Smart home: la casa fa anche il medico

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Smart home: la casa fa anche il medico

La storia della casa del futuro è ancora da scrivere e non è fatta solo da device. Changes ne ha parlato con Diane Cook, docente di ingegneria elettrica alla Washington State University e del CASAS (Center for Advanced Studies in Adaptive Systems).

La storia della smart home è ancora da scrivere e non è fatta solo da device. Changes ne ha parlato con Diane Cook, docente di ingegneria elettrica alla Washington State University e del CASAS (Center for Advanced Studies in Adaptive Systems).

La strada che porta alla smart home è lastricata di buoni device, ma non solo. La rivoluzione di una casa pensante e senziente, uno spazio domestico che non si limita a eseguire ma interagisce e si propone, deve ancora essere compiutamente pensata e messa a punto, e questo è il momento di accelerare nell’inseguimento di una nuova concezione. Il poderoso ingresso nel mercato di cervelli domestici come Google Home, Amazon Echo e Mykie della Bosch ha dato una spinta alla rivoluzione smart della domotica, il termostato di Nest capisce se siete in casa e si regola di conseguenza, Scout Home protegge da furti e intrusioni, tutte queste cose si coordinano con altre applicazioni per il controllo dei consumi, la gestione della sicurezza, l’attivazione degli elettrodomestici, le misurazioni biometriche. 

Molti apparecchi della smart home, però, sono ancora ancora sofisticati gioielli tecnologici attivati da ancora più sofisticati telecomandi. Il mercato dell’Internet of things applicato all’ambiente più intimo e bisognoso di protezione e comfort, la casa, galoppa a velocità impressionante. Entro la fine del 2017 ci saranno negli Stati Uniti oltre 30 milioni di smart home, un crescita di oltre il 50% rispetto all’anno precedente, e entro il 2020 si prevede il superamento della quota di 50 milioni di abitazioni. Significa che una casa su tre sarà intelligente. 80 milioni di supporti smart per la casa sono stati venduti nel 2016, anche se spesso vengono utilizzati separatamente, senza una vera integrazione in una struttura smart.
Anche in Italia il mercato cresce. Secondo i dati dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, nel 2016 il settore ha creato un giro d’affari di 185 milioni di euro, con una crescita del 23% rispetto all’anno precedente.

La storia della casa del futuro è però ancora da scrivere. Chi sta dando un contributo importante alla stesura della trama è Diane Cook, professoressa di ingegneria elettrica alla scuola di scienze computazionali della Washington State University, che dirige un progetto multidisciplinare per lo sviluppo di smart home chiamato CASAS (Center for Advanced Studies in Adaptive Systems), nato nel 2007. L’eclettica Cook si muove fra intelligenza artificiale, data mining, robotica, smart environments, algoritmi paralleli e altre discipline avveniristiche, e sostiene che tutto queste cose sono necessarie per arrivare alla concezione della smart home. «In un senso superficiale la smart home è un’abitazione dotata di molti device intelligenti che si programmano, interagiscono e vengono controllati a distanza, ma nel suo senso più profondo è un ambiente capace di captare, di raccogliere informazioni su chi lo abita e di programmarsi da sé per migliorare la vita delle persone» ha spiegato Cook a Changes. «La smart home non è un’accozzaglia di device, è un ambiente punteggiato di sensori che informano intelligenze artificiali. Con queste analisi si possono fare una miriade di cose: garantire sicurezza e comfort, ma anche fare diagnosi mediche».



Per esempio, ci sono pressioni ed investimenti enormi da parte del settore biomedicale per sviluppare tecnologie domestiche legate alla salute: «La popolazione sta invecchiando e chi non è autosufficiente vorrebbe stare a casa, non in ospedale, dove peraltro i costi per il sistema sanitario sono enormi» ha aggiunto Cook. «Anche l’incidenza delle malattie croniche è in aumento. Pensiamo a cosa vorrebbe dire per una persona anziana avere una casa che costantemente monitora i suoi valori vitali, dove può spostarsi con l’aiuto di mezzi intelligenti, dove un dispositivo prepara i farmaci da prendere all’ora giusta e ti mette in contatto con i famigliari, con il dottore o con l’ospedale quando capisce che c’è un’emergenza. È normale che ci sia un interesse incredibile. I limiti, al momento, riguardano i costi di produzione e la copertura assicurativa estremamente limitata». ​

Smart home, non più solo un luogo dove abitare

Ogni settimana Cook riceve almeno un paio di chiamate di startupper che le chiedono consulenza per avviare la produzione di qualche pezzo smart della casa che verrà, ma nonostante questo entusiastico fermento ritiene che in generale il settore commerciale non stia ancora investendo quanto servirebbe. «C’è ancora bisogno di ricerca per fare i passi che permetteranno la svolta commerciale e infatti dal punto di vista scientifico e accademico si sta producendo a un ritmo incredibile», ha detto Cook. «Per esempio, stiamo lavorando su modelli per passare dalla diagnosi alla cura, con l’obiettivo di arrivare anche alla prevenzione».

Quando avremo le App che controllano l’alimentazione, l’attività fisica, i cicli del sonno, tutti i nostri parametri fisici e così via, secondo Cook, si potrà chiedere alla propria casa smart di mettere a punto un regime di vita sano tagliato sulle nostre esigenze e sui nostri ritmi. Il perfezionamento della tecnologia porta con sé inevitabilmente preoccupazioni per la sicurezza. Una casa sempre più smart è sempre più efficiente ma anche più esposta alle intrusioni, alla raccolta impropria di dati sensibili, un bel paradosso per il luogo dove l’aspettativa della privacy è massima. L’ultima infornata di documenti classificati pubblicati da Wikileaks ha proprio a che fare con i programmi di sorveglianza che utilizzano elettrodomestici smart per monitorare i bersagli.

Per Cook si tratta del «punto di resistenza culturale più forte allo sviluppo delle smart home», un timore che giudica legittimo: «L’intera comunità che si occupa di questi temi dovrebbe affrontare la questione a viso aperto, senza nascondersi», ha sottolineato Cook. La ricercatrice è convinta che soltanto mostrando che i benefici sono enormemente superiori ai costi, in termini di privacy, si potrà cambiare una mentalità che vede nel moltiplicarsi di sensori, connessioni e cloud anche una minaccia. Per Cook è solo questione di tempo. «In fondo, è stato così anche per lo shopping online. All’alba dell’e-commerce la gente aveva paura di inserire i propri dati e di usare la carta di credito su internet. Ora che tutti godiamo della comodità degli acquisiti in rete, queste preoccupazioni ci sembrano lontanissime». Tempo per abituarci alla casa come assistente personale e medico, se serve.​

Corrispondente del Foglio dagli Stati Uniti. Ama, con il necessario distacco penitenziale, il Lambrusco e l'Inter. Ha scritto alcuni libri su cose americane e non, l'ultimo è "La Febbre di Trump" (Marsilio). Sposato con Monica, ha due figli, Giacomo e Agostino.