Misurare l’accuratezza di una stima futura e raccogliere informazioni su quanto siamo bravi è il primo passo per capire qualcosa. Ma nessuno è allenato a ragionare in termini probabilistici.
Immaginate di avere pianificato un weekend al mare, in questo inizio bizzoso di estate. Prima di mettere nella borsa-frigo il cocomero, consultate le previsioni meteo: pioggia al 70%. Disfate la valigia e vi accomodate sul divano, recuperando l'ultima stagione della vostra serie tv preferita. Quando, la mattina di sabato, andate alla finestra per godervi il fortunale che si è scatenato sulla vostra città, un Sole splendente vi sorprende e maledite con tutta l'anima il sito delle previsioni, assolutamente farlocche.
Se vi ritrovate in questo mini episodio, siete come quasi tutti gli esseri umani che popolano il pianeta: poco allenati, quindi, a ragionare in termini probabilistici e non particolarmente avvezzi all'arte di predire il futuro.
Sì, perché quelle previsioni del tempo non sono sbagliate. Se c'è il 70% di probabilità che piova, vuol dire che nel 30% dei casi (quasi 1 su 3, per intenderci) non pioverà.
Il fatto è che i primi uomini, all'inizio di una tortuosa evoluzione, erano programmati per prendere decisioni rapide, abbastanza istintive, la cui complessità si riduceva a pochi input:
- Sì (agisci)
- No (stai fermo)
- Forse (in allerta)
La probabilità è venuta molto dopo e, in un certo senso, il nostro cervello non si è ancora adattato ad accoglierla come elemento imprescindibile del mindset di chi deve fare una scelta.
L'arte e la scienza di fare previsioni è anche il titolo di un bellissimo libro di Philip Tetlock, professore a metà strada tra le scienze politiche, quelle comportamentali e la psicologia all'Università della Pennsylvania, che parte proprio da questo spunto per poi investigare a fondo l'abilità umana di guardare nel futuro.
Al di fuori della freschezza con cui il libro è scritto, Tetlock è molto rigoroso nello stabilire immediatamente le regole del gioco: per parlare di stime e di previsioni riguardo al futuro, servono tonnellate di dati e un'indagine attenta dell'evidenza empirica.
E qui, se vogliamo, c'è un po' la prima sorpresa: siamo così presi dalla nostra frenesia di vedere confermate le idee che ci piacciono o di cedere al fascino di un'ipotesi di destino dal dimenticare, quando poi il futuro diventa presente, di verificare se le nostre previsioni, o quelle di celebratissimi guru, si sono dimostrate esatte.
Misurare l'accuratezza di una previsione e, in ultima analisi, raccogliere informazioni su quanto siamo bravi, è il primo passo per capirci qualcosa. Lo scienziato, dice Tetlock, non si chiede "Perché?" ma "Come?" e per questo il professore coordina un imponente progetto, The Good Judgment Project che, da anni, ha proprio lo scopo di studiare quanto le persone (migliaia di persone) sono brave a fare previsioni sul futuro e a raccogliere evidenze.
La modalità è quella del torneo di previsioni, in cui gruppi di forecasters (quelli che scommettono sul futuro, insomma) sono chiamati a rispondere a una batteria di domande sui temi più disparati: geopolitica, economia, sport.
Tetlock, negli anni, è riuscito a sfatare alcuni miti e a trovare diverse regolarità, molto utili per chiunque volesse avvicinarsi all'arte di fare previsioni. Innanzitutto, c'è una piccola minoranza di persone, un 2% circa, che sistematicamente fa previsioni migliori degli altri e, per questo, è insignito del titolo di superforecasters. Di chi si tratta? Sorprenderà, ma spero che sia anche letto come un segno di speranza, sapere che i superforecasters sono persone tutto sommato normali.
Non bisogna essere geni, insomma, per fare previsioni migliori sul futuro, ma ci sono determinate caratteristiche che aiutano. Innanzitutto, fare previsioni è un'abilità che si può allenare, non un talento innato. Tra gli insights della ricerca di Tetlock, alcuni sono di puro buon senso: per essere dei superforecasters, è necessario avere una notevole apertura mentale. Bella scoperta, direte voi!
E allora vi dico bravi: vuol dire che avete appena fatto una previsione corretta. Il fatto è che, vincendo il bias di conferma, chi è predisposto a prendere in considerazione ipotesi diverse dalla propria, è più probabile che sia anche in grado di raccogliere un maggior numero di informazioni, di riconoscere un errore, di cambiare idea se è il caso…
In una parola, di non ancorare la realtà alla propria visione del mondo ma, piuttosto, di aggiustare quest'ultima in funzione del dato. Un superforecaster è in modalità di beta permanente: raccoglie stimoli e dati e, di volta in volta, rivede le proprie previsioni incrementandone marginalmente l'efficacia. Di fatto, è ciò che avviene con i meteorologi che, lentamente, arricchiscono il proprio modello climatico e rendono le previsioni del tempo leggermente migliori. Di nuovo, non giuste al 100 per cento: prima si accetta l'impossibilità della certezza e più velocemente si diventerà buoni investigatori di futuro.
Non sorprendentemente, quanto più la previsione si allontana dal presente e quanto meno essa è precisa: Tetlock mette anche un numero, perché dopo 5 anni sarebbe meglio affidarsi, per le stime, a uno scimpanzè che tira freccette per ottenere lo stesso livello di accuratezza.
Studiare scientificamente il modo in cui le persone simulano un evento incerto richiede molti sforzi, tanta fatica e molteplici tentativi: non è un caso che la grinta sia considerata un tratto della personalità essenziale per chi prova a guardare nel futuro con qualche speranza di vederci qualcosa.
Il lavoro di Tetlock è davvero imponente e, esattamente come per chi fa previsioni, si aggiusta piano piano nel tempo e grazie alla mole di dati crescente: esso rappresenta uno strumento essenziale per istituzioni, governi, imprese o semplici cittadini che desiderino imparare a ragionare sul futuro in modo più accurato.
È matematico.
O almeno forse.