Robot che ridanno la vita

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Robot che ridanno la vita

Dagli esoscheletri alle protesi bioniche, nei laboratori come quelli della Scuola Sant’Anna di Pisa ma non solo, ci sono i dispositivi che ci aiuteranno a lavorare e a superare le disabilità. E che il lavoro lo creano.

Dagli esoscheletri alle protesi bioniche, nei laboratori come quelli della Scuola Sant’Anna di Pisa ma non solo, ci sono i dispositivi che ci aiuteranno a lavorare e a superare le disabilità. E che il lavoro lo creano.

L’accostamento con Robocop, il superpoliziotto cyborg partorito oltre trenta anni fa dalla fantasia dello sceneggiatore statunitense Edward Neumeier, è quasi scontato, banale. Eppure di scontato e di banale nella storia del dottor Marco Dolfinchirurgo ortopedico di 36 anni, non c’è nulla. Dopo aver perso l’uso delle gambe in seguito a un incidente stradale undici anni fa, continua a svolgere il suo lavoro e a varcare la soglia della sala operatoria del San Giovanni Bosco a Torino grazie a una speciale carrozzina elettrica che gli consente di assumere e mantenere una statura eretta, indispensabile per operare. Una storia di coraggio quella di Dolfin, di volontà, ma anche di fiducia nei confronti della scienza e della tecnologia.

«Subito dopo l’incidente avvenuto quindici giorni dopo essere ritornato dal mio viaggio di nozze – racconta il medico torinese – ho maturato la consapevolezza di voler continuare a operare. Per questo motivo ho iniziato a cercare soluzioni che mi aiutassero a raggiungere questo obiettivo. Ero molto motivato, anche grazie al sostegno di mia moglie, ma i problemi da superare non erano di facile soluzione: in primo luogo garantirmi piena manualità e contemporaneamente mantenere una statura eretta indispensabile a operare salvaguardando nello stesso momento la sicurezza del paziente che, ovviamente, è l’aspetto principale. Fondamentale quindi era trovare un supporto che si prestasse a queste molteplici esigenze». È così che entrano in gioco i tecnici dell’Officina Ortopedica Maria Adelaide del capoluogo piemontese che Dolfin incontra all’unità spinale di Torino.

«La carrozzina del dottor Dolfin – spiega Roberto Ariagnoresponsabile marketing dell’Officina, azienda leader a livello europeo nella realizzazione di ausili destinati a disabili e di protesi – è un modello di serie adattato, però, alle sue specifiche esigenze. Vista la necessità di disporre di entrambe le mani per operare abbiamo fornito la carrozzina verticalizzabile di un joystick, sagomato perfettamente, che si aziona con il gomito».

«I tecnici dell’Officina sono stati al mio fianco e a tempo di record la carrozzina era pronta. Così – continua Dolfin – sono tornato in sala operatoria appena un anno e mezzo dopo il mio incidente. Ovviamente prima di usarla ho simulato un intervento che, spesso, lo ricordo, può durare delle ore. Grazie a questa carrozzina posso dire non aver mai vissuto una cesura della mia vita professionale, mi sembra di non aver mai smesso di fare quello che amo. Salvo i mesi di riabilitazione, è stato davvero così». I numeri del resto parlano chiaro: Dolfin viaggia su una media di un centinaio di interventi fra piccola e grande chirurgia, quando non si trova a casa con la moglie e i due gemellini o in vasca ad allenarsi. Il chirurgo torinese, infatti, è un campione di nuoto nella specialità dei 100 metri rana e in questi giorni si sta preparando con la sua società, la Briantea84, ai prossimi europei che si terranno d’estate a Dublino, nell’Eire.

 La tecnologia applicata alla medicina sta facendo enormi passi avanti: il futuro prossimo è rappresentato dagli esoscheletri, struttura cibernetica “indossabile” che rappresenta una sorta di muscolatura esterna mentre sono già in commercio le protesi bioniche. Anche in quest’ultimo campo l’Officina Ortopedica Maria Adelaide rappresenta un’eccellenza. «Montiamo le più avanzate mani bioniche sul mercato – spiega Ariagno – in particolare una scozzese, iLimb, dotata di dita motorizzate e articolate singolarmente che consente 36 diversi tipi di prese. La protesi è comandata dai muscoli dell’avambraccio del paziente attraverso una app dedicata installata su un device Apple, MyLimb».

