La grande scommessa dei prossimi anni sarà il trasferimento della ricchezza delle città verso la periferia, sotto forma di benessere e sviluppo. E tutto parte dal lavoro.
Due dei temi sensibili che riguardano lo sviluppo economico e sociale di questi anni, e di quelli a venire, sono raffigurati sulla stessa moneta. Su una faccia è scolpita la città. Il suo disegno ha i tratti profondi di un presente certo e visibile, tutto in primo piano. Si vedono un PIL enorme, consumi vivaci di prodotti e consumi ingombranti di energie, aria compresa. A unire i puntini c'è il lavoro, dinamico e mutevole, ma continuo. Le città sono una scommessa vinta, per ora.
Anche quello che nel disegno non si vede, il futuro, sembra un'incognita positiva; è fatta di innovazioni, di spazio per sperimentazioni, che partiranno soprattutto dalla gestione dei dati (Smart city) e potranno arrivare a migliorare le abitudini dei cittadini, dai trasporti fino alla circolarità di produzioni e scarti. Oggi la nuova America passa in città: ha la forza centripeta di attirare il lavoro, accumulare i capitali, moltiplicare le tecnologie.
Sull'altra faccia ci sono i tratti consumati delle periferie, che non sono solamente lontano, in provincia. Bastano dieci passi. Le strisce pedonali di una circonvallazione, l'angolo di un centro commerciale, un ponticello in ferro, una vecchia edicola chiusa, possono essere il Checkpoint Charlie che ci porta nella vecchia Germania Ovest: dove il lavoro è fermo, i trasporti arrivano lenti, l'edilizia non costruisce perché lì non vende, i capitali non atterrano.
Qualcuno dice che non esistono o sono un concetto sbagliato, perché oggi non ci sono più zone "esterne", e perché i flussi legano e mischiano territori diversi e lontani. Eppure, le ricchezze si accumulano solo nelle zone prevalentemente urbane, e soprattutto esistono ancora i confini: tra città e "periferia" c'è ancora un fossato. Non ci sono le zone intermedie in cui si diluiscono le differenze e si passa con gradualità da un un'area ricca a una povera, da una in movimento a una che non cambia aspetto, né ritmo di crescita.
SINDROME DELLA FESTA
Centinaia di migliaia di persone attraversano ogni giorno questo fossato e lo ripercorrono la sera quando rientrano a casa, ma non sempre portano con loro il benessere narrato, seppur reale, che si trova in quello che è considerato "il centro", là dove le cose funzionano. La grande sfida è rendere i confini porosi, e trasformare la ricchezza economica e sociale delle città in benessere per chi ne sta fuori, anche se si trova dall'altra parte della strada.
Consideriamo l'Italia. Dal 2008 circa, la percezione dei cittadini si è invertita: uno studio di Censis per Conad scrive infatti che un tempo la convinzione era che per me andrà meglio che per gli altri, mentre ora l'idea è che agli altri andrà meglio che a me. Quindi c'è un visibile capovolgimento del rapporto tra aspettative personali e generali. E chi vive "fuori dal giro" che sta in città, anche se ogni giorno vi entra, non riesce a goderne i frutti, e soffre di una strana sindrome: quella della festa a cui non è stato invitato. Più aumenta la narrazione della festa – quella di un luogo che cresce rigoglioso – più le sue aspettative sono cariche di un effetto boomerang.
Il problema non è certo la narrazione – talvolta esagerata – di ciò che funziona e gira a mille, ma la coesione e l'inclusione di chi abita "fuori" ma ha una gran voglia di partecipare alla festa di cui sente parlare ogni giorno. Molti degli studi sul tema realizzati negli ultimi anni – il più recente è The revenge of the places that don't matter (and what to do about it) – confermano che le aree che non contano, quelle che non sono incluse nel vicino sviluppo, sono quelle che trasformano in vendetta (politica) il rancore dell'essere state dimenticate.
La sfida del futuro è quindi trovare chi si faccia carico di ricordare cosa c'è fuori dalla città e vi trasferisca il valore che si sta producendo in questi anni di festa. Non è detto che debba sempre farlo la politica. Un caso? Il borgo di Solomeo, la "bella periferia" che l'azienda Cucinelli ha riportato a vivere. Attraverso il lavoro.