Customer engagement: dall’avere al fare

Society 3.0


Customer engagement: dall’avere al fare

Il boom dell’economia dell'esperienza, portata avanti da utenti iperconnessi che hanno voltato le spalle ai prodotti, cambia l'engagement.

Il boom dell’economia dell’esperienza, portata avanti da utenti iperconnessi che hanno voltato le spalle ai prodotti, cambia l’engagement.

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​Pensa che meraviglia se oltre a fare quello che abbiamo sempre fatto li andassimo a cercare insieme ai nostri clienti e agli appassionati in mezzo ai boschi, i tartufi: così ha pensato un notissimo e bravissimo tartufaio toscano, facendo poi il giro del mondo con questa idea “wow”. Un paradosso e una provocazione. Perché contraddice ciò che si è sempre fatto: chi va alla ricerca di tartufi lo fa di solito in modo solitario per evitare di essere visto, spiato, seguito. E in fondo, proprio per questo, quella del tartufaio è un’idea geniale. «Abbiamo deciso di ribaltare uno stereotipo e oggi facciamo vivere l’esperienza di scovare i tartufi a chi ci viene a trovare. L’utente ci contatta online e sui social e poi vive di persona questa attività, appassionandosi a profumi e colori del bosco», racconta Cristiano Savini, trentanovenne di Pontedera, in tasca un diploma di geometra e da sempre appassionato di tartufi. Benvenuti nella truffle experience. Si tratta di un viaggio nel mondo del tartufo con tre percorsi diversi: una degustazione o una caccia per i boschi con degustazione o ancora la caccia, il corso di cucina e la degustazione. «Insomma, a ciascun cliente il proprio percorso. E la prenotazione avviene sul nostro sito web Savinitartufi.it», mi ha raccontato Cristiano.

Passione di famiglia, quella di Cristiano: i Savini sono alla quarta generazione di imprenditori, con una sessantina di dipendenti nella squadra. Siamo a Forcoli, borgo medievale sulle prima colline pisane. Qui dal 2006 c’è la nuova sede con una bottega per il ristoro. E sempre qui la famiglia ha inaugurato il museo Savini, dedicato alla storia del tartufo in Toscana.

In fondo sembra quasi che a tavola non ci si voglia proprio più sedere. O meglio, lo si voglia fare, ma da protagonisti. In Cina c’è una catena di ristoranti nei quali si va soprattutto per aspettare. Perché nell’attesa, che può arrivare fino a due ore, il cliente è intrattenuto con massaggi, manicure, lucidature delle scarpe, chef danzanti, sala giochi per i più piccoli. Dopo l’attesa si entra in sala e si gusta l’hot pot, piatto tipico molto speziato con carne, verdure, uova e molto altro ancora. Questa è la storia di Haidilao, quotata da alcuni mesi alla Borsa di Hong Kong con una Ipo da un miliardo di dollari. L’intuizione geniale è dell’imprenditore 47enne Zhang Yong, un passato a capo di una fabbrica di trattori e poi da venticinque anni impegnato nella ristorazione.

L’engagement, ovvero il coinvolgimento del cliente che oggi passa attraverso l’experience. Lo certifica anche la ricerca di PWC dal titolo eloquente: Experience is everything. Get it right. D’altronde 3 clienti su 4 sostengono che l’esperienza sia fattore rilevante nelle decisioni di acquisto. E addirittura quasi la metà è disposto a pagare di più per viverla.

Sono gli anni del “fallo e basta”: così ha titolato l’autorevole testata inglese Guardian per descrivere il boom di questa nuova economia dell’esperienza, portata avanti da utenti iperconnessi che hanno voltato le spalle ai prodotti. «Nel Ventesimo Secolo ha dominato il materialismo, oggi si impone l’esperenzialismo. A prescindere dall’incertezza politica e dall’austerità stiamo spendendo meno per comprare cose e di più per fare cose, raccontando poi tutto sui social», ha scritto il giornalista esperto di tematiche tecnologiche Simon Usborne.

Un orientamento che coinvolge soprattutto le giovani generazioni. Non comprano più auto o moto, ma adottano i servizi di car e bike sharing. Non acquistano cd degli artisti preferiti, ma li ascoltano in streaming su Spotify. D’altronde conviene ascoltare questi consumatori del domani: entro pochi anni si stima che questa generazione Z, fascia anagrafica a cavallo tra i dieci e i vent’anni, comporrà il 40% degli acquirenti nella sola America.

Ma attenzione. L’esperienza può legarsi anche alla tradizione: è il caso della storica Bottega Fagnola, laboratorio artigiano di legatoria, cartotecnica e restauro archivistico librario nato nel 1955 nel centro storico di Torino. La bottega organizza workshop dentro la sua struttura e in questo modo il dialogo col cliente si trasferisce dalle piattaforme digitali a quelle fisiche. «Facendo incontri in sede la legatoria diventa un luogo di confronto con la comunità. Solo una percentuale minima degli introiti arriva da queste iniziative, che però permettono di aprire le porte del laboratorio e di avere una clientela più consapevole, più informata, più coinvolta», racconta Paola Fagnola, 32enne torinese alla guida dell’impresa di famiglia giunta alla seconda generazione. Così il cliente partecipa alle creazioni. Perché negli anni dell’engagement è vietato annoiarsi.

Giornalista e manager d'impresa, ha lavorato in Vodafone, Technogym, RAI e attualmente è in Sanofi Italia. Scrive per Sole24Ore, StartupItalia!, Millionaire e al mercoledì sulla free press Metro nella pagina Job. Insegna Digital e Social Communication all'Università IULM e all'Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino. Ha scritto e condotto format per Repubblica, Rai3, Radio24. Ha fondato l’osservatorio Enterprise Generated Content dell’Università Bocconi e la job-community Wwworkers.it. Da sei anni organizza alla Camera dei Deputati il "Wwworkers Camp" dedicato ai lavoratori della rete. Per Gruppo24Ore ha scritto diversi manuali su cultura d’impresa e nuove tecnologie e per Hoepli è uscito con "Sei un genio!" dedicato alla generazione degli Artigeni, ovvero gli artigiani digitali dalle idee geniali. Attualmente è in libreria con “G-Factor” edito da Egea e scritto insieme a Carlo Alberto Carnevale Maffè dell’Università Bocconi e Diego Ciulli di Google Italia.​