ha introdotto negli anni le aspettative di vigilanza sui rischi climatici, prima come semplici indicazioni, quindi con l’obbligo di “comply or explain”, e poi, entro fine 2024, come norme vincolanti. Altre novità sono state annunciate di recente con il Piano su Clima e Natura 2024-2025. Anche alcune banche centrali dell’Eurosistema, fra cui Bankitalia, hanno definito le proprie aspettative di vigilanza. Mentre la Banca d’Inghilterra è quella che ha inaugurato per prima gli stress test climatici, effettuati in seguito anche dalla Bce, per valutare l’impatto dei cambiamenti climatici sul settore bancario».

In ogni caso, dato che quella contro la crisi climatica è una battaglia per definizione globale, lo sforzo per allineare, ovviamente al rialzo, l’azione sul clima delle banche centrali del pianeta potrebbe alla fine risultare quello decisivo. Per questo sono in tanti a seguire con molta attenzione il prezioso lavoro che viene portato avanti dal Network for Greening the Financial System (NGFS): partito quasi in sordina a fine 2017, riunisce oggi banche centrali e autorità di vigilanza dei mercati finanziari di mezzo mondo, con l’obiettivo di condividere buone pratiche per far avanzare l’azione sul clima. Anche attraverso una ragguardevole produzione di studi e ricerche sull’argomento, fra cui il recente gruppo di rapporti sugli investimenti sostenibili e responsabili nella gestione del portafoglio delle banche centrali.

C’è poi un’ultima questione, ma non certo ultima per impatto potenziale, di cui tenere conto: anche le banche centrali rischiano di essere citate in giudizio da chi ritiene che non stiano facendo abbastanza sul clima. Anzi, è già successo quando la ong Client Earth aveva fatto causa, poi ritirata, alla Banca centrale del Belgio. A parlare con chiarezza del rischio legale, per le banche in generale, legato a clima e ambiente è stato Frank Elderson, membro del Comitato esecutivo e vicepresidente del Consiglio di Vigilanza della Bce (già presidente del citato NGFS): in un celebre discorso pronunciato a settembre 2023, avvertiva che le litigation stavano mettendo nel mirino anche le banche. Di conseguenza le banche, “come hell or high water” (costi quel che costi), dovevano prepararsi. Alle banche centrali si guarda insomma come a uno dei motori più potenti, se non il più potente, per avviare e poi mettere a terra una riforma del sistema finanziario internazionale che sia all’altezza della sfida posta dalla crisi climatica. Per dirlo con le parole di Papa Francesco, pronunciate a metà maggio in un incontro su crisi climatica e debito ecologico: «Va sviluppata una nuova architettura finanziaria».

Giornalista, blogger, storytweeter. Laurea alla Bocconi. Da metà anni ’90 segue il dibattito sui temi di finanza sostenibile, csr, economia sociale. Blogga su mondosri.info. Homo twittante.​​​​