Rallentare e basta non è stato sufficiente a migliorare l’ambiente. La via della cooperazione verso un’economia sostenibile è l’unica strada.
Un certo ambientalismo indignato spesso paragona l'umanità a un “virus" che dà la febbre al pianeta, con la implicita conclusione che quanto più gli umani si fanno da parte e smettono di fare, tanto meglio sarebbe per tutti e per la Terra. Logicamente allora – ma invertendo i ruoli – il virus vero che ci ha colpiti è stato considerato invece un anticorpo della biosfera che “finalmente" ci avrebbe costretti a rallentare la nostra corsa verso la distruzione. Quante immagini satellitari di cieli puliti, quanti racconti di pesci tornati e uccelli risorti durante i mesi del lockdown!
Però, purtroppo, le cose non sono così semplici. Avendo colpito soprattutto i gruppi più fragili, acuito l'ingiustizia ai danni di chi non può pensare al domani, la pandemia ha scatenato la frenesia del recupero economico a tutti i costi; e ciò malgrado la visione ufficiale – quella del Green Deal europeo, ad esempio – che già sa quanto sia diversa la realtà: la Terra non si salva con un'economia che rallenta, ma facendola correre in modo diverso.
Due rapporti ONU degli ultimi giorni assieme danno un quadro realistico della sfida. Anzitutto, a metè settembre è uscita una raccolta dei principali dati recenti sul clima, ove emerge che le concentrazioni di gas serra sono a livelli record nonostante un calo temporaneo causato dal blocco COVID-19. Il rapporto intitolato United in Science 2020 riunisce gli ultimi dati accertati da Organizzazione Metereologica Mondiale (WMO), Global Carbon Project (GCP), Commissione oceanografica intergovernativa (UNESCO-IOC), Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), UN Environment Program (UNEP) e servizio metereologico britannico (UK Met Office). Ogni organizzazione ha contribuito con un capitolo. Un gran bel ventaglio di credibilità per evidenziare gli impatti negativi e irreversibili dei cambiamenti climatici su oceani e mari, ecosistemi ed economie, risorse idriche, benessere e salute umana. Soprattutto, il rapporto esamina anche come il COVID-19 abbia ostacolato il monitoraggio globale dei cambiamenti climatici e rileva che, nonostante un calo temporaneo, le emissioni globali sono sulla buona strada per tornare ai livelli pre-pandemici.
Qualche tendenza incoraggiante non manca - la crescita delle emissioni è rallentata all'1% all'anno negli anni 2010, rispetto alla crescita annuale del 3% negli anni 2000 - ma malgrado il lockdown il calo delle emissioni annuali che si è verificato all'inizio degli anni 2010 è successivamente aumentato.
Quasi contemporaneamente è uscito il Rapporto Plasmare le tendenze del nostro tempo, lanciato il 16 settembre dalla rete di economisti delle Nazioni Unite per l'evento di alto livello previsto per il 75° anniversario dell'ONU: gli autori delineano dei megatrend globali, sottolineando che l'ONU "può aiutare a mobilitare il supporto globale necessario per i singoli paesi, in particolare quelli con meno risorse". E il megatrend più mega di tutti riguarda purtroppo il clima. Vi si esaminano i "veri e propri fallimenti nella politica" che hanno provocato il cambiamento climatico, il degrado ambientale e le disuguaglianze" e non è un caso. Finalmente si è capito che il pianeta non è messo in pericolo dallo sviluppo bensì dallo sviluppo ingiusto e che “il cambiamento climatico e il degrado ambientale non hanno lati positivi e devono essere invertiti. Allo stesso modo, l'impatto complessivo delle disuguaglianze persistenti e crescenti è negativo". È chiaro, rallentare non serve. Serve cooperare per un'economia più giusta