La neutralità della rete : da sola non basta

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La neutralità della rete : da sola non basta

L’accesso e il servizio internet uguali per tutti come qualità e disponibilità è sempre in discussione. Ed è una garanzia fondamentale, ma servono misure per evitare che il potere si concentri nelle mani di pochi.

La neutralità della rete come qualità e disponibilità è sempre in discussione. Ed è una garanzia fondamentale, ma servono misure per evitare che il potere si concentri nelle mani di pochi.

Se ogni operatore fosse libero semplicemente di dare preferenza ai propri partner, l’innovazione sarebbe enormemente ridotta. Ci sarebbe un filtro e non avremmo più una rete che dà a tutti la possibilità di innovare, ma garantirebbe un modello di business e di crescita soltanto a chi ha un accordo con i provider.

La neutralità della rete è un concetto che va difeso. Senza avremmo qualcosa che assomiglia molto di più al sistema di broadcasting, alla televisione, soprattutto quella via cavo. Senza, avremmo che la diffusione dei contenuti che hanno un accordo commerciale con il provider sono favoriti. È quello che per esempio sta avvenendo negli Stati Uniti, dove i grandi nomi inseguono integrazioni verticali, come dimostrano le acquisizioni di broadcaster come Nbc Universal o Time Warner, per dare preferenza ai loro contenuti e degradare quelli dei competitor.

La neutralità della rete è un principio fondamentale per garantire che internet resti quello che è sempre stato: cioè un ambiente aperto all’innovazione, decentralizzato dove è l’utente che da un lato definisce l’evoluzione della rete e dall’altro creare nuovi servizi. Pensiamo soltanto a chi adesso rientra nella classifica dei maggiori miliardari al mondo: venticinque anni fa erano soltanto studenti che creavano piattaforme e applicazioni e hanno avuto queste possibilità perché internet era relativamente neutra. Infatti potevano tranquillamente, e in maniera non discriminatoria, condividere la loro applicazione, avere molto successo e, di conseguenza, continuare a fornire il servizio senza dover sottostare a nessun contratto specifico con gli operatori. 

La mancanza di neutralità significa che l’operatore, l’internet service provider che ti dà accesso a internet, può – se vuole – bloccare o diminuire la qualità di certi servizi. Con il risultato che non vivremmo più in un ambiente aperto all’innovazione, ma in un ambito nel quale è l’operatore che definisce che cosa si guarda, quale tipo di contenuto e di notizie si ricevono, quale tipo di servizio più utilizzare. Né più né meno di quello che avviene nella rete telefonica.

Per capire i risvolti economici e sociali, quando si parla di utente, poi non bisogna guardare soltanto ai diritti di chi riceve un servizio. Ma dobbiamo riferirci anche alle start up. Tra i maggiori sostenitori della neutralità, non a caso, ci sono loro: quelle di oggi chiedono di avere le stesse possibilità di chi vent’anni fa le ha precedute. Aziende che hanno potuto espandersi perché non c’erano restrizioni e discriminazioni. Per questo, ci sono già almeno 50 Paesi in tutto il mondo che hanno definito la neutralità come un principio a livello legislativo.

La neutralità, come detto, è soprattutto un principio che prescrive il trattamento non discriminatorio nel trattamento di traffico da parte dell’operatore, dei provider di accesso a internet. Di conseguenza i principali attori di questo mercato, le piattaforme stesse, sono influenzate dall’assenza o dalla presenza di neutralità. Se c’è, c’è una competizione vera, altrimenti saranno privilegiati soltanto quei soggetti che hanno la capacità economica per fare business e imporre accordi ai competitor. 

Detto questo, la neutralità da sola non basta. Ci devono essere tutta una serie di altre misure che devono essere prese per limitare il potere dominante delle piattaforme: competizione, regolamentazione sia sulle posizioni dominanti sia su come i dati possono essere utilizzati. Perché anche in presenza di neutralità, che cosa succede quando tutti i dati vengono catturati da giganti come Facebook o Google e l’utente non può sapere come queste informazioni vengono utilizzate? Si perderebbe quel sacrosanto diritto alla portabilità, riconosciuto per esempio, dalla nuove norme europee. Paradossalmente scaricare i nostri dati in un formato interoperabile e portarli da una piattaforma a un’altra, è l’unica strada che ti consente di garantirsi una reale concorrenza di mercato e di superare i rischi di concentrazioni.​

Dottore di ricerca al CTS (Center for Technology and Society) della Fundação Getulio Vargas, e capo del progetto di Internet Governance. Ricercatore associato al Centre de Droit Public Comparé dell’Université Paris 2. Il suo lavoro verte sulla connessione tra legge e tecnologia, con focus sull’impatto delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione sui diritti fondamentali. Ha lavorato come agente per il dipartimento di Internet Governance del Consiglio Europeo come esperto di Neutralità della Rete. Ha pubblicato più di trenta Ricerche, tra cui Net Neutrality Compendium (Springer); De la Gouvernance à la Régulation de l’Internet (Berger-Levrault) e Community Networks: the Internet by the People, for the People (FGV).​