Quali lezioni profonde e generali e ci sta dando la pandemia? Una di sicuro è riflettere sull’equilibrio fra misure coercitive pubbliche e libera responsabilità individuale.
«La crisi –
scriveva Einstein – è la maggior benedizione per le persone e per le nazioni, perché la crisi porta progressi». Belle parole, ma dopo il Coronavirus il rischio più concreto è che percepiamo quanto è successo come
un'anomalia passeggera e poi torniamo ad accomodarci sulle sicurezze di sempre, senza ricordarci che queste hanno vacillato. Sarebbe il peggior errore ed è dovere di tutti impegnarsi affinché COVID-19 ci serva da lezione.
La pandemia sta fornendo ragioni per riflettere a tutti i livelli e in tutti i settori: dalla gestione delle scorte fino alla strutturazione delle tariffe aeree. Queste lezioni, di dettaglio, saranno probabilmente elaborate. Ma è essenziale che non ci limitiamo a scorgere tanti alberi senza vedere la foresta.
Quali lezioni profonde e generali – sistemiche si direbbe –
ci sta dando la pandemia?
Una di sicuro è che dovremo riflettere sull'equilibrio fra misure coercitive pubbliche e libera responsabilità individuale per il bene comune di fronte a sfide importanti. E se per caso giungiamo alla conclusione che è meglio coltivare l'impegno responsabile dei singoli che preparare soluzioni autoritarie e imposte dall'alto, finisce che è la stessa risposta che dobbiamo dare anche all'altra grande lezione che ci dà il Coronavirus: ci stiamo distanziando troppo dall'equilibrio e dai "fondamentali" del pianeta che abitiamo.
Questa lezione ci giunge con molteplici sfaccettature. La prima è che un ambiente naturale sano aiuta a mantenere sano anche l'ambiente umano. Proprio in piena crisi COVID-19 il WWF ha pubblicato uno studio sulla
relazione fra pandemie e distruzione degli ecosistemi, ove si prova il ruolo fondamentale della biodiversità per evitare che agenti costruttivi nel loro habitat naturale divengano patogeni per gli esseri umani quando quegli habitat li invadiamo e distorciamo.
Vi è poi crescente attenzione alla correlazione fra l'impatto del virus e l'inquinamento. Una prima correlazione da non malintendere, anzitutto: molti hanno recentemente constatato, di persona o dal satellite, gli
effetti dello shut down sulla qualità dell'aria (in particolare la diminuzione - tanto in Cina che in nord Italia - degli
ossidi di azoto tipicamente emessi dai tubi di scappamento). È una lezione ambigua e persino fuorviante se vi si innesta la mistica della «vendetta di madre natura che colpisce i suoi aggressori» o se si conclude che stiamo meglio con un'economia depressa. Dobbiamo crescere, come dimostrato in diversi post precedenti, ma possiamo svilupparci in maniera diversa e felice.
Più rilevante – se provata – è invece la serie di indizi che ci costringono di nuovo a correlare fenomeni all'apparenza distinti lasciando ipotizzare che l'inquinamento atmosferico può aumentare la letalità o il contagio. «L'osservazione – e cito un interessante post di Giorgio Vacchiano - che i punti caldi dell'epidemia siano stati la
Cina, la
Corea del Sud,
Teheran e la
Pianura Padana sembrerebbe
corroborare questi sospetti, ma è bene non fermarsi alle sole apparenze. Ci sono due meccanismi per cui l'inquinamento potrebbe interagire con l'infezione:
1) peggiorando lo stato di salute di coloro che sono esposti cronicamente ad alti livelli di inquinamento. 2) alcune ricerche su virus simili (SARS, MERS) hanno trovato una correlazione non solo tra letalità e qualità dell'aria, ma anche tra quest'ultima e la velocità di diffusione del contagio. L'ipotesi guida, che alcuni media stanno rilanciando, è che gli aerosol atmosferici potrebbero essere un substrato su cui il virus può aderire, riuscendo a trasmettersi con maggiore velocità e a più grande distanza rispetto al contagio "face-to-face"».
Ancora più interessante la domanda conclusiva di Vacchiano: «Quanto costerebbe prendere misure per migliorare la qualità dell'aria e diminuire la vulnerabilità della popolazione al COVID - a partire dalla fonti di emissione più importante, cioè il trasporto merci su strada ? Quanto invece sta costando alla comunità, alle Regioni e allo Stato fronteggiare un'emergenza in cui molti ammalati si trovano o potrebbero trovarsi in condizioni da richiedere cure di terapia intensiva che iniziano a scarseggiare? ».
Ma c'è un ultimo aspetto, forse il più vasto e profondo, che il Coronavirus deve portarci a ripensare in merito al nostro rapporto con il pianeta. Abbiamo costruito un'economia che somiglia molto a un jet di ultima generazione: lucente, veloce, efficiente, piena di artifici tecnologici... solo che – come il jet –
appena rallenta va in stallo. Senza privarci dei jet, forse sarebbe meglio compiere il viaggio principale con i piedi per terra... e con le mani nella terra.