Nei laboratori della società inoltre si sta lavorando ad altri wearable devices come un avveniristico corsetto correttivo per adolescenti affetti da scoliosi o cifosi, dotato di sensori. Lo scopo? Verificare che il paziente abbia indossato correttamente l’ausilio: i sensori, infatti, registrano diversi parametri che vengono inviati sia ai genitori sia al medico curante.

Ma il dispositivo che colpisce maggiormente l’immaginazione di gran parte delle persone è, come dicevamo, l’esoscheletro. I primi studi risalgano addirittura agli anni Sessanta quando in parallelo tecnici statunitensi e jugoslavi iniziarono a interessarsi a questo complesso dispositivo. Negli Usa gli esoscheletri nascono però espressamente per scopi militari (con ruoli di supporto alla logistica) e nella ex Iugoslavia per scopi medicali (supporto alla disabilità).

Nicola Vitiello, responsabile scientifico del Wearable Robotics Laboratory dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, a capo di un team di ricercatori che lavora a dispositivi di questo tipo, sottolinea che negli anni «si è registrata un’evoluzione dell’idea di esoscheletro: da una macchina molto ingombrante e complessa che permetteva a una persona di sollevare un certo numero di chili facendo meno fatica si è passati a dispositivi molto più semplici, snelli, spesso privi di motori e sensori ma dotati di semplici meccanismi, che fanno leva su un approccio più ergonomico che robotico».

 Ed è proprio questo il futuro prossimo di queste tecnologie. Si sta cercando di sfruttare, oltre all’ergonomia, la crescente conoscenza nell’ambito della biomeccanica, della neuroscienza e della bioingegneria per sviluppare macchine versatili, poco costose, a molle o con meccanismi “furbi”, in grado di alleggerire le articolazioni maggiormente sottoposte a un sovraccarico. Questo tentativo di semplificare gli esoscheletri renderà l’utilizzo nella vita di tutti i giorni più probabile. Si pensi a un operario che ripete centinaia di volte al giorno lo stesso movimento sottoponendo il suo apparato muscolo-scheletrico a un’usura crescente: un esoscheletro poco ingombrante potrebbe aiutarlo e infatti IUVO, società spin-off della Scuola Superiore Sant’Anna, su cui hanno investito Comau (azienda della galassia FCA specializzata in soluzioni di automazione avanzate) e Össur (società che produce soluzioni avanzate nel settore della protesica), sta proprio portando avanti un progetto di questo tipo.

Ma la partita degli esoscheletri si gioca almeno su tre campi differenti. In tutti l’Italia può dire la sua vista l’importanza del polo toscano, e di altre eccellenze sparse per la Penisola come l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. «La prima sfida – continua Vitiello – è nel campo dell’assistenza ai paraplegici. In questo settore si annoverano già realtà industriali avviate che realizzano dispositivi esoscheletrici che hanno l’ambizione in un futuro prossimo di sostituirsi alla carrozzina – almeno in alcune fasi della giornata- e pensati per riacquistare la postura eretta e supportare la deambulazione; ad oggi la carrozzina è infatti è ancora vincente in termini di velocità e affidabilità. Poi c’è il campo della riabilitation robotics. In questo caso gli esoscheletri nascono con l’obiettivo di aiutare il terapista nel portare avanti delle sessioni di riabilitazione. Le macchine replicano il gesto per sedute più intensive con l’obiettivo sia di ridurre i costi del sistema sanitario sia migliorare la qualità del processo riabilitativo. Un aspetto centrale per una popolazione, soprattutto nei Paesi avanzati, che continua a invecchiare.

Infine ci sono delle sfide di frontiera come l’utilizzo di esoscheletri per rimpiazzare funzioni compromesse. È questo il caso degli esoscheletri per supportare la funzione degli arti superiori in pazienti colpiti da lesioni spinali. In questi casi l’esoscheletro agisce di concerto con quella che si definisce un’interfaccia uomo-macchina con il sistema nervoso centrale. Alla Scuola Superiore Sant’Anna stiamo lavorando a nuovi esoscheletri sia nell’ambito della rehabilitation robotics che in quest’ultima più avveneristica applicazione. Faremo del nostro meglio per vincere le sifde che ci siamo posti». 

Giornalista, vivo di e per la scrittura da quattordici anni. Cresco nelle fumose redazioni di cronaca che abbandono per il digitale dove perseguo, però, lo stesso obiettivo: trasformare idee in contenuti.​